Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20670 del 15/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20670 Anno 2016
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da

Vathi Arben, nato il 09/01/1966
Vathi Bukurie, nata il 19/03/1969

avverso la sentenza del 05/12/2013 della Corte di appello di Ancona

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Gaetano De Amicis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Birritteri, che ha
concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.

Data Udienza: 15/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 dicembre 2013 la Corte d’appello di Ancona, in parziale
riforma della sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal G.u.p. presso il
Tribunale di Pesaro in data 9 dicembre 2004, ha rideterminato rispettivamente in anni
quattro, mesi sei di reclusione ed euro ventimila di multa, ed in anni quattro, mesi due di
reclusione ed euro diciottomila di multa, le pene inflitte a Vathi Arben e Vathi Bukurie per

altre località fra i mesi di maggio e luglio 1999. Con la medesima pronuncia, inoltre, la
Corte d’appello ha rideterminato in anni cinque la durata della pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici, confermando nel resto la sentenza impugnata.

2. Il difensore di Vathi Arben ha proposto ricorso per cassazione deducendo
violazioni di legge e vizi della motivazione riguardo alla valutazione e all’utilizzabilità delle
dichiarazioni accusatorie del coimputato (deceduto) Delju Aldjan, alla sua attendibilità,
oggettiva e soggettiva, ed alla mancanza di riscontri esterni alla chiamata in correità.
Al riguardo si deduce, in particolare, che la Corte di merito ha ritenuto pienamente
utilizzabili tali dichiarazioni sul presupposto che le stesse sarebbero state assunte prima
della riforma intervenuta con la legge 1 marzo 2001, n. 63, con la conseguente
inapplicabilità della nuova disciplina di cui all’art. 26, commi 1 e 2, della legge medesima,
senza considerare, tuttavia, che il momento decisivo per l’individuazione della disciplina
applicabile non era quello dell’acquisizione, ma della valutazione della prova, che è stata
senz’altro successiva alla sua entrata in vigore.

3. Il difensore di Vathi Bukurie ha proposto ricorso per cassazione deducendo tre
motivi di doglíanza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.
3.1. Con il primo motivo si deducono l’inosservanza dell’art. 26, comma 2, della
legge n. 63/2001 e la conseguente mancanza di motivazione in relazione all’affermazione
della penale responsabilità dell’imputata riguardo ai reati di cui ai capi sub A) ed L). Al
riguardo si pone in evidenza il fatto che le dichiarazioni di Delju Aldjan – rilasciate nel
corso degli interrogatori del 10 e del 5 ottobre 1999 – sono inutilizzabili in quanto rese al
P.M. in violazione del combinato disposto degli artt. 64, 178 ss. cod. proc. pen., 26,
comma 2, della legge n. 63/2001, atteso che, alla data della sua morte (avvenuta nel
giugno 2001), il P.M. era ancora nei termini previsti dall’art. 26 della legge sopra citata
per rinnovare l’interrogatorio dell’imputato, chiamante in correità, con la conseguenza
che non può essere condiviso l’assunto, già formulato dal primo Giudice, di una

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i reati di importazione e traffico di stupefacenti del tipo cocaina commessi in Pesaro ed

”irreperibilità del tutto imprevedibile”, né, tanto meno, quello relativo alla configurabilità
delle fattispecie di cui agli artt. 431, lett. c) e 512 cod. proc. pen..
Il procedimento, infatti, tra il mese di marzo 2001 (data di entrata in vigore della
legge n. 63/2001) ed il luglio dello stesso anno pendeva ancora in fase di indagini
preliminari, con la conseguenza che il P.M., essendo il Delju ancora in vita, avrebbe
potuto procedere alla rinnovazione dell’atto istruttorio. Ne discende, pertanto,
l’inutilizzabilità patologica di siffatte dichiarazioni anche nel giudizio abbreviato, la cui

