Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20777 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20777 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:



UCCI Pierluigi, nato a Lanciano il giorno 16/8/1966
DI ROCCO Achille, nato a Montenero di Bisaccia il giorno 25/12/1943
DI ROCCO Carmine, nato a Vasto il giorno 28/9/1960
VALERIO Oreste, nato a Perano il giorno 9/10/1951

avverso la sentenza n. 3124 in data 22/10/2014 della Corte di Appello di
L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario PINELLI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità o, in
subordine, il rigetto di tutti i ricorsi;
udito il difensore della parte civile DI BIASE Nicola, Avv. Mauro IODICE, che ha
concluso associandosi alle richieste del Procuratore Generale riportandosi al
contenuto della memoria difensiva depositata in cancelleria, depositando altresì
conclusioni scritte e nota spese della quale ha chiesto la liquidazione;
udito il difensore dell’imputato UCCI, Avv. Alessandro TROILO, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore dell’imputato VALERIO, Avv. Alessandro TROILO in sostituzione
dell’Avv. Gerardo BRASILE, che ha concluso riportandosi al contenuto del relativo
ricorso del quale ha chiesto l’accoglimento;
udito il difensore dell’imputato DI ROCCO Carmine, Avv. Raffaele GIACOMUCCI,
che ha concluso riportandosi al contenuto del relativo ricorso del quale ha chiesto
l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 08/04/2016

m
Con sentenza in data 22/10/2014 la Corte di Appello di L’Aquila, in parziale
riforma della sentenza in data 3/4/2013 del Tribunale di Lanciano, ha dichiarato
non doversi procedere nei confronti di UCCI Pierluigi in ordine al reato di usura
relativo al procedimento n. 886/07 perché estinto per prescrizione ed ha
rideterminato il trattamento sanzionatorio irrogato allo stesso UCCI ed ai
coimputati.
La stessa Corte di appello ha invece confermato nel resto la dichiarazione di
colpevolezza dell’UCCI, di DI ROCCO Achille, DI ROCCO Carmine e VALERIO

delle imputazioni tutti in contestazione ad UCCI ed il solo capo B anche al
VALERIO, capi C e D in contestazione rispettivamente a DI ROCCO Carmine ed a
DI ROCCO Achille.
Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati,
deducendo:
1. per UCCI Pierluigi:
1.a Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 125, 192 e 546, lett. e) cod. proc. pen. nonché
dell’art. 111, comma 6, della Costituzione anche in relazione all’art. 533 cod.
proc. pen. per vizi di motivazione.
Dopo aver descritto nelle prime nove pagine del ricorso la storia delle indagini e
del processo, si duole la difesa del ricorrente del fatto che la sentenza della Corte
di appello non avrebbe esaminato le dettagliate censure poste con l’atto di
gravame e si sarebbe limitata di fatto a richiamare le già insufficienti motivazioni
del Tribunale.
L’affermazione di attendibilità dei testi persone offese costituite parte civile non
risponderebbe ai principi tracciati dalla giurisprudenza in materia avendo la
persona offesa DI BIASE Nicola mutato a più riprese il proprio racconto e ciò
nonostante il fatto che si fosse in presenza di una relazione di dare/avere tra le
parti caratterizzata da un rapporto di sostanziale omogeneità ribadita anche dal
teste Mario DI GIUSEPPE e confortata documentalmente.
I Giudici del merito avrebbero errato anche quando hanno confermato la
ricorrenza delle circostanze aggravanti dell’attività di impresa e dello stato di
bisogno della persona offesa DI BIASE, non motivando adeguatamente al
riguardo e trascurando il fatto che l’attività svolta dal DI BIASE nulla aveva a che
fare con il rapporto con l’odierno ricorrente.
Quanto, poi, al capo B della rubrica delle imputazioni il concorso dell’UCCI nel
reato sarebbe consistito nell’aver presentato il VALERIO al DI BIASE non potendo
non sapere o meglio dovendo necessariamente immaginare – secondo la tesi

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Oreste in relazione a reati di usura: capi AeBe proc. 1040/2007 della rubrica

i

accusatoria – che il primo avrebbe effettuato al secondo un prestito ad interessi
usurari, situazione che cozzerebbe con le regole della logica.
Analogo discorso va fatto anche con riguardo ai fatti di cui al procedimento
1040/07 riunito al procedimento principale con riguardo alla decisione del quale,
la sintetica motivazione della Corte di appello avrebbe sorvolato del tutto sulla
testimonianza della persona offesa FICCA globalmente intesa e piena di h non
it
ricordo e di smentite dell’ipotesi accusatoria.
Mancherebbe anche in questo caso la piena prova del reato di usura in relazione

dare/avere tra le parti, così come sarebbe stata omessa del tutto la valutazione
operata da altri Giudici in altri procedimenti circa l'(in)attendibilità delle
testimonianze GENTILE, COSTANTINI e FICCA.
1.b Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 125, 192 e 546, lett. e) cod. proc. pen. in
relazione al capo A – parte residua – della rubrica delle imputazioni riguardante
l’art. 644 cod. pen. anche rispetto alle aggravanti contestate e ritenute, con
relativo travisamento della prova e vizi di motivazione.
Anche in questo caso la Corte di appello si sarebbe limitata a riprodurre le
argomentazioni del Tribunale aggiungendo la propria adesione alle stesse in
termini apodittici.
Viene ribadita l’inattendibilità delle dichiarazioni del teste DI BIASE e si segnala
che la Corte di appello non ha dato conto di una serie di circostanze non di
contorno (inizio dei rapporti, ragione dei contatti con UCCI, condizioni
economico-finanziarie della persona offesa, esistenza di un conteggio
riepilogativo dei rapporti di dare/avere, ecc.) denunciate dalla difesa del
ricorrente. Non sono, infatti, mai stati accertati in concreto gli interessi praticati
e la Corte di appello ha glissato sul punto.
Ricostruisce poi, la difesa del ricorrente alle pagg. da 21 a 23 del ricorso le
dichiarazioni del DI BIASE in relazione ai rapporti di dare/avere e segnala come
già altro Giudice aveva evidenziato che se si fosse tenuto conto di ulteriori
somme versate da UCCI a DI BIASE il computo degli interessi praticati avrebbe
avuto un risultato ben diverso.
La ricostruzione dei rapporti fatta dalla Corte di appello si scontrerebbe, inoltre,
con le produzioni documentali che la difesa del ricorrente afferma di aver fatto
all’udienza del 28/11/2012 f afferenti gli assegni emessi da UCCI e incassati dal DI
BIASE e di cui alle pagg. 25 e 26 del ricorso che qui ci occupa.
Non si sarebbe, inoltre, tenuto conto del fatto che UCCI quando avrebbe solo
dovuto incassare interessi in realtà continuava a versare somme al DI BIASE.

