Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20671 del 21/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20671 Anno 2015
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CORTESI LAURA N. IL 08/06/1969
avverso la sentenza n. 32/2013 TRIBUNALE di BELLUNO, del
17/01/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 21/04/2015

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Belluno, giudice d’appello, ha confermato la sentenza
emessa in data 16 aprile 2013 dal locale Giudice di Pace, appellata da CORTESI Laura, dichiarata responsabile dei delitti di lesioni e minacce, commessi il 17 ottobre 2011.
Propone ricorso per cassazione l’imputata deducendo vizio di motivazione sulla responsabilità
per entrambi i reati e sulla mancata applicazione dell’art. 62 n. 2 c.p. in relazione alle minacce.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio
rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia dal Giudice di Pace che dal Tribunale.
Nel caso in esame, difatti, i giudici del merito hanno ineccepibilmente osservato, anche con valutazione delle dichiarazioni dell’imputata, che la prova del fatto ascrittole riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità è adeguatamente argomentata, e nel sostegno a questa che poteva trarsi dalla documentazione medica sulle lesioni e sulla testimonianza di persona,
peraltro appartenente alla polizia giudiziaria, amica di entrambi i protagonisti che aveva visto le
lesioni sul collo della persona offesa nel giorno del fatto, nonché del testimone che nell’ottobre
successivo aveva assistito alla conversazione telefonica fra i due avvenuta in viva voce
nell’ambito della quale era stata proferita la minaccia sub B) il cui valore minatorio si coglie se
valutato unitamente al fatto di lesioni avvenuto poco tempo prima proprio in zona di dimora della persona offesa.
È poi generica la doglianza relativa alla provocazione quanto al capo B), non traendosi dal testo
del ricorso, al di là di meri riferimenti, elementi che consentano di valutare sotto quel profilo la
motivazione della sentenza impugnata, né dalla non contestata narrativa dell’impugnazione contenuta nella sentenza del giudice d’appello risulta proposto specifico motivo di appello, risultando che in merito alla minaccia la prevenuta avesse sic et simpliciter negato il fatto, che il Tribunale ha motivatamente ritenuto sussistente.
La sentenza impugnata non è dunque sindacabile in questa sede perché la Corte di cassazione
non deve condividere o sindacare la decisione, ma verificare se la sua giustificazione sia, come
nel caso in esame, sorretta da validi elementi dimostrativi e non abbia trascurato elementi in astratto decisivi, sia compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, sia
logica: insomma, se sia esauriente e plausibile.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di €. 1.000,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma i 21 aprile 2015.

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