Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20747 del 02/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20747 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cavalli Giorgio, nato a Milano il 01/08/1940

avverso la sentenza del 23/10/2013 del Tribunale di Ancona

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola
Filippi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 ottobre 2013, il Tribunale di Ancona ha condannata
Giorgio Cavalli in relazione al reato di cui all’art. 18 comma 2 e 5 bis legge 10
settembre 2003, n. 273, in qualità di amministratore unico dell’impresa “L’idea
Lavoro scarl”, perchè stipulava un contratto d’opera in assenza dei requisiti di cui
all’articolo 29 legge 10 settembre 2003 n. 276, ponendo in concreto in essere a
favore della Cantoni S.p.A. una mera somministrazione di manodopera ( capo a),
e del reato di cui all’art. 28 legge 10 settembre 2003 numero 276 perché nella
qualità di cui sopra, tenendo la condotta descritta nel medesimo capo a), poneva

Data Udienza: 02/03/2016

in essere una somministrazione di manodopera nelle forme di un appalto a
favore di Cantoni S.p.A. al fine di eludere norme inderogabili di legge o del CCNL
alla pena complessiva di C 482.370.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’avv. Alessia Sorgato,
difensore di fiducia di Giorgio Cavalli, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo,
quale unico motivo, la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. d) cod.proc.pen. in
relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva. Argomenta il ricorrente
che nel corso dell’istruttoria dibattimentale il giudice aveva interrotto gli esami di

di Luigi Libutti consulente del lavoro della società cooperativa, testimoni indicati
dalla difesa e ammessi nel processo ex art. 495 cod.proc.pen., poiché aveva
ravvisato nei loro confronti indizi di reità e così facendo, avendo congeda9 i testi
dopo l’interruzione dell’esame, avrebbe determinato la mancata assunzione di
una prova nei confronti del ricorrente, giacchè le testimonianze dei predetti
avrebbero fondato la tesi difensiva da cui la mancata assunzione di una prova
decisiva e dunque la violazione dell’art. 606 comma 1 lett d) cod.proc.pen. In
particolare il giudice avrebbe dovuto proseguire l’esame, dopo gli avvertimenti di
cui all’art. 63 comma 1 cod.proc.pen. e, in ogni caso, le sue dichiarazioni, non
utilizzabili nei suoi confronti, *lir ebbero potuto essere utilizzate nei confronti di
terzi e dunque anche sotto questo aspetto si configura la mancata assunzione di
una prova decisiva.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è manifestamente infondato.
Va rammentato che è principio consolidato della giurisprudenza di legittimità,
quello secondo cui deve ritenersi “prova decisiva”, ai sensi dell’art. 606 comma 1
lett. d) cod.proc.pen., quella prova che, confrontata con le argomentazioni
contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita,
avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Cass., Sez. 2, n.
16354/2006, Rv. 234752; Cass., Sez. 6, n. 14916/2010, Rv. 246667), ovvero
quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la
struttura portante (Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv.259323; Sez,
3, n. 27581/2010, Rv. 248105). Ed ancora, la prova decisiva, la cui mancata
assunzione può essere dedotta in sede di legittimità, a norma dell’art. 606,
comma primo, lett. d), cod. proc. pen., deve avere ad oggetto un fatto certo nel
suo accadimento e non può consistere in un mezzo di tipo dichiarativo il cui

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Giulia Angaramo, impiegata della società in relazione alla suddivisione dei ruoli e

risultato è destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri
elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l’ipotesi di un astratto quadro
storico valutativo favorevole al ricorrente (Sez. 1 5, n. 9069 del 07/11/2013,
Pavento, Rv. 259534).
Nella specie, difetta il requisito della decisività della prova per due ordini di
ragioni. In primo luogo le circostanze di fatto destinate ad essere confermate
attraverso l’assunzione delle testimonianze di Giulia Angarano, impiegata della
cooperativa e Luigi Libutti, consulente del lavoro, sono genericamente indicate