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ad un conteggio complessivo e/o parziale certificato in atti dei rapporti di

Errata sarebbe, poi, l’interpretazione che è stata data al contenuto della
conversazione ambientale registrata in data 12/11/2006 / che non contiene alcun
riferimento al prestito del novembre 2005 ed alle modalità concrete di
pagamento degli interessi.
Ancora, non solo non è provato che l’attività svolta dal DI BIASE avesse qualcosa
a che fare con il rapporto con UCCI ma non è neppure provato che il DI BIASE si
trovasse in stato di bisogno / dato che all’epoca dei fatti aveva la possibilità di
ricorrere agli ordinari canali di erogazione del credito ed addirittura effettuava

persona offesa (Gianni CICCHINI) ha detto che l’attività dello stesso “andava
benino” e dalla documentazione prodotta è emerso che in relazione alla sua
attività non vi erano creditori/fornitori salvo che la ditta “Tuttoarredo” di De
Simone Mario.
La Corte di appello nell’esaminare la documentazione prodotta dalla difesa
dell’odierno ricorrente avrebbe quindi omesso di prenderla in debita
considerazione ed avrebbe comunque travisato il contenuto della stessa.
1.c Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 125, 192 e 546, lett. e) cod. proc. pen. in
relazione al capo B della rubrica delle imputazioni riguardante gli artt. 110 e 644
cod. pen. anche rispetto alle aggravanti contestate e ritenute, con relativi vizi di
motivazione.
Evidenzia la difesa del ricorrente il fatto che la Corte di appello avrebbe attribuito
ad UCCI un doppio ruolo: quello di truffatore del VALERIO insieme al DI BIASE e
nel contempo correo del reato di usura con il VALERIO ai danni del DI BIASE.
Anche in questo caso la Corte di appello si sarebbe limitata a riportare le
affermazioni del Tribunale trascurando le doglianze difensive sul punto.
Il concorso di UCCI con VALERIO sarebbe stato ritenuto provato soltanto in
relazione al fatto che egli non poteva non sapere o non immaginare, senza che
esistesse alcuna conversazione precedente o successiva tale da dimostrare
l’esistenza di un accordo tra i due ai fini dell’erogazione di un prestito a tasso
usurario al DI BIASE. Non sarebbe quindi dato comprendere quale contributo
causale o concausale avrebbe fornito UCCI alla consumazione del reato.
Viene ribadita anche in questo caso l’assenza di prova circa la sussistenza delle
circostanze aggravanti contestate.
1.d Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 125, 192 e 546, lett. e) cod. proc. pen. in
relazione al capo riunito n. 1040/2007 della rubrica delle imputazioni riguardante

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spese incompatibili con uno stato di bisogno. Persino il commercialista della

l’art. 644 cod. pen. anche rispetto alla aggravante contestata, con relativi
travisamento della prova e vizi di motivazione.
Anche in questo caso la Corte di appello avrebbe ripreso la motivazione del
Tribunale aggiungendovi considerazioni apodittiche e stereotipate senza peraltro
rispondere alle doglianze difensive con le quali si era evidenziato che la persona
offesa FICCA non era stata in grado di fornire risposte adeguate circa l’accordo
assunto e la sua collocazione temporale oltre all’ammontare ed alla scadenza
degli interessi pattuiti ed agli altri rapporti economici intercorsi con UCCI.

giuridico, oltre che delle modalità concrete seguite per l’accertamento degli
interessi usurari, così come non vi è traccia di un conteggio complessivo o
parziale ovvero non si fa riferimento a documentazione di alcuna natura che sia
in qualche modo riconducibile agli interessi stessi.
Assolutamente inadeguata sarebbe poi la motivazione riguardante la circostanza
aggravante contestata.
1.e Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 125, 192 e 546, lett. e) cod. proc. pen. in
relazione al capo riunito n. 886/07 della rubrica delle imputazioni riguardante
l’art. 644 cod. pen. anche rispetto alla aggravante contestata, con relativi
travisamento della prova e vizi di motivazione.
La difesa impugna tale capo, sebbene il reato in contestazione sia stato
dichiarato prescritto, in quanto sono stati confermati gli elementi idonei a
determinare quantomeno sul piano civilistico la responsabilità dell’UCCI.
Anche in questa caso i Giudici avrebbero operato errate valutazioni circa
l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa GENTILE e di quelle della di
lui moglie COSTANTINI Nina.
Il patto usurario si sarebbe concretizzato in un assegno di 12.000 C mai
incassato e mai rinvenuto e non si sarebbe tenuto conto delle trascrizioni delle
intercettazioni indicate alle pagg. 44 e 45 del ricorso dalle quali risulta la
tipologia dei rapporti intercorsi tra UCCI e GENTILE, finalizzati
fondamentalmente ad uno scambio di titoli di pari importo per procurarsi
entrambi della liquidità, nonché della assoluta cordialità dei rapporti intercorrenti
tra i due.
Vi sarebbe poi contrasto tra quanto affermato in sentenza in ordine al fatto che
GENTILE ha affermato di pagare ad UCCI circa 2.500,00 C a titolo di interessi,
prelevati in contanti dagli incassi del negozio di frutta e verdura, con il fatto che
la di lui moglie e coadiutrice del negozio ha affermato che gli incassi mensili del
negozio ammontavano a circa 1.000,00 C.

