Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20721 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20721 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: CORBETTA STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cascella Raffaele, nato a Cerignola il 08/11/1963

avverso la sentenza del 30/01/2017 della Corte d’appello di Bari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore, avv. Luigi Taumaturgo del foro di Foggia, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 21/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. In parziale riforma della sentenza resa dal tribunale di Foggia, appellata
dall’imputato, la Corte d’appello di Bari dichiarava non doversi procedere nei
confronti di Raffaele Cascella per i reati di cui all’art. 2, comma 1 e 1 bis, d.l. n.
463 del 1983 a lui ascritti fino al 16 aprile 2009 perché estinti per intervenuta
prescrizione, assolveva il medesimo relativamente al reato commesso a maggio
2009 perché il fatto non sussiste e, per l’effetto, rideterminava la pena in mesi

alle residue mensilità contestate, nel resto confermando la sentenza di primo
grado, che aveva applicato la sospensione condizionale della pena, subordinata
al pagamento della somma contestata in favore dell’INPS entro tre mesi dal
passaggio in giudicato della sentenza.

2. Avverso l’indicata sentenza l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia,
propone ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo. Il ricorrente lamenta
sia il diniego delle circostanze attenuanti generiche, sia, soprattutto, che la
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena sia stata
subordinata al pagamento della somma contestata in favore dell’INPS entro tre
mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, misura ritenuta non solo
eccessivamente gravosa, ma anche illegittima e abnorme, in quanto, nel caso in
esame, non vi è stata costituzione di parte civile da parte dell’INPS; sul punto,
ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso qualsivoglia
motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, stante la manifesta infondatezza del motivo.

2. Quanto al diniego delle circostanze ex art. 62 bis cod. pen., secondo il
consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di
attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui
motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria
e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133
cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (ex
multis, cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 – dep. 22/09/2017, Pettinelli, Rv.
271269, la quale ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti

cinque e giorni quattordici di reclusione ed euro 540 di multa, con riferimento

generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato;
Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016 – dep. 29/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez.
3, n. 28535 del 19/03/2014 – dep. 03/07/2014, Lule, Rv. 259899).
Si è, inoltre, precisato che, la concessione delle attenuanti generiche deve
essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un
trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che,
quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che,
sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e

soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi
su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 dep. 09/03/2016, Piliero, Rv. 266460).
Nel caso in esame, non solo il motivo appare generico, non indicando alcun
elemento fattuale che, in ipotesi, avrebbe potuto essere favorevolmente valutato
per l’applicazione delle circostanze in esame, ma la Corte si è attenuta ai principi
sopra indicati, correttamente motivando il diniego delle circostanze attenuanti
generiche in relazione sia al notevole importo delle somme non versate, sia a
una precedente condanna definitiva, a carico del Cascella, per altro reato in
materia di violazioni finanziarie.

3. Quanto all’asserita gravosità della statuizione relativa alla sospensione
condizionale della pena, subordinata all’adempimento dell’obbligo di risarcimento
del danno, si osserva che, in tal caso, il giudice della cognizione non è tenuto a
svolgere alcun accertamento sulle condizioni economiche dell’imputato, salva
l’ipotesi in cui emergano situazioni che ne facciano dubitare della capacità
economica di adempiere, ovvero quando tali elementi siano forniti dalla parte
interessata (tra le più recenti, cfr. Sez. 4, n. 50028 del 04/10/2017 – dep.
31/10/2017, Pastorelli, Rv. 271179; Sez. 6, n. 52730 del 28/09/2017 – dep.
20/11/2017, S, Rv. 271731; Sez. 6, n. 33696 del 06/04/2017 – dep.
11/07/2017, Binato, Rv. 270741).
Nel caso in esame, peraltro, non sono né emersi, né sono stati allegati dal
ricorrente elementi tali per cui si possa dubitare della capacità ad adempiere da
parte dell’imputato.

4. Quanto, infine, all’asserita illegittimità della statuizione in esame, va
rilevato che il tribunale ha fatto corretta applicazione del disposto di cui all’art.
165, comma 2, cod. pen.: avendone già il Cascella beneficiato in una precedente
occasione, la sospensione condizionale della pena, applicata per la seconda volta,
è stata subordinata all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato, ossia

3

legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è

al pagamento della somma evasa in favore del’INPS entro tre mesi dal passaggio
in giudicato della sentenza.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 21/03/2018.

dispositivo.

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