Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2070 del 21/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 2070 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: GARRIBBA TITO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BREGOLI GIAN BATTISTA N. IL 10/04/1948
avverso la sentenza n. 106/2013 TRIBUNALE di BRESCIA, del
14/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. TITO GARRIBBA;

Data Udienza: 21/11/2013

4

MOTIVI DELLA DECISIONE
§1.

BREGOLI Gian Battista ricorre contro la sentenza di patteggia-

mento specificata in epigrafe, che su richiesta delle parti gli applicava la pena di mesi
otto di reclusione per il reato previsto dall’art. 385 cod.pen., e denuncia:
1. erronea qualificazione giuridica del fatto, perché, essendo egli in regime di detenzione domiciliare, la norma incriminatrice andava individuata nell’art. 47
ter, comma ottavo, legge n. 354 del 1975, e non nell’art. 385 cod.pen.;
mancanza di motivazione, perché non è stata riconosciuta l’attenuante di cui
all’art. 385, comma quarto, cod.pen.

§2.

Il primo motivo è inammissibile per carenza di interesse, perché,

per affinità di materia, la condotta prevista dall’art. 47 ter, comma ottavo, legge cit.
subisce lo stesso trattamento sanzionatorio stabilito dall’art. 385 cod.pen., ragion per
cui nessuna utilità può trarre l’impugnante dalla corretta qualificazione giuridica del
fatto.
Il secondo motivo è inammissibile perché diverso da quelli consentiti dalla
legge per la proposizione del ricorso per cassazione. Infatti è giurisprudenza consolidata che, nel procedimento di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e segg.
cod.proc.pen., le parti, una volta che il giudice abbia ratificar° l’accordo, non possono
prospettare con il ricorso per cassazione censure incompatibili con la richiesta di patteggiamento, come quelle concernenti la prova in ordine alla sussistenza e alla qualificazione giuridica del fatto, alla sua attribuzione soggettiva, all’applicazione e comparazione delle circostanze, all’entità e modalità di determinazione della pena (v. Cass.,
Sez. U., 27.10.1999, Fraccari, rv 214637; Sez. 3, 27.3.2001, Ciliberti, rv 219852).
Inoltre la parte è priva di un concreto interesse a dedurre su tali punti la
mancanza o insufficienza della motivazione, dal momento che la decisione del giudice
coincide esattamente con la volontà cristallizzata nel patto.
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606,
comma 3, cod.proc.pen. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro millecinquecento alla cassa
delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro millecinquecento a favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso il 21 novembre 2013.

2.

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