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Nella sentenza non vi è poi traccia neppure embrionale del procedimento logico-

Anche in questo caso sono state riproposte le questioni già illustrate con riguardo
agli altri capi di imputazione circa la mancanza di motivazione del come si siano
determinati gli interessi economici e si siano ricostruiti i rapporti di dare/avere
tra le parti.
1.f Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 125 e 546, lett. e) cod. proc. pen. in relazione
agli artt. 62-bis, 69, 81, 132 e 133 cod. pen. e per vizi di motivazione.
Si duole, in sintesi, la difesa del ricorrente del fatto che nella sentenza

relazione alla determinazione sia della pena base che degli aumenti per la
continuazione nonché delle ragioni per le quali non è stata accolta la richiesta di
prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate
anche alla luce della particolarità dei rapporti intercorsi tra le parti.
2. per DI ROCCO Achille:
2.a Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, lett. b) ed e), cod. proc.
pen. in relazione all’art. 644 cod. pen.
Rileva la difesa del ricorrente che sebbene sia certo che il DI ROCCO ha dato del
denaro in prestito al DI BIASE è tuttavia emerso che tra i due vi era un rapporto
di conoscenza e familiarità assai risalente nel tempo e che mai il DI BIASE fece
cenno al DI ROCCO di avere problemi di liquidità. Ciò renderebbe illogico il fatto
che l’imputato abbia imposto alla persona offesa il pagamento di interessi
usurari.
I quattro assegni dell’importo di 2.500,00 C cadauno consegnati dal DI BIASE al
DI ROCCO a seguito di un prestito di 20.000,00 C erano semplicemente stati dati
in garanzia ed erano senza data, il che non prova che furono pattuiti e
tantomeno erogati interessi usurari.
Sempre il DI BIASE ha anche affermato che il DI ROCCO gli fece un’ulteriore
finanziamento di 5.000,00 ma che il debito iniziale rimase inalterato, con la
conseguenza che anche in questo caso non v’è prova della promessa o
corresponsione di interessi usurari.
In sostanza il DI BIASE avrebbe restituito al DI ROCCO un importo ben inferiore
a quello ricevuto ed il suo racconto è apparso del tutto incredibile oltre che
finalizzato ad ottenere un lucro economico dalla vicenda. Le affermazioni dello
stesso circa il fatto che egli si sarebbe trovato a corrispondere al finanziatore un
interesse del 10% mensile sono rimaste, secondo parte ricorrente, sfornite di
supporto probatorio.

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impugnata non si sia dato adeguatamente conto delle decisioni assunte in

2.b Violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art.
644, comma 5 nn. 3 e 4, cod. pen. nonché mancata assunzione di una prove
decisiva (perizia tecnico-contabile).
Evidenzia, al riguardo, la difesa del ricorrente che il DI BIASE ha ottenuto dalla
vicenda di cui è processo l’erogazione di imponenti somme di denaro che non ha
mai restituito ed anche l’erogazione di ben 400.000,00 C dal Fondo Antiusura.
Non può, pertanto, nella situazione descritta essere configurata l’aggravante
dello stato di bisogno anche perché è emerso che lo stesso ben poteva rivolgersi

Oltretutto è emerso che il DI BIASE con il vorticoso giro di denaro messo in piedi
ha fatto di tutto tranne che finanziare la propria attività
commerciale/imprenditoriale ed ha utilizzato il denaro ricevuto per acquistare
autovetture e per alimentare vizi di altra natura. Sarebbe, poi, palesemente
illogica la motivazione della sentenza impugnata laddove si è rigettata la
richiesta di disporre una perizia contabile, non solo per la determinazione degli
interessi ma anche per la compiuta ricostruzione dei rapporti di dare/avere tra le
parti.
Infine la motivazione della Corte di appello che si è limitata di fatto a riprendere
quella del Tribunale non avrebbe compiutamente esaminato le doglianze
sollevate in sede di gravame ed avrebbe errato nella valutazione di attendibilità
delle dichiarazioni della persona offesa ritenute attendibili sotto alcuni punti e
non attendibili sotto altri.
3. per DI ROCCO Carmine:
3.a Violazione dell’art. 606 cod. proc. pen. per vizi di motivazione della sentenza
impugnata.
Rileva la difesa del ricorrente che la sentenza della Corte di appello avrebbe
omesso di occuparsi dei punti salienti del gravame posto innanzi alla Corte
stessa.
In particolare sarebbero state omesse idonee valutazioni delle dichiarazioni della
persona offesa che non hanno trovato conforto nelle conversazioni intercettate
soprattutto con riguardo all’ammontare degli interessi praticati. Né l’esistenza del
reato potrebbe ritenersi provata sulla base dell’esistenza di titoli di credito mai
posti all’incasso e mai prodotti in giudizio dall’Accusa.
4. per VALERIO Oreste:
4.a Violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen.
Il motivo di ricorso, di non agevole interpretazione, sembra contenere la
doglianza relativa al fatto che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente
risposto ai motivi di gravame sollevati innanzi alla stessa.

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ai canali ordinari di erogazione del credito.

