Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20770 del 11/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20770 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SCAGLIONE STEFANIA nato 11 18/02/1972 a FRASCATI

avverso l’ordinanza del 14/07/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere MONICA pNi;
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lette/s~ le conclusioni del

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Data Udienza: 11/04/2018

Rilevato in fatto

1.Con ordinanza in data 14 luglio 2017 il Tribunale di sorveglianza di Roma
rigettava l’istanza proposta dalla condannata Stefania Scagione, già ammessa alla
detenzione domiciliare, volta ad ottenere la misura alternativa dell’affidamento in
prova.
2.Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessata a mezzo del difensore
per i seguenti motivi:

a) nullità dell’ordinanza per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla
inosservanza dei presupposti normativi per l’applicazione dell’affidamento in prova
e travisamento del fatto. Secondo la difesa, il Tribunale di sorveglianza ha riportato
per relationem la motivazione di precedente provvedimento il che determina la
nullità e/o abnormità dell’ordinanza per totale carenza dei passaggi motivazionali di
supporto della decisione a fronte degli elementi di

novità

introdotti

successivamente. In particolare, il collegio di sorveglianza ha concentrato la propria
attenzione solo sulla relazione comportamentale redatta dall’assistente sociale,
sebbene conclusasi con un giudizio favorevole e sulla pendenza di altro
procedimento penale che escluderebbe l’occasionalità dell’esperienza criminosa
senza avere considerato la condizione attuale della ricorrente, del tutto
irreprensibile ed inappuntabile, dedita al lavoro ed alla famiglia, priva di pendenze
successive all’anno 2009 ed estranei a contesti di criminalità organizzata.
b)

Vizio di motivazione ed omessa valutazione dell’informativa della polizia

giudiziaria in merito alla condotta di vita tenuta post delictum in quanto idonea a
rivelarne la personalità ed all’assenza di pendenze, nonostante il decorso di un
lungo periodo dai fatti, ad eccezione del procedimento per reato tributario
riconducibile alla stessa vicenda già giudicata. La motivazione dell’ordinanza è
inadeguata e contraddittoria perchè esclude indici concreti di revisione critica della
precedente vicenda, ma riconosce altresì una serie di indici positivi significativi di
tale revisione, quali il corretto comportamento successivo al reato, l’attività
lavorativa, l’ammissione degli errori commessi. Del resto anche la giurisprudenza di
legittimità ha affermato che non può pretendersi che il percorso di recupero sia già
compiuto essendo sufficiente l’avvio della revisione critica del passato.
c) Carenza assoluta di istruttoria nel procedimento che ha esitato il provvedimento
impugnato. E’ stata omessa la considerazione della relazione sull’osservazione
comportamentale, favorevole alla concessione dell’affidamento in prova e del tutto
travisata e qualsiasi dubbio avrebbe dovuto essere chiarito mediante una c.t.u.
sulla personalità della ricorrente o con la richiesta di chiarimenti agli operatori
sociali in base ai poteri ufficiosi che competono al Tribunale di sorveglianza al fine di
appurare le circostanze sulla separazione personale dal coniuge ed alla successiva
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/,

riconciliazione.
d) Vizio di motivazione quanto alla asserita pendenza di altro procedimento per
reati tributari che in realtà riguarda un episodio riconducibile alle stesse vicende per
le quali è stato già definito il processo, rispetto alle quali è stato soltanto operato
uno stralcio.
e) Illogicità e incongruità della motivazione ed errata valutazione ed interpretazione
relativa alla mancata autorizzazione a proseguire l’attività lavorativa; il Tribunale ha
omesso di valutare lo svolgimento di regolare e continua attività lavorativa dal

mentre il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto di non poter accordare spazi esterni
per svolgere impegno lavorativo perchè richiedente movimenti tanti ampi da essere
incompatibili con la detenzione domiciliare, trascurando però che gli spostamenti
sarebbero minimi e che, secondo l’orientamento interpretativo della Suprema Corte,
la disponibilità di un’occupazione non costituisce uno dei presupposti per
l’applicazione dell’affidamento in prova.
f) Manifesta illogicità ed insufficienza della motivazione ed omessa valutazione del
provvedimento di ammissione all’affidamento del coimputato Tempestilli con ampia
possibilità di movimento nell’ambito della Regione Lazio, sebbene lo stesso sia stato
indicato quale capo e promotore dell’associazione a delinquere, di cui la ricorrente è
stata riconosciuta mera partecipe, in quanto dipendente della stessa società per la
quale opera. Il Tribunale si è posto in contrasto con la decisione assunta in favore
del Tempestilli, ritenendo che la valutazione di pericolosità debba essere
personalizzata senza però individuare di diversificazione tra le due posizioni.
3. Con successiva memoria, la difesa ha ulteriormente illustrato i motivi già
proposti; ha quindi aggiunto un ulteriore motivo col quale ha denunciato l’errore
valutativo e di interpretazione degli atti quanto alle condizioni di separazione tra i
coniugi ed all’atto di transazione del 7/9/2012 con la società Atim s.r.I., la
motivazione contraddittoria quanto alla considerazione dell’importo versato dalla
ricorrente al Fondo unico di giustizia ed alla Atim s.r.l. ed il travisamento del fatto.
Inoltre, ha dedotto la nullità dell’ordinanza per violazione del principio di
immutabilità del giudice naturale in quanto la valutazione dei presupposti applicativi
della misura è stata effettuata da magistrato che non aveva seguito l’intero
percorso rieducativo posto in essere dalla Scaglione, mentre l’unico magistrato che
avrebbe dovuto partecipare alla decisione era il dr. Giordano.
4.Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di
cassazione, dr. Francesco Sazano, ha chiesto l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato.

