Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20773 del 21/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20773 Anno 2015
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: PALLA STEFANO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ZAWADA JAKUB N. IL 19/04/1992
avverso la sentenza n. 323/2013 TRIBUNALE di PADOVA, del
04/07/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. STEFANO PALLA;

Data Udienza: 21/04/2015

Zawada Jakub ricorre avverso la sentenza 4.7.13, emessa dal Tribunale di Padova ai sensi degli
artt.444 ss. c.p.p., con la quale gli è stata applicata, per il reato di furto, ritenuta la continuazione
con i fatti di reato giudicati con sentenza 15.12.11 del G.i.p. di Padova (irr.le il 10.10.12), più gravi,
la pena di mesi uno di reclusione ed € 100,00 di multa, determinando la pena complessiva in anni
uno, mesi nove e giorni venti di reclusione ed € 400,00 di multa.

comma 1, lett. b) c.p.p. per errata qualificazione giuridica del fatto, essendosi trattato di
appropriazione indebita, avendo l’imputato legittimamente conseguito il possesso dell’apparecchio
cellulare, ottenuto in prestito per eseguire una telefonata e poi non restituito.
Osserva la Corte che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto manifestamente
infondato, atteso che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato a quanto
contenuto nell’accordo tra le parti e, dall’altro, ha escluso che ricorressero i presupposti dell’ art.129
c.p.p., facendo riferimento al contenuto delle s.i.t. rese da Ghidu Andrea e alla querela della p.o.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione
della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere
di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, Sez.un., 27 settembre
1995, Serafino; Sez.un., 25 novembre 1998, Messina; Sez.II, 17 febbraio 2012, n.6455), laddove
poi del tutto correttamente è stata ritenuta l’ipotesi del furto dal momento che l’imputato non aveva
avuto il possesso del cellulare, non potendo disporne uti dominus, ma solo per fare una telefonata,
di modo che non è configurabile neanche la detenzione qualificata ai fini dell’art.646 c.p.
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in
€ 1.500,00.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, violazione dell’art.606,

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Roma, 21 aprile 2015

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