4.b Vizi nell’iter logico della motivazione ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen.
Anche tale motivo di ricorso, pur esso di non agevole lettura, dopo aver fatto
richiamo a due passaggi motivazionali della sentenza impugnata,
sostanzialmente sostiene che la Corte di appello non avrebbe operato una
corretta analisi testuale di quanto emerso, né avrebbe correttamente operato
una sintesi sillogistica delle informazioni.
In data 7/3/2016 la difesa dell’imputato UCCI, con memoria difensiva, ha
depositato in cancelleria la sentenza irrevocabile n. 1295/14 della Corte di

dai reati di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e di esercizio
abusivo di attività di intermediazione finanziaria.
In data 17/3/2016 la difesa della parte civile DI BIASE ha depositato in
cancelleria una memoria difensiva con la quale ha illustrato le ragioni per le quali
i ricorsi degli imputati dovrebbero dichiararsi inammissibili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Giova innanzitutto premettere che ai fini del controllo di legittimità sul
vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda
con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo
argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure
proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed
operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza,
concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a
fondamento della decisione (Cass. Sez. 3, sent. n. 44418 del 16/07/2013, dep.
04/11/2013, Rv. 257595).
Non può quindi fare meraviglia e, per ciò che più conta in questa sede, non
costituisce certo un vizio della sentenza impugnata, in una vicenda come quella
che qui di occupa caratterizzata dall’esame di rapporti economici esistenti tra le
parti, unita alle dichiarazioni delle persone offese raffrontate al contenuto delle
conversazioni registrate, il fatto che la sentenza di appello abbia richiamato i
passaggi di quella, motivata in modo lineare e coerente, dal Giudice di prime
cure.
2. Appare, ancora, doveroso ricordare che è giurisprudenza consolidata di
questa Corte che, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non è
tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a
prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo
invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle
deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno
determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto
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appello di L’Aquila con la quale era stata confermata l’assoluzione dell’imputato

decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente
incompatibili con la decisione adottata. (in questo senso v. Sez. 6, sent. n.
20092 del 04/05/2011, dep. 20/05/2011, Rv. 250105; Cass. Sez. 4, sent. n.
1149 del 24.10.2005, dep. 13.1.2006, Rv 233187).
Del resto questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile
una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col
gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza

necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed
esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per
escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei
fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza
lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento indichi
con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono
rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da
consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla
statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di
preterizione. (Cass. Sez. 2, sent. n. 29434 del 19.5.2004, dep. 6.7.2004, rv
229220; Sez. 2, sent. n. 1405 del 10/12/2013, dep. 15/01/2014, Rv. 259643).
3. Deve essere poi ricordato, in quanto trattasi di motivo trasversale ai
ricorsi che in questa sede ci occupano, che poiché la mancata osservanza di una
norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità,
inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto
dall’art. 606, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo
di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., con
riferimento all’attendibilità dei testimoni dell’accusa, la cui inosservanza non è in
tal modo sanzionata, atteso che il vizio di motivazione non può essere utilizzato
sino a ricornprendere ogni omissione o errore che concerna l’analisi di
determinati e specifici elementi probatori (Cass. Sez. 3, sent. n. 44901 del
17/10/2012, dep. 16/11/2012, Rv. 253567) e, ancora, che í in tema di prove, la
valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una
questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità,
salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Cass. Sez. 2, sent. n.
41505 del 24/09/2013, dep. 08/10/2013, Rv. 257241) il che non risulta
avvenuto nel caso che in questa sede ci occupa.
A ciò si aggiunge l’ulteriore principio secondo il quale “è legittima una
valutazione frazionata delle dichiarazioni della parte offesa, purché il giudizio di
inattendibilità, riferito soltanto ad alcune circostanze, non comprometta per

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complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è

k,

intero la stessa credibilità del dichiarante ovvero non infici la plausibilità delle
altre parti del racconto” (Cass. Sez. 6, sent. n. 20037 del 19/03/2014, dep.
14/05/2014, Rv. 260160) ma anche questa situazione non è ravvisabile nel caso
in esame.
4. Ciò doverosamente premesso e passando all’analisi unitaria dei primi
cinque motivi di ricorso proposti dalla difesa dell’imputato UCCI, motivi che
peraltro ripercorrono questioni già proposte innanzi alla Corte di appello e, prima
ancora, esaminate e risolte dal Tribunale, deve osservarsi che il ricorrente, sotto

Corte un nuovo giudizio di merito, non consentito anche dopo la Novella. La
modifica normativa dell’articolo 606 cod. proc. pen., lett. e), di cui alla legge 20
febbraio 2006 n. 46 ha lasciato infatti inalterata la natura del controllo
demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può
estendersi ad una valutazione di merito.
Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale
modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del
fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è – e resta giudice della motivazione.
Già due giudici di merito hanno proceduto all’analisi degli elementi probatori, li
hanno adeguatamente descritti ed hanno altrettanto adeguatamente (e non
certo in maniera manifestamente illogica o contraddittoria) motivato le loro
convinzioni, frutto, come è giusto che sia, di valutazioni discrezionali non
sindacabili in questa sede.
Al di là di quanto si è già avuto modo di osservare sopra circa i limiti della Corte
Suprema in ordine alla valutazione di attendibilità dei testimoni, va detto che con
riguardo a ciò i Giudici del merito risultano avere effettuato una verifica assai
prudente delle dichiarazioni degli stessi e, in particolare, del DI BIASE.
Non importa qui rilevare – e non compete certo farlo a questa Corte di legittimità
– il fatto che alcune delle dichiarazioni del teste/persona offesa DI BIASE sono
apparse confuse od imprecise (situazione peraltro abbastanza tipica delle vittime
dei reati di usura che si trovano coinvolte in un giro turbinoso di rapporti di
dare/avere caratterizzato da movimenti di titoli di credito e contanti che talvolta
neppure esse sono in grado di ricostruire) in quanto ciò che rileva è che i Giudici
di merito, nel pieno rispetto dei parametri indicati da questa Corte in ordine alla
valutazione della persona offesa/testimone, costituita anche parte civile, hanno

