Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20734 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20734 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SEMERARO LUCA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TAVAGLINI GIULIO nato il 17/08/1940 a BOLOGNA
nel procedimento a carico di quest’ultimo

avverso l’ordinanza del 09/06/2017 del TRIB. LIBERTA’ di BOLOGNA

sentita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;

sentite le conclusioni del PG FRANCESCO SALZANO
SULL’ISTANZA Il Proc. Gen. SI RIMETTE ALLA CORTE E NEL MERITO CONCLUDE
CHIEDENDO IL RIGETTO.

Data Udienza: 07/11/2017

Ritenuto in fatto

1. Il difensore di Giulio Tagliavini, nella qualità di ex presidente del consiglio
di amministrazione di Consorzio CAE soc. Coop., ha proposto ricorso avverso
l’ordinanza del Tribunale del riesame di Bologna che ha rigettato la richiesta di
riesame del sequestro per equivalente di beni di proprietà di Giulio Tagliavini.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, con decreti del
3 maggio 2017 e 15 maggio 2017, ha disposto fra l’altro il sequestro preventivo

delitto ex artt. 110 cod. pen. e 10 quater d. Igs. 74/2000.

2. La difesa ha proposto un unico motivo, relativo alla «Violazione dell’art.
322 ter c. p.p. in relazione all’art. 10 quater del d.lgs. 74 del 2000». In sintesi,
secondo il difensore, vi è stata la violazione dell’art. 322 ter cod. proc. pen. che
prevede, nell’interpretazione data dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
(SS. UU. RV. 258647), l’obbligo di un tentativo di escussione diretto sui beni della
società che ha conseguito il vantaggio fiscale prima di poter aggredire per
equivalente i beni dell’indagato. Ritiene la difesa che dagli atti di indagine emerga
che non vi è stata alcuna attività di ricerca di beni aggredibili presso le società
prima di agire sul patrimonio del ricorrente; né dall’informativa finale della polizia
giudiziaria né dalla richiesta di sequestro del pubblico ministero risulta una analisi
anche sommaria del patrimonio delle società che avrebbe legittimato la misura in
via equivalente adottata dal Giudice per le indagini preliminari (RV 267649).
Rileva la difesa che il Tribunale del riesame ha ritenuto assolto l’onere
probatorio in base a quanto accertato dai verificatori fiscali in data 23/07/2012 ed
al fallimento della società (pag. 9); il Tribunale del riesame ha richiamato la
sentenza Bartolini (RV 261929) della Corte di Cassazione. Secondo la difesa,
invece, proprio la sentenza Bartolini consente di ritenere fondato il ricorso per
cassazione, perché la corretta procedura prevede necessariamente, ma
sufficientemente da parte del pubblico ministero, un’analisi allo stato degli atti del
patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.
Secondo la difesa – anche a voler ritenere che spetti al Tribunale del riesame
la valutazione circa l’esistenza in atti della prova di tale attività, qualora il pubblico
ministero non vi abbia proceduto ed il giudice per le indagini preliminari abbia
comunque disposto la misura – l’ordinanza impugnata è viziata da una valutazione
errata poiché il Consorzio è in grado di soddisfare la misura cautelare reale. La
capienza dell’ente emerge dalla relazione del curatore fallimentare in atti (fald. 14
pag. 657 e ss.), che segnala la presenza di ingenti crediti, di cui alcuni incassati;
nella relazione il curatore rappresenta che dal 30 settembre 2013 alla data del
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dei beni di Giulio Tagliavini, finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del

fallimento (8 ottobre 2013) la società ha incassato crediti per euro 67.582, 68,
accreditati sul conto corrente 151980 il cui saldo attivo è passato da 196.793,59
a euro 264.376,27.
La difesa poi ha contestato la motivazione del Tribunale del riesame quanto
all’accertamento svolto in sede tributaria poiché tale accertamento è superato
cronologicamente dalla relazione del curatore, perché risale al 2012 e non è
compatibile con la necessità di attualità delle esigenze cautelari.
La difesa ritiene poi approssimativa l’affermazione del Tribunale del riesame

data 8 ottobre 2013; secondo la difesa la fase fallimentare è quella propria del
pagamento delle sanzioni e dei debiti e dunque fino a chiusura di procedura il
sequestro è strumento del tutto adeguato e possibile.
La difesa ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

