Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20714 del 21/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20714 Anno 2015
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: PALLA STEFANO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SPADAFORA CARMINE N. IL 09/06/1969
avverso la sentenza n. 949/2011 TRIBUNALE di COSENZA, del
11/03/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. STEFANO PALLA;

Data Udienza: 21/04/2015

Spadafora Carmine ricorre avverso la sentenza 11.3.14, emessa dal Tribunale di Cosenza ai sensi
degli artt.444 ss. c.p.p., con la quale gli è stata applicata, per il reato di bancarotta fraudolenta, la
pena di anni due e mesi otto di reclusione ed €150,00 di multa, oltre la pena accessoria
dell’inabilitazione dall’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici
direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni dieci.

violazione dell’art.606, comma 1, lett. b) c.p.p., in relazione all’art.37 c.p., per essere stata
determinata la pena accessoria speciale in anni dieci pur disponendo l’art.37 c.p. che la pena
accessoria non può avere durata superiore ovvero inferiore rispetto a quella della pena principale
inflitta. Applicando automaticamente la pena accessoria per la durata di anni dieci — sostiene il
ricorrente — vi sarebbe contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 27, 35 e 41 Cost., con la
conseguenza che deve ritenersi obbligata una interpretazione logica e costituzionalmente orientata
della norma in esame che conduce a determinare la durata della pena accessoria in misura
proporzionale, se non identica, a quella della pena principale.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art.606, comma 1, lett.e) c.p.p. per non avere il
giudice indicato elementi a sostegno della ritenuta insussistenza di elementi per una pronuncia
assolutoria ex art.129 c.p.p.
Osserva la Corte che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, sia perché generico, con
riferimento al secondo motivo, sia in quanto manifestamente infondato, atteso che il giudice,
nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato a quanto contenuto nell’accordo tra le
parti e, dall’altro, ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art.129 c.p.p., facendo riferimento
al contenuto della relazione del curatore fallimentare e al risultato delle indagini esperite dalla
Guardia di finanza, da cui sono emerse le distrazioni compiute dall’imputato, quale amministratore
delle due società fallite, per gli importi di cui alle imputazioni.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione
della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo

di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, Sez.un., 27 settembre
1995, Serafino; Sez.un., 25 novembre 1998, Messina; Sez.II, 17 febbraio 2012, n.6455).
Quanto al primo motivo, già la Corte costituzionale, con la sentenza n.134/12, ha dichiarato
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.216, ultimo comma, della legge
fallimentare, censurato con riferimento, tra gli altri, agli artt. 27 e 41 Cost., nella parte in cui

medesimo articolo, si applichino le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa
commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di
anni dieci, osservando che l’addizione normativa richiesta testa a determinare la pena accessoria di
eguale durata di quella principale inflitta, è solo una tra quelle astrattamente ipotizzabili e non
costituisce una soluzione costituzionalmente obbligata, ma implica scelte affidate alla
discrezionalità del legislatore.
In assenza di un tale intervento legislativo, quindi, allorchè si applichi una pena patteggiata ed in
assenza di specifico accordo tra le parti, è legittima l’applicazione da parte del giudice di una pena
accessoria per la durata di dieci anni e quindi, nella specie, per una durata superiore alla pena
principale inflitta, trattandosi di pena accessoria la cui durata è stabilita in misura fissa ed
inderogabile dal legislatore (cfr. Cass., sez.V, 20 settembre 2012, n.42731; Sez.V, 31 gennaio 2013,
n.11257).
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in
€ 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Roma, 21 aprile 2015

prevede che, per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta previsti nei commi precedenti del

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