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il profilo dei vizi di legge e di motivazione, tenta in realtà di sottoporre a questa

ritenuto di affermare la penale responsabilità dell’UCCI solo nel caso in cui come
per i capi A (in parte) e B della rubrica delle imputazioni le dichiarazioni della
persona offesa hanno trovato riscontro in altri elementi.
E’ ad esempio il caso del prestito di 61.000 C di cui al capo A della rubrica delle
imputazioni esaminato a pag. 20 della sentenza della Corte di appello ed alle
pagg. 19 e segg. della sentenza del Tribunale laddove alle dichiarazioni del DI
BIASE si è aggiunto il contenuto di una registrazione legittimamente acquisita
agli atti processuali nella quale UCCI e DI BIASE il 12/11/2006 conversano del

conforto in una successiva intercettazione ambientale del 21/11/2006, il tenore
delle quali si presenta in effetti inequivoco ed interpretato in maniera conforme
dai Giudici: a DI BIASE furono effettivamente erogati due prestiti per un
ammontare di 61.000 C (33.000 + 28.000) ragionevolmente destinati a coprire
un finanziamento pregresso gravato di un maggiore tasso di interesse ed in
relazione ai quali risulta essere stato concordato un interesse di ben 600,00 C la
settimana, quindi sul quale nessun dubbio residua sul superamento del relativo
tasso-soglia.
Correttamente il Tribunale ha rilevato che nulla importa nel caso in esame se
l’UCCI si sia effettivamente rivolto a terzi per ottenere tale somma di denaro o se
abbia semplicemente simulato la cosa, così come correttamente ha rilevato la
Corte di appello che il fatto sostenuto e documentato dalla difesa che tra UCCI e
DI BIASE fossero intercorsi altri rapporti di dare/avere o di scambi di titoli di
credito non rileva in quanto per quel preciso rapporto – come detto congelato
dalle dichiarazioni della persona offesa e dal contenuto delle conversazioni
registrate – il ragguaglio tra somma finanziata ed interesse praticato è di
palmare evidenza.
Va detto, poi, che la Corte di appello risulta aver preso in considerazione la
documentazione prodotta dalla difesa dell’imputato e, in particolare, la sentenza
con la quale UCCI è stato assolto in altro procedimento, ma ne ha spiegato in
modo congruo l’irrilevanza: del resto quanto i concetti sono chiari non è
necessario spendere fiumi di inchiostro per esprimerli.
Giova qui solo sottolineare che a nulla rilevano in questa sede le valutazioni
formulate in altri processi od in altre fasi del presente processo che non siano
quelle del giudizio di merito circa l’attendibilità della persona offesa o circa la
tenuta del materiale probatorio, valutazioni che – peraltro comprensibilmente la difesa del ricorrente mostra di apprezzare allorquando favorevoli al proprio
assistito , in misura pari a quanto mostra di disprezzare quando siano contrarie.
Tuttavia non per il solo fatto che una decisione sia contraria alla tesi difensiva

11

prestito di una somma di pari ammontare,che a sua volta ha trovato ulteriore

per ciò solo è errata o sostenuta da una motivazione manifestamente illogica o
contraddittoria.
Manifestamente infondate, sono, poi, le doglianze relative alla insussistenza delle
circostanze aggravanti contestate e correttamente ritenute sussistenti dai Giudici
di merito (ed il discorso vale anche per il reato di cui al capo B della rubrica delle
imputazioni).
Pacifico è che il DI BIASE esercitava all’epoca dei fatti una attività
imprenditoriale (negozio di macelleria) e che tale situazione non poteva non

amicali rapporti intrattenuti tra le parti.
Per quanto riguarda lo stato di bisogno (pur esso costituente un accertamento di
fatto che in quanto motivato non è sindacabile in questa sede) nel quale versava
la persona offesa, ampi risultano gli elementi indicati dal Tribunale sul punto (cfr.
pagg. da 23 a 25 della relativa sentenza) e gli stessi non possono ritenersi elisi
dalle argomentazioni contenute nel ricorso che in questa sede ci occupa.
Del resto è appena il caso di ricordare che t in tema di usura, lo stato di bisogno in
cui deve trovarsi la vittima per integrare la circostanza aggravante di cui all’art.
644, comma quinto, n. 3 cod. pen. può essere di qualsiasi natura, specie e grado
e che “lo stato di bisogno della persona offesa del delitto di usura può essere
provato anche in base alla sola misura degli interessi, qualora siano di entità tale
da far ragionevolmente presumere che soltanto un soggetto in quello stato possa
contrarre il prestito a condizioni tanto inique e onerose” (Cass. Sez. 2, sent. n.
12791 del 13/12/2012, dep. 19/03/2013, Rv. 255357).
Il discorso affrontato nei passaggi precedenti vale anche per i fatti di cui al capo
B della rubrica delle imputazioni.
Anche in questo caso si tratta di un prestito del complessivo importo di 20.000 C
ed erogato in due tranches da 10.000 C ciascuna con pattuizione di interessi pari
al 10% mensile, in relazione al quale già il Tribunale, ha operato il medesimo
criterio di valutazione già seguito in occasione del reato di cui al capo A: si è
partiti dalle dichiarazioni della persona offesa DI BIASE (sulla valutazione delle
quali si è già detto sopra) e si sono poi citate a riscontro conversazioni
intercettate che hanno confermato i punti essenziali delle dichiarazioni della
persona offesa ed in particolare quelle del 9/12/2006 nella quali l’imputato
VALERIO ha effettuato precisi conteggi circa i termini del prestito (cfr. in
particolare pagg. 27 e 28 della sentenza del Tribunale) e, poi, contrariamente a
quanto assunto dalla difesa di UCCI nel ricorso che qui ci occupa, si è evidenziato
il fatto che i pagamenti potevano essere effettuati indipendentemente a VALERIO
od a UCCI, il che comproverebbe l’esistenza di un accordo tra i due imputati.

