Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20778 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20778 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• VASSALLO Alfonso, nato a Palermo il giorno 21/2/1967
avverso la sentenza n. 1542/2015 in data 7/4/2015 della Corte di Appello di
Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario PINELLI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 7/4/2015 la Corte di Appello di Palermo ha confermato la
sentenza emessa in data 5/11/2014 dal Giudice per l’udienza preliminare presso
il locale Tribunale con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, VASSALLO Alfonso
era stato dichiarato colpevole del delitto di rapina aggravata ai danni di
CASAMIRRA Michele, addetto alla reception dell’hotel “Astoria Palace”, e
condannato, previa riduzione per il rito, a pena ritenuta di giustizia.
Il fatto risale al 22/7/2013 ed all’imputato risulta essere stata contestata (e
ritenuta) la recidiva specifica e reiterata di cui all’art. 99 cod. pen.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato,
deducendo:
1. Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), in relazione all’art. 603 cod. proc. pen.

Data Udienza: 08/04/2016

Si duole la difesa del ricorrente del fatto che la Corte di appello ha respinto la
richiesta di rinnovazione dibattimentale finalizzata all’effettuazione di una perizia
antropometrica che asseritamente sarebbe stata decisiva al fine di stabilire o
meno la penale responsabilità del VASSALLO. Ciò in quanto – sempre a detta
della difesa del ricorrente – l’esecuzione dell’invocato accertamento peritale
avrebbe consentito di superare gli altri elementi “vacui e sfuggenti” in relazione
ai quali è stata affermata la penale responsabilità dell’imputato, così come
riassunti e criticati a pag. 4 del ricorso, e ciò anche alla luce del fatto che il

2. Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 628,
commi 1 e 3 n. 1, cod. pen. e 192 cod. proc. pen.
Evidenzia la difesa del ricorrente il fatto che la Corte di appello avrebbe omesso
di svolgere il doveroso vaglio critico in ordine alla decisione del primo Giudice,
che aveva utilizzato elementi di mera valenza indiziaria tendendo ad esaltare
quelli più confacenti alla propria ricostruzione ed a sminuire quelli a favore
dell’imputato, ciò in quanto gli elementi probatori raccolti nel corso del
procedimento a carico del VASSALLO rimangono, ciascuno autonomamente
considerato i isolati e mancanti di riscontro.
In sostanza, secondo parte ricorrente, mentre la Corte di appello ha valorizzato il
possesso da parte dell’imputato di capi di abbigliamento “comuni” che si
potrebbero rinvenire in qualsiasi guardaroba fi:W~i gni 1Tenq non ha, per contro,
valorizzato il mancato riconoscimento dell’imputato da parte della vittima.
Nessun rilievo, poi, la Corte di appello ha attribuito al mancato rinvenimento del
coltello utilizzato dal rapinatore.
3. Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62bis cod. pen.
Si duole la difesa del ricorrente del mancato riconoscimento all’imputato delle
circostanze attenuanti generiche asseritamente giustificato con motivazione
generica e senza che si sia tenuto conto del fatto che l’ultimo precedente penale
dell’imputato risale al 2004, nonché delle modalità della condotta e del fatto che
il prevenuto si era dato al momento della commissione del reato al compimento
di stabile attività lavorativa.
4. Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 27
Cost. ed all’art. 133 cod. pen.
Si duole la difesa del ricorrente della dosimetria della pena irrogata all’imputato
che sarebbe rimasta affidata a considerazioni metagiuridiche che non avrebbero
tenuto conto dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.

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VASSALLO non è stato riconosciuto dalla vittima dell’azione delittuosa.

In data 18/3/2016 la difesa del ricorrente ha depositato nella Cancelleria di
questa Corte Suprema una memoria integrativa nella quale, dopo avere ribadito
le ragioni sulle quali si è fondato il ricorso principale, si duole dell’aumento di
pena determinato dall’applicazione della recidiva in relazione ad un precedente
penale risalente al lontano 2004, senza che si sia prodotta una motivazione
specifica sul punto e che si sia accertato se il nuovo episodio criminale fosse o
meno indicativo di una più accentuata colpevolezza o di una maggiore
pericolosità del reo.

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Sulla premessa che l’imputato è stato giudicato con le forme del rito abbreviato e
che la Corte di appello, dopo avere correttamente ricostruito in punto di diritto i
limiti nei quali può disporsi la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel
giudizio abbreviato di appello, ha, comunque, dato ampiamente atto delle ragioni
di assoluta superfluità ai fini del decidere dell’espletamento di una perizia
antropometrica alla luce degli ulteriori elementi probatori sussistenti a carico
dell’imputato, deve in questa sede solo essere ribadito il principio secondo il
quale “nel giudizio abbreviato d’appello, siccome l’unica attività d’integrazione
probatoria consentita è quella esercitabile officiosamente, non è configurabile un
vero e proprio diritto alla prova di una delle parti cui corrisponda uno speculare
diritto della controparte alla prova contraria, con la conseguenza che il mancato
esercizio da parte del giudice d’appello dei poteri officiosi di integrazione
probatoria, non può mai integrare, il vizio di cui all’art. 606, comma primo, lett.
d) cod. proc. pen. (Cass. Sez. 1, sent. n. 37588 del 18/06/2014, dep.
12/09/2014, Rv. 260840).
Per il resto e sul punto la motivazione della sentenza impugnata è assolutamente
congrua oltre che non manifestamente illogica.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Deve osservarsi che il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione, tenta in
realtà di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito anche
dopo la Novella. La modifica normativa dell’articolo 606 cod. proc. pen., lett. e),
di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha lasciato infatti inalterata la natura del
controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e
non può estendersi ad una valutazione di merito.
Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché

