Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20731 del 29/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20731 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: GALTERIO DONATELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
CANGEMI LINDA, nata a Palermo il 4.5.1984

avverso la sentenza in data 15.9.2017 della Corte di Appello di Palermo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Paola Filippi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 15.9.2017 la Corte di Appello di Palermo ha
confermato la penale responsabilità di Linda Cangemi per i reati di cui agli artt.
44, 93 e 94 DPR 380/2001 per aver realizzato in zona sismica un manufatto
della superficie di 22,50 mq senza essere in possesso del permesso di costruire
né della prescritta autorizzazione da parte del competente ufficio tecnico della
regione, riducendo la pena inflittale in primo grado a due mesi e dieci giorni di
arresto ed C 19.000 di ammenda.
Avverso il suddetto provvedimento l’imputata ha proposto, per il tramite del
proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito
riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. c.p.p..

Data Udienza: 29/03/2018

2. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito all’art. 81 c.p., il diniego del vincolo della continuazione con i reati
accertati nei confronti dell’imputata con sentenza della stessa Corte di Appello di
Palermo dell’11.2.2009 diventata irrevocabile fondato, sul solo distacco
temporale da quelli oggetto del presente procedimento. Deduce che essendo
testualmente prevista dall’art. 81 cpv la configurabilità dell’identico disegno
criminoso per violazioni commesse anche in tempi diversi, l’esclusione effettuata
in forza del solo dato temporale senza la concomitanza di altri elementi

3. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito all’art.81 c.p. e al vizio motivazionale, che in nessuna considerazione era
stata ritenuta la circostanza dedotta dalla difesa con i motivi di appello, ai fini
dell’invocata continuazione, relativa all’identità dell’immobile su cui erano
ricadute le condotte illecite oggetto della preesistente condanna pronunciata
dall’imputata, costituito dalla casa di abitazione dell’imputata, né l’identità dei
reati contestati, in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale che individua quali
indici sintomatici dell’unicità del disegno criminoso la prossimità temporale di
commissione, omogeneità delle condotte sotto il profilo oggettivo, le circostanze
concrete di tempo e di luogo dell’azione ed il bene giuridico leso. Deduce che
essendo l’immobile in esame costituito in entrambi i procedimenti dalla casa di
abitazione della stessa imputata, la programmazione dei lavori di ristrutturazione
in vista dell’uso abitativo personale cui l’immobile era destinato costituiva di per
sé l’evidenza dell’identità del disegno criminoso in concreto perseguito.
4. Con il terzo motivo deduce che la motivazione resa dalla Corte di Appello
in relazione al diniego della eliminazione della condizione, ovverosia la
demolizione del manufatto, cui era subordinata l’apposizione condizionale della
pena era meramente apparente, oltre che apodittica: sostenere che un abuso di
appena 20 mq di superficie possa configurare una rilevante trasformazione del
territorio e che la subordinazione del beneficio costituisse un deterrente si
risolve, ad avviso della difesa, un’affermazione generica, valevole cioè per ogni
tipo di reato, ed inconferente con le specifiche ragioni addotte

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.L’intrinseca connessione tra il primo ed il secondo motivo, afferenti
entrambi alla unicità del disegno criminoso tra i reati oggetto del presente
procedimento e quelli già accertati a seguito di giudizio già definito con sentenza
del 3.10.2014, diventata irrevocabile il successivo 3.6.2014, ne consente la
trattazione congiunta.

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concorrenti doveva ritenersi illegittima.

Premesso che in tema di continuazione, l’esistenza di un medesimo disegno
criminoso può essere desunta da una pluralità di elementi indizianti quali
l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale
che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del “modus
operandi” e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, n.
1766 del 06/07/2015 – dep. 18/01/2016, Esposti e altro, Rv. 266413), deve
tuttavia rilevarsi che l’allegazione degli specifici elementi induttivi della
preesistenza dell’unicità del disegno criminoso perseguito dall’agente costituisce