12

essere conosciuta dall’imputato UCCI attesi i frequenti ed anche apparentemente

Il Tribunale ha anche trattato della questione del raggiro posto in essere dal
VALERIO insieme al DI BIASE ma ha sostanzialmente chiarito l’inconferenza di
tale situazione rispetto al dato relativo al prestito di cui all’imputazione. Indi ha
preso in considerazione le argomentazioni difensive spiegando puntualmente le
ragioni per le quali le ha ritenute infondate.
La Corte di appello dal canto proprio ) con una motivazione a sua volta tutt’altro
che illogica od incongrua / ha evidenziato di condividere le valutazioni relative al
costrutto probatorio del Tribunale, ha ribadito la valutazione della attendibilità

conversazioni del VALERIO oggettO di intercettazione ed ha spiegato perché non
sono accoglibili le prospettazioni alternative contenute nell’appello di UCCI.
Si è poi diffusa sul ruolo rivestito da UCCI nella vicenda ed ha spiegato perché lo
stesso – come peraltro già evidenziato dal Tribunale – deve ritenersi concorrente
nell’azione delittuosa.
Del resto, rileva il Collegio, non può porsi in dubbio che UCCI, anche alla luce di
quanto si è detto trattando il motivo ricorso relativo al capo A della rubrica, fosse
a conoscenza della situazione economica nella quale versava il DI BIASE e se a
ciò si aggiungono gli ulteriori elementi evidenziati nella motivazione della
sentenza impugnata circa il fatto che UCCI presentò il VALERIO dal DI BIASE per
fargli ottenere un prestito, che il prestito era ad interessi usurari e che lo stesso
UCCI è risultato cointeressato nell’affare, ecco che ancora una volta il filo
motivazionale dei Giudici di merito si è dipanato in maniera logica e non può
ritenersi viziato sulla base delle affermazioni difensive sul punto.
Discorsi sostanzialmente analoghi valgono poi anche per i fatti-reato di cui ai
procedimenti 1040/2007 (usura ai danni di FICCA Andrea) e 886/2007 (usura ai
danni di GENTILE Franco e COSTANTINI Nina).
Con riguardo a quest’ultima vicenda, in relazione alla quale è stato dichiarato
n.d.p. per essere il reato per prescrizione appare sufficiente rilevare come la
Corte di appello nel pieno rispetto dell’art. 578 cod. proc. pen. si è occupata con
motivazione congrua della vicenda (che ha mantenuto quindi rilevanza ai soli
effetti civilistici), tenendo conto delle doglianze difensive ed in particolare anche
delle dichiarazioni di COSTANTINI Nina circa il reddito prodotto dal negozio dagli
stessi gestito oltre che del fatto che al di là dei fatti-reato per i quali è processo
tra UCCI e GENTILE erano intercorsi rapporti di cambio di assegni anche di altra
natura e che in un paio di occasioni UCCI non aveva preteso alcun interesse per
il cambio dei titoli.
Come detto la sentenza della Corte di appello è complementare per quanto
riguarda la sua parte motiva a quella del Tribunale dove anche in questo caso
era stato spiegato (pag. 55 e segg.) perché il GENTILE doveva ritenersi soggetto

13

del DI BIASE sul punto in quanto, come detto, ritenuta riscontrata dalle

attendibile

(avendo

reso

dichiarazioni

“serene,

precise

e

credibili”,

sostanzialmente confermate dalla moglie e dal teste FICCA che lo indirizzò da
UCCI avvisandolo che pretendeva un tasso di interesse molto alto) nonostante
alcune confusioni nel suo racconto peraltro legate al tourbillon di titoli e di
rinnovi, ed ha anche spiegato in modo logico le varie situazioni sostanzialmente
anticipando gli argomenti che poi sarebbero divenuti prima oggetto di appello e,
poi, di ricorso per cassazione.
Nessun vizio emendabile in questa sede ritiene quindi il Collegio sia ravvisabile

Ciò vale altresì per i fatti di cui al capo di imputazione relativo ai fatti di usura ai
danni del FICCA (oggetto di proc. 1040/07 poi riunito).
Contrariamente a quanto affermato dalla difesa del ricorrente UCCI, il Tribunale
ha anche in questo caso spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto credibile il
racconto del FICCA e, quindi, per l’effetto l’ammontare (10% mensile) degli
interessi praticati in relazione alle attività di finanziamento operate da UCCI, ha
inoltre dato correttamente atto dei tentennamenti e delle reticenze emergenti
dalle dichiarazioni del FICCA in corso di dibattimento che, ha rilevato, sono
apparse come finalizzate a sminuire le responsabilità dell’UCCI piuttosto che ad
aggravarle.
La Corte di appello dal canto proprio ha confermato le valutazioni del Tribunale,
così di fatto anche implicitamente rispondendo alle doglianze difensive sul punto.
In questa sede deve solo essere ricordato che “Le dichiarazioni della persona
offesa – cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod.
proc. pen. – possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più
penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di
qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità
soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto” (Cass.
Sez. 2, sent. n. 43278 del 24/09/2015, dep. 27/10/2015, Rv. 265104), verifica
che risulta adeguatamente operata nel caso in esame.
Con riguardo alla circostanza aggravante contestata – nella specie solo quella di
aver commesso il fatto ai danni di chi svolge attività imprenditoriale – è emerso
pacificamente dagli atti che il FICCA svolgeva l’attività di idraulico.
In punto di diritto deve essere ricordato che “la circostanza aggravante speciale
di cui all’art. 644, comma quinto, n. 4, cod. pen. è configurabile per il solo fatto
che la persona offesa eserciti effettivamente un’attività imprenditoriale, senza
che possa rilevare il dato meramente formale del riconoscimento, in capo alla
stessa, dello “status” di imprenditore” (Cass. Sez. 2, sent. n. 47559 del
27/11/2012, dep. 07/12/2012, Rv. 253942) e, ancora, che “la circostanza

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anche sotto tale profilo nella sentenza impugnata.

aggravante speciale di cui all’art. 644, comma quinto, n. 4, cod. pen. è
configurabile per il solo fatto che la persona offesa eserciti una delle attività
protette, a nulla rilevando che il finanziamento corrisposto dietro la promessa o
dazione di interessi usurari non abbia alcuna attinenza con le predette attività”
(Cass. Sez. 2, sent. n. 25328 del 22/03/2011, dep. 24/06/2011, Rv. 250759).
Ne consegue l’infondatezza anche del motivo di ricorso riguardante l’intervenuta
condanna per i fatti di usura ai danni di FICCA Andrea così come di quelli
precedenti.