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CONSIDERATO IN DIRITTO

ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale
modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del
fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è – e resta giudice della motivazione.
Ciò premesso, va detto subito che anche in questo caso quelli che la difesa del
ricorrente definisce come semplici indizi, sui quali la Corte di appello si sarebbe
appiattita, appaiono ictu ()culi elementi probatori granitici che le argomentazioni
contenute nel ricorso non solo non sono in grado di ribaltare, ma, a dir del vero,

La Corte di appello con una motivazione congrua, attenta e logica ha evidenziato
una ampia serie di elementi (identità del veicolo ripreso dalle telecamere con
quello in uso all’imputato, identità tra i capi di vestiario indossati dal rapinatore e
quelli rinvenuti a casa del rapinatore, identità di un ciondolo indossato dal
rapinatore con quello in possesso dell’imputato e, soprattutto, identità tra la
chiara immagine registrata dalle telecamere di videosorveglianza e l’effige del
VASSALLO) che, doverosamente intesi nel loro complesso, hanno portato ad una
decisione che non lascia residuare alcuna ombra di dubbio.
Non si vede cosa in più o di diverso avrebbero dovuto dire i Giudici distrettuali di
quanto hanno ampiamente illustrato nella sentenza impugnata.
Per contro i due elementi (mancato riconoscimento operato dalla persona offesa
dal reato e mancato rinvenimento del coltello) che secondo la difesa del
ricorrente non sarebbero stati tenuti in debito conto appaiono sostanzialmente
irrilevanti.
Basta infatti leggere il contenuto del verbale di individuazione che la difesa ha
allegato al ricorso per rendersi conto di come la persona offesa CASAMIRRA non
ha compiuto quella che tecnicamente si definisce una “individuazione negativa”
(nel senso di escludere con certezza che il rapinatore si identificasse in una delle
persone – tra le quali il VASSALLO – che gli venivano rammostrate) ma, al
contrario, si è limitato ad affermare di non escludere che il rapinatore potesse
essere tra le persone presenti all’atto dell’individuazione chiarendo, però, di non
riuscire a riconoscere il responsabile della rapina subita perché era passato
diverso tempo dal fatto e perché all’epoca dei fatti la sua attenzione era stata
focalizzata sul coltello che gli era stato brandito contro e non sulle fattezze
somatiche del rapinatore.
Quanto al mancato rinvenimento del coltello basta osservare che trattasi di
oggetto comune e che i essendo la perquisizione dell’imputato avvenuta non in
flagranza di reato ma dopo tempo, tale fattore non appare assumere alcuna
rilevanza.

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neppure di scalfire.

Per il resto pare sufficiente ricordare che è giurisprudenza consolidata di questa
Corte che, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non è tenuto a
compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in
esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece
sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e
risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato
il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo;
nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive

la decisione adottata. (in questo senso v. Sez. 6, sent. n. 20092 del 04/05/2011,
dep. 20/05/2011, Rv. 250105; Cass. Sez. 4, sent. n. 1149 del 24.10.2005, dep.
13.1.2006, Rv 233187).
Del resto questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile
una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col
gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza
complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è
necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed
esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per
escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei
fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza
lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento indichi
con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono
rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da
consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla
statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di
preterizione. (Cass. Sez. 2, sent. n. 29434 del 19.5.2004, dep. 6.7.2004, rv
229220; Sez. 2, sent. n. 1405 del 10/12/2013, dep. 15/01/2014, Rv. 259643).
3. Il vizio di infondatezza investe, inoltre, anche il terzo ed il quarto motivo
di ricorso che riguardano il mancato riconoscimento all’imputato delle circostanze
attenuanti generiche e la dosimetria della pena e che appaiono meritevoli di
trattazione congiunta stante lo stretto collegamento esistente tra gli stessi.
Anche in questo caso la Corte di appello, con un’insindacabile valutazione di
merito espressa con motivazione congrua, non manifestamente illogica e
tantomeno contraddittoria i ha chiarito che:
a) l’episodio delittuoso è sintomatico di una notevole pericolosità dell’autore
oltretutto gravato da una pletora sovrabbondante di precedenti specifici (varie
rapine, diserzione, reati di falso e tanto altro);
b) si è trattato di una rapina grave, con uso di arma, in un contesto pericoloso.
caratterizzata da un bottino di svariate migliaia di euro.

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che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con

Ne consegue che in questa sede non possono che ribadirsi gli assunti di questa
Corte suprema ai quali la Corte di appello risulta essersi correttamente attenuta
secondo i quali:
– nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è
necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli
faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti
gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Cass. Sez. 3, sent. n. 28535 del

– la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni
previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità
del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in
aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova
valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di
mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione
(Cass. Sez. 5, sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 259142).
4.

Con la memoria depositata in Cancelleria il giorno 18/3/2016 si è

sostanzialmente formulato un motivo “nuovo” con il quale ci si duole della
assenza di motivazione con riguardo alla contestata e ritenuta recidiva.
Il Giudice di prime cure – così come riportato anche a pag. 6 della sentenza della
Corte di appello – aveva motivato sulla gravità del nuovo episodio di reato in
contestazione in quanto sintomatico di una notevole “pericolosità” dell’imputato il
che assume decisiva rilevanza al fine di ritenere l’infondatezza della doglianza
attinente alla recidiva.
5. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il giorno 8 aprile 2016.

19/03/2014, dep. 03/07/2014, Rv. 259899);

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