Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20669 del 21/04/2015


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 20669 Anno 2015
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: SAVANI PIERO

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sul ricorso proposto da:
MINNELLA CHRISTIAN N. IL 14/11/1986
LO BARTOLO LUIGI N. IL 18/05/1981
avverso la sentenza n. 696/2013 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 15/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 21/04/2015

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Caltanissetta, ridotta la pena per riconoscimento di
vizio parziale di mente e LO BARTOLO Luigi, ha confermato nel resto la sentenza emessa in data
22 novembre 2011 dal Tribunale di Enna, appellata da MINNELLA Christian e LO BARTOLO
Luigi, dichiarati responsabili dei reati di violazione di domicilio aggravata, di lesioni aggravate in
concorso, e il secondo anche di porto abusivo di strumento atto ad offendere, commessi il 10 luglio
2006.
Propongono ricorso per cassazione gli imputati.
Il MINNELLA deduce vizio di motivazione sulla responsabilità e mancanza di motivazione sul
trattamento sanzionatorio.
Il LO BARTOLO deduce, ribadendolo con memoria, che peraltro chiede l’applicazione dell’art.
131 bis c.p., violazione di legge e difetto di motivazione sul ritenuto concorso.
Osserva il Collegio che i ricorsi sono inammissibili, in quanto tendono a sottoporre al giudizio di
legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio
rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia dal
Tribunale che dalla Corte d’appello.
Nel caso in esame, difatti, entrambe le pronunce hanno ineccepibilmente osservato che la prova del
fatto ascritto agli imputati riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità è
adeguatamente argomentata, e nel sostegno a questa che poteva trarsi dall’esito degli accertamenti
dei carabinieri, che avevano consentito di ritenere plausibile il racconto dei fatti da parte della
BARBETTO.
Entrambi i ricorsi nel lamentare erronea valutazione delle emergenze processuali propongono una
ricostruzione alternativa dei fatti, né si fanno carico della corretta produzione dei verbali di cui si
sostiene il travisamento, considerato che, pur affermando l’esistenza di un vizio di contraddizione
della motivazione rispetto ai dati acquisiti e cioè di “travisamento della prova”, non v’è argomento
dei ricorrenti che non si ponga invece come censura sul significato e sulla interpretazione di tali
elementi. Mentre l’unico “travisamento” prospettabile in questa sede per effetto della novella che ha
modificato l’art. 606, comma 1, lettera e), del codice, dovrebbe concernere il significante, non il
significato.
D’altra parte non c’è brandello di verbalizzazione (tali sono i passi riportati in ricorso
assertivamente “travisati”), per quanto significativo, che possa essere “interpretato” fuori del
contesto in cui è inserito, che questa Corte non conosce e non può valutare. E gli aspetti del
giudizio interni all’ambito della discrezionalità nella valutazione degli elementi di prova e degli
apprezzamenti del fatto, attengono interamente al “merito”, e non ai possibili vizi del percorso
formativo del convincimento rilevanti in questa sede. Né questo può risolversi in una istanza di
revisione delle valutazioni effettuate e, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice dj
merito, al quale non può imputarsi di aver omesso l’esplicita confutazione d’ogni tesi non accolta o
la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non significativi o già implicitamente
apprezzati come inconferenti, quando le ragioni seguite emergano comunque compiutamente e il
Convincimento raggiunto risulti supportato da un esame logico e coerente di quelle tra le
prospettazioni delle parti, le emergenze istruttorie, i possibili significati, che sono idonee e
sufficienti a giustificarlo.
La sentenza impugnata non è dunque sindacabile in questa sede perché la Corte di cassazione non
deve condividere o sindacare la decisione, ma verificare se la sua giustificazione sia, come nel caso
in esame, sorretta da validi elementi dimostrativi e non abbia trascurato elementi in astratto decisivi,
sia compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, sia logica: insomma,
se sia esauriente e plausibile.
Del tutto generica infine la doglianza di MINNELLA sul trattamento sanzionatorio.
Fa riferimento ad una pretesa omissione della Corte di merito sulla prospettazione di una
provocazione, laddove la Corte territoriale ha affrontato la questione e ne ha dato atto anche con
riferimento al trattamento sanzionatorio.

come determinante per una differente conclusione del giudice del merito.
Quanto alla richiesta di applicazione del disposto dell’art. 131 bis c.p. osserva il Collegio che la
richiesta è del tutto generico in quanto non supportata da argomentazione specifica.
Rileva piuttosto la Corte che il reato di cui al capo 6) si è prescritto fin dal 10 luglio 2011 nella
generale indifferenza sia dei giudici del merito che dell’interessato.
Il Collegio ritiene di dover aderire alla giurisprudenza secondo la quale la prescrizione del reato
intervenuta prima della sentenza di secondo grado deve essere rilevata dal giudice di legittimità
anche in caso di ricorso inammissibile.
Di conseguenza, accertata la prescrizione del reato sub 6), la sentenza deve essere annullata senza
rinvio in parte qua, con riduzione della relativa pena di giorni 5 di reclusione inflitta a quel titolo al
LO BARTOLO.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna di ciascun
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,00# per ognuno.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di LO BARTOLO Luigi per
essere il reato di cui al capo 6) estinto per prescrizione e riduce di giorni 5 di reclusione la pena a lui
inflitta a quel titolo; dichiara, nel resto, inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di €. 1.000,00# alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 21 apri
015.

Né il ricorso fa riferimento a prospettazione pretermessa da parte della Corte che, potesse porsi

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