vedente sulla dosimetria della pena, anche in relazione alla continuazione tra i
fatti-reato in contestazione, nonché sul mancato giudizio di prevalenza delle
circostanze attenuanti generiche rispetto alle aggravanti contestate, è a sua
volta infondato.
Con specifico riguardo alla dosimetria della pena va detto che la Corte di appello
risulta avere applicato all’imputato una pena-base assai prossima ai minimi
edittali (anni tre di reclusione oltre alla multa) così di fatto riportandosi alla
sentenza del Tribunale che aveva evidenziato di proceduto alla determinazione di
tale pena sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (espressamente
richiamato in detta sentenza).
Sul punto questa Corte Suprema, con un assunto condiviso dall’odierno Collegio
ha già avuto modo di chiarire che “nel caso in cui venga irrogata una pena
prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua,
talché è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale
sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Cass. Sez. 2, sent. n.
28852 del 08/05/2013, dep. 08/07/2013, Rv. 256464).
Quanto, poi, alla motivazione relativa agli aumenti per la continuazione questa
Corte ha già avuto modo di precisare che “in tema di determinazione della pena
nel reato continuato, non sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli
aumenti di pena relativi ai reati satellite, valendo a questi fini le ragioni a
sostegno della quantificazione della pena-base” (Cass. Sez. 5, sent. n. 25751 del
05/02/2015, dep. 18/06/2015, Rv. 264993; Sez. 5, sent. n. 29847 del
30/04/2015, dep. 10/07/2015, Rv. 264551; Sez. 2, sent. n. 49007 del
16/09/2014, dep. 25/11/2014, Rv. 261424; e numerose altre in senso
conforme).
Quanto, infine, al mancato accoglimento dell’invocata prevalenza delle
circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, la Corte di appello
ha chiarito che tale decisione è fondata su complessi rapporti esistenti tra le parti
e sulla reiterazione delle condotte. Tale motivazione è più che sufficiente ed in
materia questa Corte Suprema ha già avuto modo di chiarire che “le statuizioni

15

5. Il quinto motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato UCCI e

relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una
valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di
legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e
siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per
giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a
realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Cass. Sez. U, sent. n.
10713 del 25/02/2010, dep. 18/03/2010, Rv. 245931).
6. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso formulato

reato di cui al capo D della rubrica delle imputazioni.
Già la sentenza del Tribunale alla pagg. 36 e seguenti aveva proceduto ad una
lineare ricostruzione della vicenda partendo dalle dichiarazioni del DI BIASE
(sulla cui valutazione di attendibilità si è già trattato in precedenza) ed
evidenziando che anche in questo caso le dichiarazioni della parte lesa hanno
trovato sicura conferma nelle intercettazioni – con particolare riguardo alla
conversazione intercettata tra l’imputato e la parte lesa il 17/11/2006 – che sono
risultate di palmare evidenza allorquando si è fatto riferimento all’ammontare
degli interessi praticati4.2.000 C al mese su di un finanziamento di 20.000 C
(quindi nella misura del 10% al mese).
Il Tribunale ha, poi, correttamente chiarito che ciò che conta al fine della
configurabilità del reato di usura è la pattuizione dell’interesse usurario a nulla
rilevando che MI la vittima non rispetti gli accordi ed addirittura non restituisca il
capitale ottenuto. Altre conversazioni intercettate, sempre richiamate nella
sentenza di primo grado hanno dato conforto alle dichiarazioni del DI BIASE che,
infine – sempre come rilevato dal Tribunale – sono state a loro volta confortate
dai riscontri documentali (cfr. pag. 38 della relativa sentenza).
Trattasi quindi di motivazione congrua, logica e non contraddittoria alla quale ha
fatto specchio quella della Corte di appello che non ha potuto che fare proprio
tale iter motivazionale richiamando anche la deposizione del teste Antonio DE
SANTIS.
In questa sede e per rispondere alle doglianze contenute nel ricorso che qui ci
occupa deve solo essere aggiunto:
a) che l’asserzione che i quattro assegni dell’importo di 2.500,00 C cadauno
(senza data) consegnati dal DI BIASE al DI ROCCO a seguito di un prestito di
20.000,00 C erano semplicemente stati dati in garanzia rimane a livello verbale
ed in ogni caso non sposta i termine della questione atteso che,come rilevato dai
Giudici di merito, erbe nelle conversazioni intercettate si fa riferimento ad
“interessi” di 2.000 C al mese;

16

nell’interesse dell’imputato DI ROCCO Achille che è chiamato a rispondere del

b) il fatto che tra il DI ROCCO ed il DI BIASE vi fosse un rapporto di conoscenza
e familiarità non smentisce che il primo possa avere consumato un reato di usura
nei confronti del secondo e, anzi, sembra per logica rafforzare l’idea che il primo
fosse a conoscenza dei problemi economici nei quali versava il secondo,
situazione peraltro desumibile – come si è detto sopra allorquando si è
richiamata la giurisprudenza in materia – proprio dall’ammontare del tasso di
interesse praticato;
c) il fatto che il DI BIASE avrebbe (il condizionale è d’obbligo stante il difetto di

