Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20728 del 02/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20728 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PRONESTI’ ROSETTA nato il 30/09/1974 a CINQUEFRONDI
PAPASIDERO DOMENICO nato il 23/06/1973 a CINQUEFRONDI
IANNIZZI MARIANGELA nato il 09/03/1957 a CINQUEFRONDI
PRONESTI’ CARMELA nato il 03/12/1975 a CINQUEFRONDI

avverso il decreto del 24/09/2014 della CORTE APPELLO di TORINO
sentita la relazione svolta dal Consigliere GRAZIA MICCOLI;
lette/sentite le conclusioni del PG

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 02/02/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Roberto ANIELLO, ha concluso
chiedendo il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 24 settembre 2014 la Corte di appello di Torino ha confermato il
provvedimento emesso in data 10 luglio 2013 dal Tribunale di Alessandria, con il quale -per
quanto di interesse in questa sede- era stata disposta la misura di prevenzione della confisca di
una serie di beni riconducibili a Bruno PRONESTI’, alcuni dei quali intestati ai terzi Rosetta

2. Hanno proposto ricorso i difensori (muniti di procura speciale) dei suindicati terzi interessati
Rosetta PRONESTI’, Domenico PAPASIDERO, Mariangela IANNIZZI e Carmela PRONESTI’,
censurando il provvedimento impugnato con due motivi, articolati nei termini qui di seguito
sinteticamente indicati.
2.1. Con il primo motivo viene dedotta inosservanza e/o erronea applicazione della disciplina
normativa di cui agli articoli 24 e 26 d.lvo n. 159/2011, anche in relazione alla regola di cui
all’articolo 192 comma due cod. proc. pen., con specifico riferimento all’esclusa applicabilità al
caso di specie anche della disciplina di cui al citato articolo 26 e ai criteri probatori da applicare
al caso di specie, nonché inesistenza ovvero mera apparenza della motivazione in ordine al
regime probatorio al quale occorre attenersi al fine di ritenere provata la fittizietà dei
trasferimenti e/o delle intestazioni effettuati ad oltre due anni di distanza dalla proposta della
misura di prevenzione.
Deducono i ricorrenti che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che “l’articolo 26
individua [soltanto]… gli effetti dell’interposizione fittizia sui negozi giuridici posti in essere e
introduce una presunzione di fittizietà per gli acquisti avvenuti nei due anni antecedenti alla
proposta di prevenzione “, in tal modo disapplicando la disposizione e negandone sia la ratio,
sia il necessario rapporto con la previsione di cui all’articolo 24, omettendo altresì di fornire
un’effettiva motivazione in ordine a questo specifico motivo di impugnazione.
Dopo aver indicato specificamente gli elementi fondanti gli assunti difensivi, i ricorrenti
deducono che, a seguito dell’erronea applicazione del dettato normativo, nel provvedimento
impugnato non si rinviene alcuna risposta in ordine al quesito relativo allo standard probatorio
da utilizzarsi, dal momento che, proprio in virtù della differenza nel tempo delle intestazioni dei
rapporti e della insussistenza di elementi di riferibilità al proposto (titolarità o disponibilità),
l’accusa non ha rispettato l’onere di provare l’illecita provenienza e il giudice è venuto meno
all’obbligo di spiegare le ragioni di una asserita interposizione fittizia negli acquisti immobiliari
e mobiliari rispetto alla quale difettano elementi fattuali connotati dagli indispensabili requisiti
della gravità, della precisione e della concordanza.
2.2. Con il secondo motivo si denunziano inosservanza e/o erronea applicazione della disciplina
normativa di cui agli articoli 24 e 26 Divo 159/2011 e 192 comma 2 cod. proc. pen. con
specifico riferimento alla pluralità dei parametri probatori previsti dai detti articoli e dal sistema
processuale nazionale al fine di pervenire ad un provvedimento di integrale confisca del
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PRONESTr, Domenico PAPASIDERO, Mariangela IANNIZZI e Carmela PRONESTI’.

patrimonio dei terzi interessati, nonché inesistenza e/o mera apparenza della motivazione
contenuta nel decreto impugnato, con specifico riferimento sia alla ritenuta sproporzione tra i
redditi a costoro riconducibili e la totalità dei beni dei quali i medesimi risultano essere
intestatari sia alla ritenuta irrilevanza di tutte le prove documentali e testimoniali fornite in
ordine alla proporzione sussistente tra i citati redditi e la totalità dei beni confiscati.
3. Con atto depositato in data 7 ottobre 2015 il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il
rigetto dei ricorsi.

