Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20779 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20779 Anno 2016
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Serbezov Gjulhan, nato a Skopje (Macedonia) il 19 aprile 1993
avverso la sentenza n. 3522/2014 emessa in data 17 ottobre 2014 dalla Corte
d’appello di Ancona.
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott. Cosimo
D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Roberto
Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 17 ottobre 2014, ha confermato la condanna alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 800,00 di
multa, inflitta dal Tribunale di Urbino in data 19 febbraio 2014 a Gjulhan Serbezov per il delitto di estorsione aggravata ai danni di Giovanni Briganti.
L’imputato ha proposto ricorso avverso detta sentenza deducendo la falsa
applicazione dell’art. 629 cod. pen. e la contraddittorietà ed illogicità della motivazione, indicata come meramente apparente. Sostiene, in particolare, che la
Corte d’appello si è limitata a ritenere attendibili le dichiarazioni della parte offesa, senza tenere in alcuna considerazione la ricostruzione dei fatti prospettata
dalla difesa (secondo cui la dazione di denaro era avvenuta in ragzione della
simpatia che il Briganti nutriva verso il ragazzo). Sottolinea, in particolare, che la
dichiarazione del Briganti sarebbe contraddittoria, lacunosa e quindi poco credibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1

Data Udienza: 14/04/2016

Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
La giurisprudenza di questa Corte è salda nell’affermare, in tema di attendibilità della parte offesa, che le dichiarazioni di quest’ultima possono essere
legittimamente poste, da sole, a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, sebbene sia opportuna una verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichia-

2, n. 43278 del 24/09/2015 – dep. 27/10/2015, Manzini, Rv. 265104).
Pur nel quadro di una tale doverosa verifica, è altresì pacifico che alle dichiarazioni della persona offesa non si applicano le regole dettate dall’art. 192,
comma terzo, cod. proc. pen. in tema di riscontri oggettivi. Ogni eventuale contrasto interpretativo risulta definitivamente risolto, nel senso anzidetto, da un
recente arresto delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep.
24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
Al più, in alcune occasioni è stato affermato che occorre distinguere a seconda che via sia stata costituzione di parte civile, poiché, in caso positivo, la
persona offesa diviene portatrice di pretese economiche e il controllo di attendibílità deve essere, di conseguenza, più rigoroso rispetto a quello generico cui si
sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone; e ciò può rendere opportuno
procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. 1, n. 29372 del
24/06/2010 – dep. 27/07/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del
03/06/2004 – dep. 02/08/2004, Patella ed altri, Rv. 229755).
I giudici di merito si sono attenuti ai principi di diritto sopra esposti, avendo rimarcato la presenza di importanti elementi di riscontro della deposizione
del Briganti. Anzitutto, va detto che l’imputato è stato arrestato in flagranza, in
quanto trovato in possesso di una delle banconote oggetto dell’ultima pretesa estorsiva, opportunamente fotocopiata dai Carabinieri, ai fini di indagine, Subito
dopo la denuncia della persona offesa. Costituiscono, poi, ulteriori riscontri di
quanto narrato dal Briganti gli scontrini dei prelievi Bancomat e Bancoposta effettuati dalla parte offesa su minaccia del Serbezov.
Tale motivazione, completa ed immune da vizi logici e giuridici, resiste alle censure dell’imputato, il quale si limita a prospettare una versione alternativa
in punto di fatto, in quanto tale insuscettibile di trovare ingresso nel giudizio di
legittimità.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o con2

rante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (da ultimo, ex plurimis: Sez.

traddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le
argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Sez. 1, n. 3262 del
25/05/1995 – dep. 06/07/1995 – Rv. 202133). In altri termini, occorre che il giudice abbia omesso del tutto di prendere in considerazione il punto sottoposto alla
sua analisi, talché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è
fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono
aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Sez. 4, n.

Tali conclusioni restano ferme pur dopo la legge n. 46 del 2000 che, innovando sul punto l’art. 606 lett. e) c.p.p., consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad “altri atti del processo”. Alla Corte di cassazione resta
comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (ex plurimis: Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006 dep. 28/12/2006, De Vita, Rv. 235507; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep.
27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
Quindi, anche dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento
che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di
legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può
essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte,
infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006 dep. 03/11/2006, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007 – dep.
28/09/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007 – dep.
22/02/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Deve solo aggiungersi che, com’è noto, il giudice di merito non ha l’obbligo di confutare analiticamente ogni prospettazione alternativa formulata dall’imputato, ma solo quello di illustrare compiutamente il percorso argomentativo
mediante il quale è giunto all’affermazione di colpevolezza dello stesso. Consegue che l’imputato non può dolersi neppure della circostanza che la sua ricostruzione dei fatti non sia stata presa in considerazione, avendo la corte d’appello
3

10456 del 15/11/1996 – dep. 05/12/1996 – Rv. 206322).

accordato la propria preferenza alla versione dei fatti fornita dalla parte offesa.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 1.500,00, così equitativamente
stabilita in ragione dei motivi dedotti.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 aprile 2016.

P. Q. M.

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