gli fece un ulteriore finanziamento di 5.000,00 i ma che il debito iniziale rimase
inalterato con la conseguenza che in questo caso non v’è prova della promessa o
corresponsione di interessi usurari, è irrilevante, ben essendo possibile che nei
vari rapporti intercorsi tra le parti avvengano anche dei finanziamenti senza
applicazione di interessi, ma ciò non scrimina una precedente pattuizione di
interessi usurari;
d) la mancata restituzione di tutta o parte della quota capitale non esclude la
consumazione del reato di usura;
e) l’aggravante dell’avere commesso il reato ai danni di persona che svolge
attività imprenditoriale sussiste anche se le somme ottenute a titolo di
finanziamento non vengono utilizzate per l’esercizio dell’attività imprenditoriale
della vittima (v. giurisprudenza sopra richiamata);
f) sullo stato di bisogno nel quale versava il DI BIASE i Giudici del merito hanno
congruamente motivato e, comunque, si è già detto che lo stesso era desumibile
dal tasso di interesse praticato.
7. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso nel quale
oltre a riprendere alcuni degli argomenti già trattati al punto precedente si
deduce una violazione di legge legata al mancato accoglimento dell’istanza
finalizzata a disporre una perizia tecnico-contabile finalizzata alla ricostruzione
dei rapporti patrimoniali tra le parti.
La Corte di appello ha respinto l’istanza all’evidenza formulata ai sensi dell’art.
603 cod. proc. pen. chiarendo che non era affatto necessaria l’effettuazione di
una perizia tecnico-contabile per il calcolo degli interessi alla luce degli altri
elementi probatori raccolti (e richiamati) tra i quali, per l’appunto, la
conversazione intercettata nella quale la parte lesa ed il DI ROCCO discutevano
degli interessi nella misura di 2.000 C mensili.
La motivazione di tale decisione si presenta congrua e corretta e, del resto, “il
diritto della parte a vedersi ammettere prove contrastanti con l’accusa, la cui
mancata assunzione è denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 606 lett.
d) in relazione all’art. 495, comma secondo cod. proc. pen., va rapportato, per

17

“autosufficienza” del ricorso che qui ci occupa) anche affermato che il DI ROCCO

verificarne il fondamento, alla motivazione della sentenza impugnata. Viene,
infatti, ad essere priva di fondamento la censura che denunzi il rigetto, sul
punto, della istanza difensiva, se tale rigetto risulti sorretto da argomentazioni
logiche, idonee a dimostrare che le cosiddette controprove, dedotte dalla parte,
non possono modificare il peso delle prove di accusa” (Cass. Sez. 6, sent. n.
11411 del 14.10.1993 dep. 14.12.1993 rv 198554).
A ciò si aggiunge il fatto che “la perizia non rientra nella categoria della “prova
decisiva” ed il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi

risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è
insindacabile in cassazione (Cass. Sez. 6, sent. n. 43526 del 03/10/2012, dep.
09/11/2012, Rv. 253707).
D’altro canto “il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale
in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa
della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi
sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Cass. Sez.
6, sent. n. 30774 del 16/07/2013, dep. 17/07/2013, Rv. 257741).
8.

Manifestamente infondato, oltre che generico, è il ricorso formulato

nell’interesse dell’imputato DI ROCCO Carmine chiamato a rispondere del reato
di cui al capo C della rubrica delle imputazioni.
Il Tribunale ha ampiamente motivato sulla vicenda alla pagg. 33 e segg. della
propria sentenza, ancora una volta operando un logico iter ricostruttivo della
vicenda e delle prove e la Corte di appello ha opportunamente ripercorso, anche
attraverso un legittimo richiamo ai passaggi del Tribunale, la vicenda del
rapporto usurario.
Per contro il ricorso è caratterizzato da affermazioni apodittiche che si limitano
sostanzialmente ad affermare che vi sia prova di quanto affermato dai giudizi del
merito e più in generale di un rapporto di natura usuraria esistente tra le parti.
Così facendo si limita però, con affermazione apodittiche, a formulare una
richiesta di rivalutazione nel merito della vicenda, richiesta che non può essere
ammissibilmente proposta in sede di legittimità.
9.

Inammissibile tout court deve essere dichiarato il ricorso formulato

nell’interesse dell’imputato VALERIO sotto entrambi i profili nei quali si è
sviluppato.
Ferme restando le valutazioni già operate in relazione a tale reato allorquando si
è trattato della posizione del coimputato UCCI, va detto che il ricorso qui in
esame è caratterizzato da un contenuto al tal punto oscuro da non lasciare
ragionevolmente intendere quali siano esattamente i profili di doglianza che sono
stati proposti.

18

dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., in quanto costituisce il

Non è, poi, un ricorso “autosufficiente” secondo i principi dettati in materia dalla
Giurisprudenza di questa Corte Suprema contenendo soltanto il riferimento ad un
paio di frasi estrapolate da un ampio contesto motivazionale della sentenza
impugnata e soprattutto è del tutto aspecifico perché privo dei requisiti prescritti
dall’art. 581, comma 1, lett. c) c.p.p. in quanto, a fronte di una motivazione
della sentenza impugnata congrua e logicamente corretta, non indica gli
elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice
dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.

per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste
a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni
del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente
dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191,
Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez.
4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n.
35492, Tasca, Rv. 237596).
10. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso formulato nell’interesse
dell’imputato UCCI Pierluigi, con condanna di tale ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
11. Per le considerazioni or ora esposte devono invece essere dichiarati
inammissibili i ricorsi degli imputati DI ROCCO Achille, DI ROCCO Carmine e
VALERIO Oreste.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna di detti ricorrenti, in solido
tra loro, al pagamento delle spese del procedimento e, quanto a ciascuno di essi,
al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di C 1.500,00 (millecinquecento) a titolo di
sanzione pecuniaria.
12. Ne discendono, altresì, le correlative statuizioni di seguito espresse in
ordine alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile DI
BIASE Nicola, la cui liquidazione, tenuto conto del livello di complessità della
vicenda processuale, esclusa la liquidazione di onorari per la fase introduttiva del
giudizio in quanto non presente nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione,
viene operata secondo l’importo in dispositivo meglio enunciato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di UCCI Pierluigi che condanna al pagamento delle spese
processuali.

19

La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo

Dichiara inammissibili i ricorsi di DI ROCCO Achille, DI ROCCO Carmine e
VALERIO Oreste e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla
parte civile DI BIASE Nicola, spese che liquida in complessivi C 3.510,00 oltre
accessori di legge.

Così deciso in Roma il giorno 8 aprile 2016.

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