2004.
L’affermazione di penale responsabilità della ricorrente in relazione ai reati oggetto
dei capi d’imputazione sopra indicati poggia, del resto, in misura determinante proprio
sulle dichiarazioni inutilizzabili del Delju, sicchè i residui elementi probatori utilizzati dai
Giudici di merito a mò di riscontro di quelle dichiarazioni accusatorie non possono di certo
essere ritenuti sufficienti per sostenere una sentenza di condanna.
3.2. Con il secondo motivo, inoltre, si deducono i vizi di violazione di legge e
mancanza di motivazione in merito all’esclusione dell’attenuante di cui all’art. 114 cod.
pen., poiché la Corte d’appello, nel confermare il ruolo di concorrente concretamente
svolto dall’imputata nei due episodi delittuosi, si è limitata a ribadire l’esistenza del
presupposto oggettivo della sua partecipazione nei reati, senza tuttavia evidenziare, dopo
aver proceduto all’elisione ipotetica della condotta dalla serie causale, l’assenza di
apprezzabili conseguenze pratiche sul risultato complessivo dell’azione, ovvero
l’insostituibilità dell’apporto. Il ruolo ricoperto dalla ricorrente, infatti, è sempre stato
puramente accessorio a quello dei fratelli, senza svolgere alcuna attività di tipo
organizzativo e gestionale.
3.3. Con il terzo motivo, infine, si deducono vizi della motivazione riguardo alla
denegata concessione delle circostanze attenuanti generiche, per non avere la Corte
d’appello tenuto conto del ruolo effettivamente svolto dalla ricorrente nell’ambito delle
condotte delittuose ascrittele, né degli elementi al riguardo addotti dalla difesa circa la
sua personalità e le sue condizioni di vita. E’ stata, peraltro, irragionevolmente
equiparata la sua posizione a quella del fratello, Vathi Arben, senza considerare il fatto
che la ricorrente si è limitata a svolgere compiti di natura puramente materiale, e mai
decisionale od organizzativa come quelli di competenza del primo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati e vanno rigettati per le ragioni di seguito indicate.

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celebrazione è stata dalla ricorrente successivamente richiesta all’udienza del 4 maggio

2. Per quel che attiene al primo motivo di doglianza – comune ad entrambi i
ricorrenti – deve rilevarsi come nel caso di specie non vi fosse alcun obbligo di
rinnovazione delle dichiarazioni accusatorie del coindagato Delju Aldjan, poichè le stesse,
come correttamente evidenziato nelle decisioni di merito, furono raccolte dal P.M. nel
corso di due interrogatori effettuati rispettivamente il 1° ottobre ed il 5 ottobre 1999,
ossia nel corso delle indagini preliminari – poi concluse con la richiesta di rinvio a giudizio
avanzata il 27 novembre 2002 – e prima del di lui decesso, avvenuto intorno alla metà

confronti avviato e la piena utilizzabilità degli elementi di prova offerti dalle sue
dichiarazioni nel giudizio abbreviato poi richiesto da entrambi i ricorrenti, trattandosi di
atti divenuti successivamente irripetibili per fatti o circostanze del tutto imprevedibili e, di
certo, non imputabili al P.M..
Sotto altro, ma connesso profilo, deve rilevarsi come la tesi difensiva poggi su un
presupposto del tutto errato (ossia, che il momento decisivo per l’individuazione della
disciplina applicabile non era quello dell’acquisizione, ma della valutazione della prova),
omettendo di considerare che, in ordine alle dichiarazioni predibattimentali rese
dall’imputato anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 26, comma 2, della legge n.
63/2001, il discrimine per l’applicazione della normativa processuale sopravvenuta va
individuato, in base al principio “tempus regit actum”, nel momento dell’assunzione della
prova e non in quello della sua valutazione, sicchè nessun effetto preclusivo può
esplicare, in relazione al combinato disposto degli artt. 513, comma 1 e 526 cod. proc.
pen., la circostanza che l’interrogatorio si sia svolto senza l’osservanza delle prescrizioni
di cui al novellato art. 64 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 21980 del 22/05/2008, dep.
30/05/2008, Rv. 240975).
Nel caso in esame, come si è avuto modo di osservare, le dichiarazioni del
coimputato deceduto sono state rese in un momento in cui la su menzionata novella
legislativa non era ancora entrata in vigore, né le stesse potevano essere rinnovate a
causa della sopravvenuta irripetibilità dell’atto all’interno di una sequenza procedimentale
in cui erano ancora in corso le attività di indagine preliminare.
Al riguardo, tuttavia, mette conto rilevare, e il profilo è dirimente, che
l’interrogatorio reso, anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 63/2001,
dall’imputato concorrente nel medesimo reato ascritto al soggetto cui si riferiscono le sue
dichiarazioni accusatorie, non deve essere rinnovato nel rispetto delle prescrizioni di cui
all’art. 64 cod. proc. pen., trattandosi di un soggetto che non potrebbe mai assumere,
prima della definizione del procedimento pendente nei suoi confronti, la veste di
testimone “assistito” (Sez. 1, n. 22395 del 12/05/2009, dep. 28/05/2009, Rv. 244134),
in quanto la proposizione “fatti concernenti la responsabilità altrui”, contenuta nella

