Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20669 del 15/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20669 Anno 2016
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
Antonioli Gregorio, nato a Massa, il 19/01/1957

Avverso la sentenza del 20/11/2013 della Corte di appello di Bologna

Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso,
Udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Luigi
Birritteri, che ha concluso per il rigetto del ricorso
Udito il difensore, Avv. Fabio Chiarini, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Antonioli Gregorio, comandante della Stazione dei Carabinieri di Rubiera,
è stato riconosciuto colpevole dal Tribunale di Reggio Emilia in data 16/5/2012
del reato di falso ideologico continuato, contestato sub a), relativo a tre
attestazioni di utilizzo di autovettura privata per ragioni di servizio, del reato di
truffa aggravata e continuata, contestato al capo b), relativo all’archiviazione di
pratiche relative a violazioni amministrative, ottenuta tramite le false attestazioni
menzionate, del reato di peculato continuato, contestato al capo c), relativo

Data Udienza: 15/04/2016

all’utilizzo di telefono cellulare di servizio per uso privato: il Giudice, concesse le
attenuanti generiche e in relazione al peculato sub c) quella del danno risarcito,
ritenuta la continuazione, ha irrogato all’imputato la pena di anni due di
reclusione, oltre che la pena accessoria di legge, con il beneficio della
sospensione condizionale.

l’Antonioli con riferimento ad uno degli episodi contestati ai capi a) e b), ha
concesso anche l’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen. e rideterminato la
pena in anni uno mesi tre e giorni venti di reclusione, aggiungendo il beneficio
della non menzione.

3. Propone ricorso l’imputato tramite il proprio difensore.
3.1. Con il primo motivo denuncia violazione degli artt. 178 e 375 cod. proc.
pen. agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione alla
nullità dell’interrogatorio di garanzia reso dall’Antonioli.
Rileva che era stato eccepito con i motivi di appello che l’interrogatorio
svoltosi il 30/1/2007 presso la Procura della Repubblica di Reggio Emilia non era
stato preceduto da convocazione rituale nei termini di legge con contestazione
degli addebiti e delle fonti di prova.
La Corte aveva escluso che l’atto potesse ritenersi invalido e che fosse stato
violato l’art. 64 cod. proc. pen.
Diverso era l’avviso della difesa, con tutte le ricadute della nullità sul
materiale probatorio.
3.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione con travisamento
della prova in relazione ai capi a) e b) agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen.
Lo stesso tipo di ragionamento compiuto per giungere all’assoluzione
parziale dell’imputato con riferimento all’episodio di Bologna avrebbe dovuto
condurre la Corte all’assoluzione dagli altri due episodi, visto che anche per
questi erano stati sentiti testi a discarico che sarebbero dovuti reputarsi
attendibili e probanti.
Illogicamente non era stato attribuito rilievo allo stato di servizio per
l’episodio di Bologna, mentre lo stesso aveva avuto incidenza per gli altri due
episodi.
Inoltre il ricorrente richiama gli argomenti difensivi per contrastare la
ricostruzione operata dalla Corte con riferimento a questi ultimi, sostenendo che
non era stata acquisita alcuna prova diretta contraria.
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2. La Corte di appello di Bologna con sentenza del 20/11/2013 ha assolto

3.3. Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., in relazione all’art. 314 cod. pen.
Il non implausibile ma ragionevole dubbio avrebbe dovuto neutralizzare
l’ipotesi prospettata dall’accusa.
La ricostruzione della Corte era inoltre illogica, in particolare con riferimento
alla valutazione delle testimonianze di Chianura e Faggiani, il primo conoscente

