Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20723 del 27/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20723 Anno 2018
Presidente: ANDREAZZA GASTONE
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Messina Rosario, nato a Giarre (Ct) il 24/1/1936

avverso la sentenza del 13/2/2017 della Corte di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo dichiarare
inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Giuseppe Serafino, che
ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13/2/2017, la Corte di appello di Messina, in riforma
della pronuncia emessa il 13/5/2015 dal locale Tribunale, dichiarava Rosario
Messina colpevole del delitto di cui all’art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre
1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla I. 11 novembre 1983, n. 638, e
lo condannava alla pena di un mese, dieci giorni di reclusione e 200,00 euro di

Data Udienza: 27/03/2018

multa; allo stesso, quale legale rappresentante della omonima ditta individuale,
era contestato di aver omesso il versamento delle ritenute effettuate sulle
retribuzioni dei dipendenti, nei mesi di novembre e dicembre 2010, per un
ammontare pari a 49.176,00 euro.
2. Propone ricorso per cassazione il Messina, a mezzo del proprio difensore,
deducendo i seguenti motivi:
– violazione degli artt. 8 e 9 cod. proc. pen., vizio motivazionale. La Corte di
appello avrebbe omesso ogni effettiva motivazione con riguardo all’eccezione di

cioè alla prima occasione utile, atteso che l’impugnazione era stata proposta dal
solo Procuratore della Repubblica, dato il carattere assolutorio della pronuncia di
primo grado); con tale apparente ed errato argomento, e cioè limitandosi a
ritenere ormai preclusa la questione, il Collegio di merito (al pari del primo
Giudice) avrebbe inoltre violato la disciplina in materia, che legherebbe la
competenza al luogo in cui si trova la sede legale dell’ente interessato, nel caso
di specie S. Giorgio a Cremano;
– violazione degli artt. 190 cod. proc. pen., 2, I. n. 638 del 1983; vizio
motivazionale. La sentenza avrebbe affermato la responsabilità del ricorrente pur
in assenza di elementi rassicuranti; quanto, poi, ai testimoni decisivi, la Corte di
appello avrebbe omesso di escuterli, rigettando la richiesta di riapertura del
dibattimento. Ancora, si contesta che la notifica dell’avviso di pagamento
sarebbe avvenuta sì presso la sede della ditta, ma non nelle mani dell’imputato;
circostanza che – sebbene non totalmente provata – dimostrerebbe comunque
che l’imputato non avrebbe avuto conoscenza della contestazione. E fermo
restando, da ultimo, che questi avrebbe comunque effettuato il pagamento, nel
corso del giudizio, sì che la pronuncia di assoluzione avrebbe dovuto esser
confermata.
Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza.
Con motivi nuovi depositati il 6/3/2018, il ricorrente ha dedotto la violazione
di legge ed il vizio motivazionale in ordine agli artt. 190 e 603 cod. proc. pen.,
atteso che la Corte di appello avrebbe riformato la pronuncia assolutoria senza
rinnovare l’istruzione dibattimentale (in particolare, la prova dichiarativa), come
invece imposto da pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte e dall’art. 603,
comma 3-bis, introdotto dalla I. 23 giugno 2017, n. 103.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta infondato.

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incompetenza per territorio sollevata dalla difesa in udienza di seconde cure (e

Con riguardo alla prima doglianza, di carattere processuale, osserva il
Collegio che la decisione assunta dalla Corte di merito non appare corretta,
laddove ha affermato l’inammissibilità dell’eccezione di incompetenza per
territorio sollevata in appello dall’imputato (già proposta in prime cure e
rigettata), perché estranea al thema decidendum offerto dal pubblico ministero
(unico) appellante. Costituisce ripetuto e condiviso indirizzo di questa Corte,
infatti, quello in forza del quale in tema di incompetenza, l’imputato assolto in
primo grado, e quindi non appellante per carenza di interesse, può riproporre,

incompetenza per territorio già tempestivamente formulata a norma dell’art. 21
cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 29235 del 18/5/2010, Amato, Rv. 248207; Sez. 4, n.
232924 del 14/5/2004, Belforte, Rv. 229107).
Tanto premesso, l’eccezione medesima risulta(va) comunque infondata,
poiché volta ad affermare la competenza per territorio in forza di un criterio – la
sede legale dell’ente – che questa Corte non condivide. Costituisce, infatti,
apprezzato indirizzo ermeneutico, già più volte affermato in questa sede, quello
secondo cui il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed
assistenziali si consuma nel luogo in cui devono essere versati i relativi
contributi; luogo che, in applicazione dell’art. 1182, comma secondo, cod. civ.
(secondo il quale le obbligazioni aventi per oggetto una somma di denaro devono
essere adempiute al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza), non si
identifica nella sede dell’impresa, bensì nella sede dell’istituto previdenziale ove
la stessa ha aperto la propria posizione assicurativa, nel caso di specie la città di
Messina (per tutte, Sez. 3, n. 41530 del 9/7/2015, Salinetti, Rv. 265037; Sez. 3,
n. 26067 del 14/2/2007, Cipriani, Rv. 237126). Orbene, il ricorrente, lungi dal
disattendere tale ultima e decisiva circostanza, si è limitato a richiamare il
differente criterio della sede legale dell’ente (S. Giorgio a Cremano), così
introducendo un elemento inadeguato ed insufficiente, nei termini appena
richiamati, tale da imporre il rigetto della prima doglianza.
4. Ad analoghe conclusioni – questa volta in punto di manifesta infondatezza
perviene poi la Corte anche quanto alla successiva, concernente la
responsabilità del Messina; i profili sui quali questa si fonda, infatti, risultano già
trattati dal Giudice di appello, e risolti con argomento congruo e non
manifestamente illogico, qui non censurabile.
In primo luogo, quanto alla dedotta carenza di elementi a fondamento del
giudizio di colpevolezza, basti qui rilevare la palese genericità della questione,
oltre al suo carattere evidentemente fattuale, quindi non consentito.
5. Quanto, poi, alla mancata riapertura del dibattimento, sollecitata dalla
difesa, il Collegio di appello ha innanzitutto rappresentato che gli stessi testi dei