Considerato in diritto

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2013, ampiamente documentata dalla difesa e già di per sé indice di resipiscenza,

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
1.In primo luogo, non può accogliersi il motivo nuovo, col quale la ricorrente
ha lamentato il mutamento del giudice naturale, questione processuale che è stata
dedotta in termini incomprensibili e non verificabili: il riferimento ad altro
magistrato “unico dominus titolare del procedimento di sorveglianza nei confronti
della Scaglione” ed alla sua sostituzione non fa intendere in quale modo sarebbe
stato violato il principio di immutabilità del giudice, posto che non viene specificato

trattazione del procedimento. Se, come pare di intuire, è accaduto prima
dell’udienza, non si vede come possa parlarsi di un censurabile mutamento del
giudice naturale: il principio evocato impone solamente che la decisione sia assunta
da giudice che ha seguito la trattazione del processo, come verificatosi nel caso in
esame (Cass., sez. 1, n. 20351 del 10/04/2014, Said Abd El Salam, rv. 262258;
sez. 1, n. 17146 del 05/04/2016, Loi, rv. 267242). Non rileva poi, in difetto di una
specifica norma che disponga in tale senso, non indicata dalla difesa, che tale dr.
Giordano abbia seguito il percorso rieducativo della ricorrente, poiché si ignora a
quale ufficio il predetto magistrato sia assegnato e se lo fosse anche al momento
della decisione, non risultando nemmeno dedotta la violazione delle regole tabellari
che presiedono alla formazione del collegio del tribunale di sorveglianza.
2. Tanto premesso, l’ordinanza in esame, nel ritenere di non poter ammettere
la condannata alla più ampia misura alternativa dell’affidamento in prova, presenta
un percorso analitico del caso, che ha preso l’avvio dalla considerazione della
natura e della gravità dei fatti accertati e dei reati per i quali è stata irrogata la
pena in espiazione, come emergenti dagli atti del relativo procedimento e dalla
sentenza di applicazione pena a richiesta delle parti, in merito ai quali ha
motivatamente espresso un giudizio di elevato disvalore. Nel richiamare
brevemente le vicende oggetto del procedimento di cognizione, ha evidenziato
plurimi profili fattuali di marcata negatività: la partecipazione della Scaglione ad
associazione per delinquere composta da cinquantadue persone e la commissione di
truffe in danno dello Stato per un decennio dal 2002 al 2012, quindi il protratto
periodo di dedizione al crimine, la molteplicità delle attività truffaldine e
l’elevatissimo ammontare dei danni cagionati all’Erario per l’omesso versamento di
contributi previdenziali e delle imposte, già in sé indicativi di uno stabile sistema
operativo organizzato, volto ad eludere gli obblighi fiscali e dell’elevata pericolosità
sociale della condannata.
Ha quindi esteso la propria disamina alla condotta tenuta dalla Scagione nel
periodo successivo ai delitti già giudicati, rispetto al quale ha evidenziato:
-la pendenza di altro procedimento per emissione di fatture per operazioni

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quando la sostituzione sarebbe avvenuta e se ciò si sia verificato dopo l’inizio della

inesistenti, reati consumati tra il 2006 ed il 2009, circostanza che consente di
escludere l’occasionalità e la estemporaneità dell’esperienza criminosa, al contrario
caratterizzata da sistematicità e professionalità;
– l’assenza di consapevolezza sul reale disvalore delle condotte criminose poste in
essere e del negativo stile di vita prescelto, improntato alla ricerca di vantaggi
patrimoniali nell’assenza di un approfondimento delle ragioni di tale scelta;
– l’irrilevanza della dedizione al lavoro e della mancata frequentazione di
pregiudicati, poichè anche in tali condizioni è possibile la maturazione di condotte