curava il traffico telefonico dei comandanti di Stazione dell’Emilia Romagna,
deposizioni dalle quali era emerso che l’Antonioli aveva riattivato il sistema dualbilling e che non aveva consapevolmente approfittato della mancata
riattivazione.
3.4. Con il quarto motivo denuncia il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen. e comunque la mancanza dell’elemento oggettivo del delitto
di peculato.
Segnala che non integra il delitto di peculato la condotta del pubblico
dipendente che utilizzi la linea telefonica per usi privati quando il danno
economico sia modesta entità.
Occorre dunque che ai fini della sussistenza dell’elemento materiale del
delitto i beni sottratti posseggano un significativo rilievo economico.
In tal senso vengono richiamati arresti della Corte di cassazione.
3.5. Nelle conclusioni si chiede fra l’altro la derubricazione del delitto sub 3)
in quello di peculato d’uso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
E’ pacifico che l’interrogatorio del 30/1/2007 avvenne senza il previo avviso
previsto dall’art. 375 cod. proc. pen., notificato almeno tre giorni prima.
Sul punto tuttavia la Corte di appello ha già rilevato che in concreto furono
osservate le garanzie di legge, essendo stati formulati gli avvisi di cui all’art. 64
cod. proc. pen. ed essendo avvenuta una sommaria contestazione, prima che
fossero poste le domande, ferma restando la facoltà dell’indagato di non
rispondere.
Del resto l’Antonioli, assistito da un difensore, scelse di rispondere alle
domande postegli, senza che fossero state sollevate eccezioni di sorta.
Va aggiunto che il ricorrente non confuta specificamente l’argomento della
Corte secondo cui nella circostanza non furono esercitate pressioni tali da

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dell’imputato e il secondo in servizio al centro trasmissioni di Bologna, ufficio che

costituire indebita coazione, incidente sulla libertà dell’indagato, che anzi modulò
il tipo di risposte e di difese in relazione ai diversi fatti in contestazione.
A ben guardare l’originaria nullità, di tipo intermedio, avrebbe dovuto essere
dedotta prima del compimento dell’atto ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod.
proc. pen. in quanto la parte vi assisteva, con la presenza di un difensore,
rimasto silente: la mancata formulazione di eccezioni tempestive ha determinato

dovendosi comunque rilevare come la parte interessata, avendo scelto
liberamente di rispondere alle domande, avesse accettato gli effetti dell’atto.

2. Il secondo motivo è inammissibile, perché generico e meramente
reiterativo di argomenti già valutati dalla Corte territoriale.
E’ stato invero nitidamente posto in luce che gli elementi acquisiti, in
aggiunta alla confessione desumibile dall’interrogatorio del 30/1/2007, erano
idonei a comprovare la falsità delle attestazioni riferite agli episodi del 18/1/2006
e del 5/3/2006.
La Corte territoriale, sul punto suffragando gli assunti del primo Giudice, ha
invero rilevato che, relativamente al primo episodio (parcheggio del veicolo in
spazi riservati ad invalidi), militavano nel senso della falsità non solo lo stato di
servizio giornaliero dell’Antonioli, il tracciamento delle celle raggiunte dalle
utenze cellulari, l’assenza di conferme rivenienti dal teste Gandolfi (non Pellegri,
come per mero refuso indicato dalla Corte), ma anche l’implausibilità del
racconto fornito dall’imputato in ordine all’avvistamento del ricercato Zenzola a
bordo di motocicletta, poi peraltro, del tutto illogicamente, inseguito a piedi, con
previo parcheggio dell’auto nel primo posto trovato libero nell’area del centro
commerciale presso il quale l’Antonioli aveva, a suo dire, accompagnato la
moglie.
Relativamente all’altro episodio (eccesso di velocità), la Corte ha invece
rilevato che la falsità dell’attestazione poi inviata dall’Antonioli era desumibile
non solo dall’assenza dal servizio, dalla non precisa collocabilità nel tempo
dell’episodio narrato dal teste Montecchi, dalla genericità della deposizione del
teste Butrico, ma anche dal fatto che la violazione era stata commessa in
direzione Ferrara-Argenta e non viceversa, circostanza non compatibile con
l’assunto che l’Antonioli avrebbe effettuato una momentanea inversione di
marcia, in quanto chiamato dal Butrico per esigenze di servizio poi venute meno.
Tali rilievi risultano non manifestamente illogici, a fronte delle meramente
assertive proposizioni del ricorrente, che peraltro genericamente ribadisce le tesi
difensive.
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dunque la decadenza dalla facoltà di sollevare la questione successivamente,

Né è dato ravvisare contraddittorietà tra la valorizzazione dello stato di
servizio giornaliero nei due episodi citati e la diversa valutazione fornita in ordine
all’episodio di Bologna del 2/1/2006, per il quale è stata pronunciata assoluzione,
ovvero tra il rilievo attribuito alla deposizione del teste Valentino per l’episodio
del 2/1/2006 e la svalutazione delle testimonianze a discarico rese in ordine agli
altri due episodi, avendo la Corte fornito puntuali spiegazioni della ricostruzione

ritenuta inidoneità delle testimonianze a discarico.