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qualora il pubblico ministero impugni la sentenza assolutoria, l’eccezione di

quali era invocata l’escussione erano stati già fatti oggetto di rinuncia nel corso
del giudizio di primo grado, con scelta processuale in sé non ritrattabile dalla
parte; di seguito, la sentenza ha comunque evidenziato che le circostanze sulle
quali questi testi avrebbero dovuto esser sentiti risultavano irrilevanti nell’ottica
della decisione, concernendo la rateizzazione del pagamento delle cartelle
esattoriali o la situazione economica della ditta all’epoca delle omissioni
contributive.
E senza che, peraltro, possa neppure accedersi alla tesi (di cui ai motivi

rinnovare l’istruttoria ai sensi dell’art. 603, comma

3-bis cod. proc. pen.,

introdotto con la I. n. 103 del 2017, a mente del quale nel caso di appello del
pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti
alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale; osserva la Corte, infatti, che la decisione
impugnata ha riformato la pronuncia assolutoria in assenza di qualsivoglia
difforme valutazione della prova orale, ma disattendendo la tesi, di cui al primo
Giudice, secondo la quale anche un pagamento tardivo comporterebbe
l’estinzione del reato.
6. Del pari inammissibile, poi, risulta la circostanza – ancora dedotta con il
ricorso – secondo la quale il Messina non avrebbe avuto effettiva conoscenza
dell’avviso di accertamento INPS, pur notificato presso la sede della ditta.
Premesso il carattere fattuale della questione, quindi non ammesso, basti
comunque qui osservare che, per costante indirizzo di questa Corte, le modalità
di comunicazione dell’avviso INPS di cui alla I. n. 638 del 1983 non sono
soggette a particolari formalità, non applicandosi il regime delle notificazioni
previsto – per i soli illeciti di natura amministrativa – dalla I. 24 novembre 1981,
n. 689, né quello delle notificazioni previste dal codice di procedura penale, e
ben possono essere, pertanto, anche effettuate a mezzo del servizio postale
tramite raccomandata inviata sia presso il datore di lavoro che presso la sede
dell’azienda (Sez. U, 1855 del 24/11/2011, Sodde, Rv. 251268; Sez. 3, n. 28761
del 9/6/2015, Bassetti, Rv. 264452; Sez. 3, n. 2859 del 17/10/2013, Aprea, Rv.
258373). Esattamente quanto avvenuto nel caso di specie, nel quale – come
ancora da sentenza impugnata – la notifica dell’accertamento era stata effettuata
il 2/8/2011 presso sede della ditta, quel che riconosce lo stesso gravame.
7. Da ultimo, immeritevole di trattazione, perché palesemente infondata,
risulta anche la questione dell’avvenuto pagamento delle ritenute, da parte del
ricorrente, successivamente alla scadenza dei tre mesi di cui all’art. 2
contestato; come ben indicato nella pronuncia di appello, infatti, e come emerge
dalla lettera della legge, la causa di non punibilità di cui al comma

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1-bis della

nuovi) in forza della quale il Collegio di merito avrebbe dovuto procedere a

norma contestata presuppone l’avvenuto pagamento del debito contributivo nel
termine di tre mesi dalla conoscenza dell’accertamento previdenziale.
Conclusione che, peraltro, non contrasta in alcun modo con la pronuncia delle
Sezioni unite di questa Corte (n. 1855 del 24/11/2011, Sodde, cit.) richiamata
(genericamente) nel ricorso, a mente della quale, in tema di omesso versamento
delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini della causa di non punibilità del
pagamento tempestivo di quanto dovuto, il decreto di citazione a giudizio è
equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi

del predetto avviso, costituiti dall’indicazione del periodo di omesso versamento
e dell’importo, la indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il
versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l’avviso che il
pagamento consente di fruire della causa di non punibilità. Questo principio di
diritto, qui da ribadire, opera, infatti, soltanto qualora l’avviso di accertamento
INPS non sia stato notificato all’interessato, o di ciò non vi sia prova certa;
ipotesi che la Corte di merito ha escluso quanto al caso di specie, con argomento
congruo (la data della notifica, pacificamente presso la sede della ditta) e qui
non censurabile.
8. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2018

Il

í,sigliere estensore

Il Preside

altro atto processuale indirizzato all’imputato, contenga gli elementi essenziali

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