Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20700 del 12/01/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20700 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
MANCIAGLI VINCENZO VENERANDO nato il 14/11/1980 a ACIREALE
CALOGERO LUCA nato il 12/08/1986 a CATANIA

avverso la sentenza del 13/07/2017 del GIP TRIBUNALE di RAGUSA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANTONELLA DI STASI;

Data Udienza: 12/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., il GIP del Tribunale
di Ragusa ha applicato agli attuali ricorrenti la pena richiesta per il reato di cui
all’art. 73, comma 4 e 80 comma 2 d.P.R. n. 309/1990.
2. Avverso la sentenza gli imputati appresso menzionati hanno proposto
ricorso per, cassazione, a mezzo dei difensori di fiducia, chiedendone
l’annullamento: Calogero Luca lamenta violazione di legge e vizio di motivazione
in relazione alla valutazione dei fatti contestati ed in ordine alle ragioni che

Vincenzo Venerando lamenta l’erronea qualificazione del fatto con riferimento
all’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, dpr n.
309/1990.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza.
2. Calogero Luca lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione alla valutazione dei fatti contestati ed in ordine alle ragioni che hanno
indotto il Giudice a ritenere il ricorrente non proscioglibile.
Deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte, secondo cui
l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125,
comma 3, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, non può non essere conformato
alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla
quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice
presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative
della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con
cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione.
Ne consegue che con riferimento alla motivazione in ordine all’entità della
pena, il relativo obbligo deve essere ritenuto assolto da parte del Giudice quando
– come nel caso di specie – egli dia atto di avere positivamente effettuato la
valutazione della correttezza della qualificazione giuridica del fatto,
dell’applicazione e comparazione delle circostanze prospettate dalle parti e della
congruità della pena; risultando effettuata, dal testo della gravata sentenza, una
tale indagine, con esito positivo per la ratifica del patto, l’obbligo di motivazione
è stato dunque rispettato (ex plurimis, sez. 5, 25 gennaio 2000, n. 489, rv.
215489). Del pari è a dirsi in ordine al giudizio negativo circa la ricorrenza di una
delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. che deve essere accompagnato da
una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle
parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
2

hanno indotto il Giudice a ritenere il ricorrente non prosioglibile; Manciagli

punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata
compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la
pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (ex plurimis, sez. 3, 29
maggio 2012, n. 36610; sez. 3, 22 settembre 1997, n. 2932; sez. un. 27
settembre 1995, n. 10372; sez. un., 27 marzo 1992, n. 5777); nel caso di
specie, la motivazione della sentenza circa l’insussistenza di cause di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. appare, in ogni caso, adeguata,

evidenziando l’inesistenza di elementi valutabili a favore dell’imputato.
3. Manciagli Vincenzo Venerando lamenta l’erronea qualificazione del fatto
con riferimento all’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 80,
comma 2, dpr n. 309/1990.
Deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte, secondo cui la
ricorribilità della sentenza di patteggiamento per cassazione, deducendo
l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza, è ammessa nelle sole
ipotesi di errore manifesto, ossia quando sussiste realmente l’eventualità che
l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, sicché deve essere esclusa
tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità:
l’errata qualificazione giuridica del fatto può essere fatta valere solo dinanzi ad
un evidente error in iudicando che “dissimuli un’illegale trattativa sul nomen
iuris”, ma non in presenza di una qualificazione che presenti oggettivi margini di
opinabilità (tra le tante v., Sez. 4, 11 marzo 2010, n. 10692, P.G. in proc.
Hernandez; Sez. 3, 23 ottobre 2007, n. 44278, P.G. in proc. Benha; Sez. 6, 20
novembre 2008, n. 45688, P.G. in proc. Bastea; Sez. 6, 10 aprile 2003, n.
32004, P.G. in proc. Valetta, sez. 4, n. 10692 dell’11.3.2010, Hernandez, rv.
246394; sez. 6^, n. 15009 del 27.11.2012 dep. il 2.4.2013, Bisignani, rv.
254865, Sez.3, n.34902 del 24/06/2015, dep.17/08/2015, Rv.264153).
E margini di opinabilità, a fronte di quantitativi effettivamente ingenti,
richiede la valutazione circa la sussistenza della circostanza aggravante di cui
all’art. 80 Dpr. 309/90.
Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione di legge in quanto,
evidentemente, chiamato a valutare la corretta qualificazione giuridica del fatto
in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 80 d.P.R.
309/90 -che le parti hanno considerato sussistente nella loro richiesta – il giudice
del patteggiamento, a differenza di quello del giudizio ordinario, può ritenerla
insussistente solo ove tale circostanza risulti ictu cuti. E così evidentemente non
è, in considerazione dei 32,800 kg. di marijuana di cui alla contestazione.

3

perché richiama ed analizza specificamente il contenuto degli atti di indagine,

4. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q. M .

spese processuali e ciascuno al versamento della somma di tremila euro in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, 12.01.2018
Il Consigliere estensore
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Il Presidente
Aldo Cavallo

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Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle

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