ai reati finanziari e tributari, come già avvenuto in passato;
– l’irrilevanza della concessione al marito e coimputato dell’affidamento in prova per
la medesima condanna, frutto di separata decisione e comunque di una valutazione
individualizzata dei presupposti applicativi, tanto più che l’affidamento è negato,
non per le sfavorevoli condizioni di vita, ma per la pericolosità soggettiva e per
l’assenza di positiva evoluzione della personalità e l’assenza di revisione critica
rispetto alle esperienze passate.
Ha quindi concluso che, nonostante il quadro non positivo, per l’assenza di
nuovi elementi significativi, la già avvenuta ammissione alla detenzione domiciliare,
giusta decisione adottata pochi mesi prima, deve considerarsi la soluzione corretta
ed adeguata, essendo tale più limitativa misura quella idonea a fronteggiare il
pericolo di recidivazione.
2.1Ad avviso del Collegio, non ha fondamento l’eccezione di nullità
dell’ordinanza per assoluta carenza di motivazione: il richiamo delle argomentazioni
contenute nel precedente provvedimento, adottato solo pochi mesi prima, e la
indicazione delle specifiche ragioni della loro condivisione e della perdurante validità
rende effettiva e congrua la motivazione che esplicita con efficacia e chiarezza le
ragioni della decisione. Né può censurarsi la scelta dei giudici di merito di non
condurre approfondimenti istruttori mediante una c.t.u. sulla personalità della
ricorrente che avrebbe soltanto un valore esplorativo e non decisivo o mediante un
supplemento di relazione sulle vicende personali della separazione della Scaglione
dal marito e della riconciliazione o sulla transazione raggiunta con la Atim s.r.I.,
vicende queste ultime che non sono state specificamente considerate quali elementi
negativi di valutazione, né indici in sé di pericolosità sociale.
2.2 Quanto al dedotto travisamento della circostanza della pendenza di altro
procedimento penale per reati fiscali non v’è dubbio che la pendenza esista, né la
difesa ha potuto dimostrare l’avvenuta archiviazione o la disposta assoluzione della
Scaglione; si tratta dunque di un fatto veritiero, la cui considerazione rientra nei
poteri cognitivi del giudice di merito, che ne ha fatto cenno nell’ambito della
ricostruzione degli illeciti di cui ella è chiamata a rispondere e della loro non
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criminose favorite dal contesto lavorativo e dai contatti sociali, specie in riferimento

occasionalità, correttamente intesa in riferimento ad attività criminosa protratta per
un decennio.
2.3 Inoltre, anche le censure sulla parzialità ed il travisamento dei dati
informativi non hanno pregio. I giudici di sorveglianza, dimostrando in ciò di avere
condotto una verifica fattuale su tutti gli aspetti del caso, come emersi
dall’istruttoria e dedotti anche dalla difesa, hanno apprezzato come prevalenti i
rilievi negativi sulla personalità della condannata rispetto agli elementi positivi del
caso, pur riconosciuti come sussistenti e segnalati anche nella relazione degli

giustificato.
Sono pervenuti alla decisione reiettiva, facendo ricorso a criteri di valutazione
corretti rispetto al parametro legale di riferimento, costituito dalle disposizioni
dell’art. 47 ord. pen., come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, laddove
hanno assegnato rilievo non secondario al comportamento tenuto dalla condanna,
alla mancata consapevolezza dei propri errori ed alla mancata presa di distanza da
essi, dedotti dalla negazione di responsabilità rispetto a fatti di allarmante gravità e
forieri di consistenti pregiudizi, anche per la sua persona, non soltanto per la
collettività.
In tal modo il Tribunale si è allineato ai criteri dettati da questa Corte,
secondo i quali la lettura sistematica delle varie disposizioni contenute nell’art. 47
citato impone che la valutazione della richiesta di affidamento in prova, pur
partendo dalla considerazione della natura e della gravità dei reati per i quali è
stata irrogata la pena in espiazione, non possa mai prescindere dalla condotta
tenuta dal condannato dopo la commissione del reato e dai suoi comportamenti
attuali, risultando questi essenziali ai fini dell’apprezzamento dell’esistenza di un
effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva
(Cass. 1, n. 1501 del 12/3/1998, Fatale, rv. 210553; sez. 1, n. 371 del
15/11/2001, Chifari, rv. 220473; sez. 1, n. 31809 del 9/7/2009, Gobbo, rv.
244322).
L’indagine condotta dal Tribunale di sorveglianza ha stigmatizzato in modo
appropriato e del tutto pertinente al tema devoluto alla sua cognizione
l’atteggiamento della Scaglione senza essere incorso in alcuna forma di
travisamento dei dati probatori. Effettivamente, per quanto esposto nel
provvedimento ed in quello in esso richiamato, non risulta che ella abbia intrapreso
una seria riflessione critica sul proprio passato deviante e sulle condotte gravissime
poste in essere, che si sia proposta di svolgere una qualche attività risocializzante,
diversa dal lavoro e dalla cura della propria famiglia, che abbia lealmente ammesso
la pendenza di altro procedimento penale e ciò a prescindere dalla riconducibilità
dei relativi fatti di reato al medesimo contesto in cui erano maturati quelli fi
i/

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operatori dell’U.E.P.E., con un giudizio di merito discrezionale, ma ampiamente

giudicati.
Quanto alla disparità di trattamento rispetto alla posizione del marito, esclusa
la sussistenza di un obbligo di conformazione a tale diversa decisione, il ricorso non
indica alcun elemento dal quale poter desumere l’identità delle due posizioni
processuali, tali da giustificare anche identico percorso esecutivo.
Infine, in ordine alla mancata autorizzazione a svolgere attività lavorativa,
tale statuizione attiene alla misura domiciliare ed è stata adottata con il precedente
provvedimento che l’ha applicata, non è quindi pertinente tale motivo alla diversa

Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, 1’11 aprile 2018.

misura dell’affidamento che è stata negata.

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