1. Preliminarmente deve essere rigettata l’istanza di rinvio del difensore per
legittimo impedimento. Per come formulata, l’istanza non può trovare
accoglimento, non risultando dedotta né adeguatamente provata la sussistenza di
un concorrente impegno professionale, assumendo l’istante di dover partecipare
ad altro procedimento nell’interesse di una costituenda parte civile senza però
documentare l’effettivo rilascio di un mandato in tal senso. In ogni caso, il diverso
procedimento verserebbe in una fase in cui è preclusa la costituzione di parte civile
perché già ammesso il giudizio abbreviato condizionato e fissata l’udienza per il
compimento dell’attività istruttoria.

2. Il ricorso è inammissibile perché i motivi sono manifestamente infondati.
2.1. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10561 del
30/01/2014, Gubert, Rv. 258647, già prima dell’entrata in vigore dell’art. 12 bis
del d.lgs. 74/2000, in un regime normativo di fatto immutato, hanno affermato
che è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo
finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente
riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona
giuridica stessa quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto)
sia rimasto nella disponibilità della persona giuridica.
Quando il sequestro cd. diretto del profitto del reato tributario non è possibile
nei confronti della società, non è consentito nei confronti dell’ente collettivo il
sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, salvo che la persona
giuridica costituisca uno schermo fittizio (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014,
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che ha ritenuto la confisca in via diretta impossibile in quanto l’Ente è fallito in

Gubert, Rv. 258646) poiché i reati tributari non sono ricompresi, nella lista del
d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, tra quelli che consentono il sequestro per equivalente
nei confronti di una persona giuridica.
Quando è possibile nei confronti della società il sequestro cd. diretto del
profitto di reato tributario, non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla
confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati
tributari da costoro commessi a vantaggio della società, che non può considerarsi,
in questo caso, terza estranea al reato.

finalizzato alla confisca “per equivalente”, di beni di cui il reo abbia la disponibilità
per un valore corrispondente a quello del profitto del reato, (Cass. Sez. 3,
sentenza n. 40362 del 06/07/2016, Rv. 268587, Estensore Di Nicola V.; Imputato:
D’Agostino) è necessario l’accertamento del presupposto costituito dalla
impossibilità di sequestrare in via diretta i beni che costituiscono il profitto del
reato stesso.
Pertanto, il P.M. non ha una libera scelta tra il sequestro diretto e il sequestro
per equivalente (in tal senso in motivazione, Cass. Sez. 3, sentenza n. 35330 del
21/06/2016 Rv. 267649, Nardelli); nella fase genetica del sequestro, cioè prima
di procedere alle sue richieste, è tenuto ad accertare l’impossibilità del sequestro
del profitto del reato (sequestro cd. diretto o in forma specifica).
Tale impossibilità può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria
la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato: inoltre,
«In ogni caso, l’onere di procedere, da parte dell’accusa, all’aggressione diretta
del profitto del reato non può trasformarsi in una probatio diabolica, nel senso che
per dimostrare l’impossibilità di procedere al sequestro in via diretta non devono
ritenersi necessari accertamenti specifici e capillari» (Cass. Sez. 3, sentenza n.
40362 del 06/07/2016, Rv. 268587, D’Agostino).
Si è però affermato che se non è compatibile «Con l’insegnamento delle
Sezioni Unite la pretesa del ricorrente di un vero e proprio accertamento quale
presupposto della richiesta da parte del PM di un sequestro preventivo per
equivalente», però «In tema di reati tributari, il pubblico ministero è legittimato,
sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al
giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella
“diretta”, all’esito di una valutazione allo stato degli atti della capienza
patrimoniale dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato,
dovendosi escludere, peraltro, che in tale valutazione possano rientrare
considerazioni di “prudenza investigativa” estranee alla concrete difficoltà di
accertamento del patrimonio dell’ente beneficiato»: così Cass. Sez. 3, n. 35330
del 21/06/2016 Rv. 267649, Nardelli.
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Dunque, per poter eseguire nel corso del procedimento penale il sequestro

Il grado dell’accertamento è direttamente proporzionale ai presupposti della
cautela ed alla natura dell’istituto: «… Così come la cognizione è sommaria in
ordine al fumus commissi delicti e al periculum in mora, parimenti non può che
essere sommaria in ordine alla identificazione della capienza patrimoniale dell’ente
che ha tratto profitto dal reato tributario. Il che significa che il PM dovrà effettuare
una verifica di quanto risulta allo stato degli atti prima di chiedere la misura
cautelare, non essendo invece obbligato a svolgere accertamenti specifici e
ulteriori rispetto a quanto è già confluito nel compendio indiziario»: così Cass. Sez.