dell’imputato (Sez. 5, n. 18586 del 04/03/2004 – dep. 22/04/2004, D’Aria, Rv.
229826; Sez. 2, n. 40342 del 13/05/2003 – dep. 23/10/2003, Settimo, Rv.
227172). Tale onere, in sede d’impugnazioni non totalmente devolutive nelle
quali si iscrivono l’appello ed il ricorso per Cassazione, si coniuga con l’obbligo
della specifica indicazione degli elementi in fatto e delle ragioni di diritto poste a
fondamento delle singole richieste speculari agli errori ‘in iudicando’ ed ‘in
procedendo’ dai quali si assume essere viziata la decisione impugnata.
Conseguentemente la genericità del motivo di appello articolato dall’odierna
ricorrente relativamente alla richiesta di riconoscimento del vincolo della
continuazione con la condanna già coperta dall’autorità del giudicato pronunciata
dalla stessa Corte palermitana in relazione ad un fatto accertato nel 2009 non
consente di ravvisare alcun vizio della sentenza impugnata nel diniego
dell’unicità del disegno criminoso che costei assume aver perseguito. Invero la
specificità che deve caratterizzare i motivi di appello, seppur valutata alla luce
del principio del favor impugnationis, va intesa in rapporto alla funzione stessa
dell’impugnazione, così come implica, al fine di delineare i presupposti
legittimanti l’invocata riforma del provvedimento oggetto di gravame,
l’indicazione quantomeno nelle linee essenziali delle ragioni volte a sollecitare
una diversa risposta del giudice adito in secondo grado rispetto alle valutazioni
del primo giudice, sulle quali l’appellante è chiamato specificamente a
confrontarsi, impone del pari, nell’ipotesi di nuove richieste, quale si configura
quella volta al riconoscimento del vincolo della continuazione con reati già
accertati con autorità di giudicato – consentita anche in appello, trattandosi
comunque della sede funzionalmente destinata alla formazione del giudicato l’enunciazione dei concreti elementi fattuali su cui si poggia la richiesta stessa.
L’interessato deve in tal caso infatti farsi carico di portare a conoscenza del
giudice gli elementi probatori ed argomentativi atti a dimostrare l’unicità del
disegno criminoso, non potendo quest’ultimo formare oggetto di alcuna
presunzione.
Non risultando dall’atto di appello, cui questa Corte ha necessariamente
accesso in ragione della natura della doglianza svolta, evidenziato alcun

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in sede di giudizio di cognizione un vero e proprio onere della prova a carico

elemento a supporto dell’invocata applicabilità del’art. 81, secondo comma c.p.,
il provvedimento censurato non può ritenersi affetto da alcun vizio in iudicando
nell’esclusione dell’unicità dell’identità del disegno criminoso che costituisce
espressione di un giudizio di merito, non sindacabile in sede di legittimità. In
tema di continuazione, infatti, il decorso del tempo costituisce elemento decisivo
sul quale fondare la valutazione ai fini del riconoscimento delle condizioni
previste dall’art. 81 cod. pen., atteso che, in assenza di altri elementi, quanto
più ampio è il lasso di tempo fra le violazioni, tanto più deve ritenersi

nelle linee fondamentali (Sez. 4, n. 34756 del 17/05/2012 – dep. 11/09/2012,
Madonia e altri, Rv. 253664)
2. Il terzo motivo è anch’esso inammissibile per manifesta infondatezza delle
doglianze svolte.
Al riguardo è sufficiente rilevare che in tema di reati edilizi, il giudice
legittimamente può subordinare la concessione della sospensione condizionale
della pena all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante
demolizione dell’opera abusiva, senza dover procedere a specifica motivazione
sul punto, essendo questa implicita nell’emanazione dell’ordine di demolizione
disposto con la sentenza, che, in quanto accessorio alla condanna del
responsabile, è emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività
dell’opera stessa nei confronti dell’interesse protetto (Sez. 7, n. 9847 del
25/11/2016 – dep. 28/02/2017, Palma, Rv. 269208). Come invero già affermato
da questa Corte nel suo supremo consesso (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996,
dep.1997, Luongo, Rv. 206659) allorquando il giudice del merito subordina la
concessione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera
abusiva, egli non fa altro che rafforzare il contenuto della statuizione accessoria,
esaltando contemporaneamente la funzione sottesa alla ratio dell’articolo 165 del
codice penale finalizzata all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato,
persistenti nel caso di ostinata inottemperanza all’esecuzione dell’ordine di
demolizione, circostanza che rende perciò il condannato immeritevole della
sospensione condizionale della pena.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile. Segue a tale
esito la condanna, a norma dell’art.616 cod. proc. pen., della ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in
favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

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improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria predeterminata almeno

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di C 2.000 in favore della Cassa
delle Ammende.

Così deciso il 29.3.2018

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