un motivo aggiunto, anche in replica alle conclusioni del Procuratore Generale.
Si denunziano inosservanza e/o erronea applicazione della disciplina normativa di cui agli
articoli 24 e 26 D.Ivo 159/2011, anche in relazione all’articolo 19 dello stesso decreto, e di cui
alla Direttiva UE n. 42/2014 (approvata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo il 3 aprile
2014), nonché delle previsioni di cui agli artt. 111 Cost. e 6 della Convenzione dei Diritti
dell’Uomo. Si denunzia, altresì, l’inesistenza ovvero la mera apparenza della motivazione sia in
relazione alla regola di giudizio di cui all’articolo 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen., sia con
riferimento alla Direttiva UE n. 42/ 2014, avuto riguardo al fatto che, nel caso di specie, il
giudice del merito è pervenuto alla dichiarazione di confisca c.d. estesa ed integrale di tutti i
beni -mobili ed immobili- rinvenuti nella titolarità di soggetti diversi dal proposto sotto il
duplice profilo della fittizietà delle relative intestazioni e della ritenuta sproporzione fra i redditi
a costoro riconducibili e il valore dei beni di interesse.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini qui di seguito indicati.
1. Va subito detto che alcuni profili dei motivi proposti dalla difesa dei ricorrenti sono
inammissibili, in quanto con essi i deducenti in effetti si sono limitati a contestare la
valutazione di circostanze di fatto.
Le doglianze formulate esulano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità,
inerendo a valutazioni di merito e a vizi di motivazione del provvedimento impugnato, mentre
il ricorso per cassazione, in materia di misure di prevenzione, è ammesso esclusivamente per
violazione di legge, a norma del combinato disposto della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4,
penultimo comma e L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 ter e, attualmente, del D.Lgs. 6
settembre 2011, n. 159, artt. 27 e 10, relativamente ai procedimenti nell’ambito dei quali la
proposta di prevenzione sia stata formulata successivamente alla data di entrata in vigore del
decreto stesso, a norma del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 117, comma 1.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 321 del 22 giugno 2004, ha dichiarato infondata la
questione di legittimità costituzionale di tale previsione limitativa della possibilità di ricorrere
per cassazione, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., rilevando che il procedimento di
prevenzione, il processo penale e il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza
sono connotati da diverse peculiarità, sia sul terreno processuale che nei presupposti
sostanziali. D’altra parte, è giurisprudenza costante del giudice delle leggi che le forme di
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4. I difensori dei ricorrenti hanno depositato in data 18 gennaio 2015 una memoria contenente

esercizio del diritto di difesa possano essere diversamente modulate in relazione alle
caratteristiche di ciascun procedimento, allorché di tale diritto siano comunque assicurati lo
scopo e la funzione. Tali principi sono stati ribaditi anche nella recente sentenza della Corte
Costituzionale n. 106 del 2015.
E le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente ribadito che “nel procedimento di
prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il
disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo
comma, legge 31 maggio 1965, n. 575; ne consegue che, in tema di sindacato sulla

manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con
il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato
imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n.1423 del 56, il caso di
motivazione inesistente o meramente apparente. (In motivazione la Corte ha ribadito che non
può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di
sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal
giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del
provvedimento impugnato). (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Rv. 260246; si veda anche
Sez. Un. 28-1-2004, n. 2, Ferrazzi, Cass. pen 2004, 1913).
Dunque, nel caso in cui, come nella materia delle misure di prevenzione, il ricorso per
cassazione sia limitato alla sola violazione di legge, va esclusa la sindacabilità del vizio di
manifesta illogicità mentre è possibile denunciare il vizio di motivazione apparente, atteso che
in tal caso si prospetta la violazione dell’art. 125, comma 3, cod.proc.pen., che impone
l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (Sez. Un. 28-5-2003, n. 25080,
Pellegrino, CED Cass. n. 224611).
Questo vizio è ravvisabile solo allorché la motivazione sia completamente priva dei requisiti
minimi di coerenza e di completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile
l’iter logico seguito dal giudice di merito, oppure le linee argomentative siano talmente
scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento. La carenza
assoluta di un riconoscibile apparato argomentativo, qualificabile come inosservanza della

motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità

specifica norma processuale che impone, a pena di nullità, l’obbligo di motivazione dei
provvedimenti giurisdizionali, non ha infatti perso l’intrinseca consistenza del vizio di violazione
di legge, differenziandosi pertanto dai difetti logici della motivazione.
2.

Fatte queste precisazioni preliminari di carattere sistematico, va evidenziato, in via

assorbente in relazione alle altre questioni poste dai ricorrenti, che fondati sono i motivi con i
quali è stata dedotta l’erronea applicazione degli artt. 24 e 26 del decreto legislativo 159/2011
in relazione al regime probatorio cui è sottoposta la questione della prospettata fittizietà delle
intestazioni dei beni confiscati a soggetti legati da vincoli di parentela o di affinità con il
proposto.
2.1. In relazione all’analoga doglianza rappresentata dalla difesa avverso il decreto del
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giudice di primo grado, la Corte territoriale ha affermato che <

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