Dunque, il p.m. per poter richiedere il sequestro finalizzato alla confisca per
equivalente deve assolvere quanto meno a tale onere: l’assenza di tale
accertamento, per altro minimale, rende non possibile il sequestro finalizzato alla
confisca per equivalente e l’eventuale sequestro per equivalente illegittimo, perché
in violazione di quanto disposto dall’art. 12 bis del d. Igs. 74/2000.
L’interessato potrà ricorrere al riesame nel caso in cui il giudice non abbia
disposto il sequestro in forma specifica nei confronti della persona giuridica e
quando l’onere non sia stato assolto nella fase genetica.
Inoltre, nella fase genetica, a differenza di quella funzionale, l’assenza di tale
accertamento da parte del p.m. non rende sussistente a carico del soggetto
destinatario del provvedimento cautelare un onere di dimostrare l’esistenza del
presupposto per il sequestro diretto (Cass. Sez. 3, n. 35330 del 21/06/2016 Rv.
267649, Nardelli, in motivazione).
2.2. Nel caso in esame, con un giudizio di fatto che esula dal controllo di
legittimità limitato alla violazione di legge, il Tribunale del riesame di Bologna ha
accertato che già nella fase genetica del sequestro, cioè prima che si procedesse
con la richiesta di sequestro preventivo, in base al processo verbale di
constatazione, la società già amministrata dall’indagato non aveva più la
disponibilità di fondi o di beni sicché il profitto non era più nella disponibilità della
società: di conseguenza era ed è legittimo procedere alla confisca per equivalente.
Tale insussistenza è stata poi correttamente ritenuta dal Tribunale del riesame di
Bologna a seguito del fallimento della società e quindi per effetto della
dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza.
Va infine osservato che le deduzioni difensive non muterebbero il giudizio già
espresso dal Tribunale del riesame sulla legittimità del sequestro preventivo per
equivalente. Ed invero, dalla lettura dell’ordinanza del Tribunale del riesame di
Bologna e dal provvedimento genetico risulta che il profitto del reato ascritto
all’indagato è superiore ad C 400.000. Secondo la difesa, dalla relazione del
curatore fallimentare in atti risulterebbe che la società fallita, dal 30 settembre
2013 alla data del fallimento (8 ottobre 2013) Itt-seGiatà-ha incassato crediti per
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3, n. 35330 del 21/06/2016 Rv. 267649, Nardelli, in motivazione.

euro 67.582,68, accreditati sul conto corrente 151980 il cui saldo attivo è passato
da 196.793,59 a euro 264.376,27. Dunque, le somme esistenti (eventualmente)
sui conti correnti sin dalla fase genetica non avrebbero coperto, in base alle
indicazioni della stessa difesa, l’intero importo del profitto, rendendo così possibile
il sequestro per equivalente, eseguito per altro nei confronti del ricorrente per una
somma di poco superiore ad C 12.000.
Va poi ricordato che avverso le ordinanze emesse nella procedura di riesame
delle misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell’art.

relativa ai vizi della motivazione, salvi i casi della motivazione assolutamente
mancante – che si risolve in una violazione di legge per la mancata osservanza
dell’obbligo stabilito dall’art. 125 cod. proc. pen. – e della motivazione apparente,
tale cioè da rendere l’apparato argomentativo, posto a sostegno del
provvedimento, privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi, inidonei, a rendere comprensibile l’itinerario logico
seguito dal giudice. Pertanto, una volta accertata la corretta applicazione della
norma e l’esistenza della motivazione quanto all’inesistenza del profitto diretto, le
contestazioni operate dalla difesa sulla motivazione dell’ordinanza del Tribunale
del riesame sono inammissibili.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n.
186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato
presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di
euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 07/11/2017.

325 cod. proc. pen., soltanto per violazione di legge; è preclusa infatti ogni censura

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