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del giugno 2001, con la conseguente archiviazione del procedimento penale nei suoi

lettera dell’art. 64, comma 3, lett. c), cod. proc. pen., deve essere interpretata nel senso
di “fatto che è soltanto “altrui” ” in quanto afferente a reato connesso ai sensi dell’art.
12, comma 1, lett. c), ovvero collegato ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b), cod.
proc. pen. (Sez. 4, n. 1517 del 03/12/2013, dep. 15/01/2014, Rv. 258513).

3. Manifestamente infondato deve ritenersi, inoltre, il secondo motivo di ricorso
dedotto da Vathi Bukurie, ove si consideri, alla luce del costante insegnamento di questa

n. 31762 del 09/06/2003, dep. 28/07/2003, Rv. 226283), secondo cui la circostanza
attenuante del contributo concorsuale di minima importanza trova applicazione laddove
l’apporto del correo risulti così lieve da apparire, nell’ambito della relazione di causalità,
quasi trascurabile e del tutto marginale; ne consegue che il relativo giudizio non può
limitarsi ad una mera comparazione tra le condotte dei vari soggetti concorrenti,
dovendosi invece accertare il grado di efficienza causale dei singoli comportamenti
rispetto alla produzione dell’evento, onde verificare se detta efficienza causale sia
minima, cioè tale da poter essere – in via prognostica – avulsa dalla seriazione causale
senza apprezzabili conseguenze pratiche sul risultato complessivo dell’azione criminosa.
A tale quadro di principii i Giudici di merito si sono fedelmente attenuti, ponendo
congruamente in evidenza, con argomentazioni immuni da vizi logico-giuridici in questa
Sede rilevabili, come non possa sotto alcun profilo ritenersi minimo il contributo
concorsuale dalla ricorrente offerto attraverso lo svolgimento di incarichi importanti
all’interno dell’organizzazione criminosa, come, in un caso, la ricezione dell’ingente
quantitativo di sostanza stupefacente proveniente dall’America e destinata allo spaccio
(contestata nel capo sub a), ovvero, in altro caso, il trasporto a fini di cessione a terzi di
duecento grammi di stupefacente del tipo cocaina di cui al capo sub I).
Invero, la circostanza attenuante del contributo concorsuale di minima importanza
trova applicazione solo nelle evenienze storico-fattuali in cui l’apporto del correo risulti
obiettivamente così lieve da apparire, nell’ambito della relazione causale, quasi
trascurabile e del tutto marginale, sicché essa non può qualificare il contributo costituito
dallo svolgimento del ruolo di “staffetta” nelle fasi di trasporto dello stupefacente quand’anche non abbia ricevuto o materialmente custodito la sostanza (Sez. 3, n. 10642
del 20/01/2010, dep. 18/03/2010, Rv. 246466) – ovvero dall’accompagnamento di un
coimputato per i rifornimenti e le cessioni di stupefacente nel luogo di acquisto e nel
portare il denaro necessario per l’acquisto delle partite di droga (Sez. 1, n. 29168 del
31/05/2011, dep. 21/07/2011, Rv. 250751).

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Suprema Corte (Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, dep. 20/08/2015, Rv. 264455; Sez. 6,

4. Inammissibili, infine, devono ritenersi le censure prospettate dalla Vathi Bukurie in
relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, poiché la
Corte distrettuale ha correttamente indicato, con motivazione congrua ed immune da vizi
logico-giuridici, le ragioni giustificative del suo apprezzamento, incentrato su una
valutazione di obiettiva gravità del reiterato comportamento delittuoso tenuto nel caso in
esame, e in quanto tale non assoggettabile a sindacato in questa Sede, ponendosi, di
contro, le deduzioni difensive sul punto formulate nella mera prospettiva di accreditare

che giustificherebbero la concessione dell’invocato beneficio.
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, d’altronde, non
è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli, come
avvenuto nel caso in esame, faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (v. Sez. 6, n.
34364 del 16/06/2010, dep. 23/09/2010, Rv. 248244; Sez. 3, n. 30562 del 19/03/2014,
dep. 11/07/2014, Rv. 260136).

5. Al rigetto dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15 aprile 2016

Il Consigliere estensore

Il Pre idente

una diversa ed alternativa valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti fattuali

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