3. Parimenti inammissibile risulta il terzo motivo, che ancora una volta
ripropone la tesi difensiva, incentrata sull’attivazione del sistema «dual billing», e
invoca le testimonianze di Chianura e Faggiani, peraltro senza confrontarsi con la
motivazione utilizzata dalla Corte territoriale, secondo cui la richiesta di
riattivazione si sarebbe dovuta riferire ad epoca anteriore al 26/5/2004, mentre
la contestazione di peculato riguardava il periodo dal 1/6/2006 al 31/1/2007 e
concerneva 1476 contatti con l’utenza della signora Pellegri, moglie
dell’imputato, essendo implausibile che l’Antonioli nei due anni antecedenti, nel
corso dei quali non aveva ricevuto fatture né pagato alcunchè, non si fosse
accorto che il servizio «dual billing» non era stato riattivato, e dovendosi ritenere
invece che l’imputato avesse approfittato della mancata riattivazione dopo il
trasferimento a Rubiera.
Ancora una volta tale motivazione si sottrae ai generici rilievi del ricorrente,
in quanto non manifestamente illogica.

4. Relativamente al quarto motivo, è d’uopo rilevare che lo stesso va
valutato alla stregua delle conclusioni formulate dal ricorrente, che ha chiesto la
derubricazione dell’ipotesi di peculato nella fattispecie del peculato d’uso.
Ed invero l’assunto dell’inconsistenza del danno economico non rileva con
riguardo al peculato, essendosi affermato che la fattispecie di cui all’art. 314 cod.
pen. tutela anche l’ulteriore interesse che si identifica nella legalità, imparzialità
e buon andamento dell’operato del pubblico ufficiale (Cass. Sez. 38691 del
25/6/2009, Caruso, rv. 244190).
Per contro è stato rilevato che l’utilizzo del telefono d’ufficio per fini
personali al di fuori dei casi di urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni
integra il delitto di peculato d’uso se produce un danno apprezzabile al
patrimonio della P.A. o di terzi ovvero una lesione concreta alla funzionalità
dell’ufficio, essendo invece irrilevante se non presenta conseguenze
economicamente e funzionalmente significative (Cass. Sez. Ul n. 19054 del
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degli episodi alla luce di tutte le risultanze processuali e delle ragioni della

20/12/2012, dep. nel 2013, Vattani, rv. 255296; Cass. Sez. 6, n. 50944 del
4/11/2014, Barassi, rv. 261416).
Nel caso di specie è stato sottolineato che le telefonate per ragioni private
avevano un valore complessivo di euro 250,00 circa, dovendosi peraltro tener
contro della valutazione prudenziale del dato, in relazione alle telefonate di cui
era stata con cortezza verificata la non inerenza a ragioni di ufficio.

attraverso 1476 contatti telefonici non correlati a ragioni di ufficio sia addirittura
insignificante, esso esprimendo invece la perdurante continuità della condotta
illecita.
Da ciò discende peraltro che il reato di cui al capo c) deve essere
riqualificato come peculato d’uso, conseguendone l’annullamento della sentenza
impugnata in ordine al complessivo trattamento sanzionatorio (il peculato era
stato individuato anche come il reato più grave agli effetti dell’art. 81 cod. pen.)
e il rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per la relativa
rideterminazione.
Va peraltro segnalato che l’imputato ha rinunciato alla prescrizione, come
documentato nelle conclusioni nel giudizio di appello.

P. Q. M.

Qualificato il reato sub c) come peculato d’uso, annulla la sentenza
impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per la
rideterminazione complessiva della pena ad altra sezione della Corte di appello di
Bologna.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 15/4/2016

Il Consigliere estensore

Il Pre ide te

Non può dirsi che, per quanto modesto, il danno economico cagionato

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