Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20770 del 21/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20770 Anno 2015
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PEPE STELLA N. IL 31/12/1933
ACCARDI MARIA N. IL 12/02/1954
avverso la sentenza n. 7/2012 TRIBUNALE di ENNA, del 16/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 21/04/2015

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, confermativa di quella di primo grado, il
Tribunale di Enna ha ritenuto Pepe Stella e Accardi Maria responsabili del delitto
di ingiuria aggravata nei confronti di Scaletta Francesca, alla presenza di due
agenti della polizia municipale;
– che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambe
le imputate, con atto sottoscritto personalmente, con il quale deducono

riferito dai testi le ingiuria e le offese furono reciproche, per cui il giudice non ha
valutato correttamente la deposizione dei vigili urbani Colleroni e Marotta, che
hanno confermato il verificarsi di una lite con offese reciproche;
– che con memoria del 1 aprile 2015 il difensore delle imputate, avv. Marco
Inches, articola un motivo aggiunto, riguardante vizio di motivazione in ordine
alle dichiarazioni di Scaletta Francesca, che ha attribuito alla condotta
dell’imputata uno scolo di acque in realtà derivante dallo studio del dott. Corso,
sicchè la teste Scaletta doveva essere ritenuta inattendibile; che con riferimento
alla reciprocità delle offese il teste Colleroni ha riferito la frase “lorda si tu” e non
“ci sei tu” ed il teste Marotta ha parlato di reciprocità delle offese, per cui andava
affermata la sussistenza della esimente della reciprocità delle offese;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile per genericità, poiché la sentenza
impugnata chiarisce in maniera dettagliata che anche a voler ammettere che la
persona offesa abbia risposto alle offese ricevute di “bagascia” e “lorda”, la frase
“ci sei tu” attribuitale da un teste non avrebbe comunque una pregnanza

offensiva nei confronti delle due imputate, rivestendo un connotato meramente
difensivo, tale da non richiedere certamente una risposta sanzionatorie, sicché
devono escludersi i presupposti richiesti dall’articolo 599 cod. pen.;
– che a fronte di tale motivazione, la quale esclude la sussistenza dell’esimente
della ritorsione, i ricorrenti si limitano ad invocare una non meglio precisata
reciprocità delle offese, senza confrontarsi in alcun modo con le argomentazioni
della decisione del Tribunale, per cui sotto questo profilo il ricorso è senza dubbio
generico, omettendo la necessaria “indicazione specifica delle ragioni di diritto e
degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”, imposta dall’art. 581,

comma 1, lettera c), richiesta a pena di inammissibilità per ogni impugnazione
dall’art. 591, lettera c), cod. proc. pen.;
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violazione e falsa applicazione dell’articolo 599 cod. pen., poiché secondo quanto

- che la mancanza di specificità del motivo dev’essere apprezzata non solo per la
sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste
a fondamento dell’impugnazione, non potendo questa ignorare le esplicitazioni
del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a mente
dell’art. 591 cod. proc. pen., comma primo, lett. c), all’inammissibilità;
– che non soccorrono allo scopo i motivi dedotti con la memoria del 1 aprile
2015, poiché dall’inammissibilità per genericità del ricorso principale deriva

successivamente. È costante la giurisprudenza di questa Corte, per discostarsi
dalla quale -non – sussistono–ragioni., secondo cui:

“Il nuovo, codice di rito,

innovando rispetto a quello del 1930, ha unificato in un unico atto i due momenti
della dichiarazione di impugnazione e della presentazione dei motivi con la
conseguenza che l’impugnazione deve considerarsi unitaria e che l’indicazione di
motivi generici nel ricorso, in violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c), costituisce di
per sè motivo di inammissibilità del proposto gravame, anche se
successivamente vengono depositati nei termini di legge i motivi nuovi ex art.
585 c.p.p., comma 4, ad integrazione e specificazione di quelli già dedotti” (Sez.
6, n. 8596 del 21/12/2000, Rappo, Rv. 219087; Sez. 6, n. 47414 del
30/10/2008, Arruzzoli, Rv. 242129);
– che d’altra parte anche le doglianze proposte col motivo nuovo, si risolvono in
censure di fatto, che contrappongono un alternativo apprezzamento alla
valutazione operata dei giudici di merito, finendo con il richiedere alla Corte di
legittimità di prendere posizione tra le diverse letture dei fatti. Indice sintomatico
di tale intento è il richiamo di passaggi della deposizione dei testi Colleroni e
Marotta, senza che ne sia però denunciato il travisamento (il quale avrebbe
richiesto la trascrizione integrale del verbale dibattimentale o la produzione dello
stesso); sotto questo profilo va ribadito che la Corte di cassazione non ha il
compito di trarre_ valutazioni._ autonome dalle prove o dalle fonti di prova, e
pertanto non si può addentrare nell’esame del contenuto documentale delle
stesse, neppure se riprodotte parzialmente nel provvedimento impugnato e,
tanto meno, se contenute in un atto di parte, poiché in sede di legittimità è
l’argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti
indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato che è sottoposta al controllo
del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole
della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva (Sez.
6, n. 28703 del 20/04/2012, Bonavota, Rv. 253227);
– che in conclusione l’inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui
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inevitabilmente la inammissibilità anche dei motivi nuovi depositati

all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad
escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione
pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro mille;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alle cassa delle

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2015
Il-consigliere estensore

esidente

ammende.

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