impossibile, stante la genericità stessa, di apprezzarne la decisività in relazione
al fatto da provare che – in tesi difensiva – sarebbe dimostrativo della
insussistenza/non colpevolezza del ricorrente. Ancor più nel caso in esame che,
avendo assunto costoro la veste di indagati in reato connesso, la ioto assunzione
sarebbe stata subordinata alla scelta, di costoro,Nnon avvalersi della facoltà di
non rispondereie dunque la prova dichiarativa stessa sarebbe del tutto eventuale
perché rimessa alla decisione delle parti. Ma soprattutto difetta il carattere di
decisività della prova invocata alla luce del complesso motivazionale.
Ed invero, risulta dalla sentenza impugnata, che il Giudice ha ritenuto provati i
reati contestati sulla base delle convergenti testimonianze assunte, secondo le
quali, tutti i lavoratori indicati nel capo di imputazione erano soci della
cooperativa “L’Idea Lavoro”, di cui il ricorrente era legale rappresentante, ed
erano strutturalmente inseriti nella Cantoni spa, svolgevano le mansioni e orari
dei dipendenti di questa, rispondevano alle direttive dei capireparto, pur essendo
retribuiti dalla cooperativa. Tra la cooperativa e la Cantoni vi era poi un contratto
di comodato d’uso degli impianti e dei macchinari e le fatture tra le due società
erano di importo inferiore ai costi, circostanze questi.’ dimostrative della
sussistenza dei reati addebitati al ricorrente e correttamente evidenziate dal
Giudice del merito. Infine, è correttamente argomentato anche il profilo
soggettivo del reato contestato al ricorrente quale legale rappresentante e
dunque tenuto a controllare l’asserito operato dell’amministratore di fatto,
essendo sufficiente ad integrare il reato la colpa. Conclusivamente il ricorso è
manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

5. Va, peraltro, rilevato che l’art. 1 del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 del 2016 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2016 ed in vigore dal 6
febbraio 2016 – dispone, al primo comma, che “non costituiscono reato e sono
soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro
tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o
dell’ammenda”. Ai sensi del successivo comma 3 si prevede che ” la disposizione
del comma i non si applica ai reati previsti dal codice penale, fatto salvo quanto

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dallo stesso ricorrente in quanto , di tal chè diviene

previsto dall’articolo 2, comma 6, e a quelli compresi nell’elenco allegato al
presente decreto.”

Dal combinato disposto di queste previsioni normative si

ricava che i reati di cui all’art. 18 comma 5 bis del d.lga 10 settembre 2003, n.
276, nel caso di appalto privo dei requisiti di cui all’art. 29 comma 1, e di
distacco privo dei requisiti di cui all’art. 30 cit, salvo nell’ipotesi aggravata, e
quello di somministrazione irregolare di cui all’art. 28 del medesimo decreto,
essendo puniti nella pena base dalla sola pena pecuniaria dell’ammenda ( C 50 di
ammenda per ogni lavoratore e per ciascuna giornata di occupazione, il primo, e

somministrazione, il secondo) e non essendo ricompresi nelle ipotesi di
esclusione di cui all’allegato del decreto, non costituiscono più reato e sono
soggetti alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro.
Nel caso in esame al ricorrente era stata contestata la violazione di cui all’art.
18, comma 5-bis, d. Igs. n. 276 del 2003 in relazione all’art. 29, e l’art. 28 del
medesimo decreto, violazioni che sono punite nella fattispecie base, qual è quella
contestata, con la pena della sola ammenda.
6. L’inammissibilità del ricorso per cassazione per qualunque causa intervenuta
non consentfflf formarsi di un valido rapporto processuale e preclude la
possibilità di dichiarare la depenalizzazione del reato (Sez. 4, n. 8200 del
25/01/2001, Varas Mendoza, Rv 218972). Retroagendo alla data del verificarsi
della causa che l’ha determinata, preclude la trattazione di tutte le questioni, sia
di procedura che di merito, in quanto non consente il formarsi di un valido
rapporto di impugnazione, così precludendo la possibilità di rilevare o dichiarare
le cause di non punibilità, a norma dell’art. 129 cod.proc.pen., ivi comprese
quella dell’intervenuta abrogazione della norma incriminatrice che potrà essere
dichiarata in sede esecutiva ai sensi dell’art. 673 cod.proc.pen.
7.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del

ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

4

C 20 di ammenda per ogni lavoratore e per ciascuna giornata di

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 02/03/2016

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