Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20666 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20666 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: GIANESINI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DE SENA FILOMENA nato il 12/03/1960 a NOLA
RANIERI ANGELO nato il 18/04/1953 a NOIA

avverso la sentenza del 28/05/2015 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 08/04/2016, la relazione svolta dal Consigliere MAURIZIO GIANESINI
Udito il Procuratore Generale in persona del AGNELLO ROSSI
che ha concluso per L

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Data Udienza: 08/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. I difensori di Angelo RANIERI e Filomena DE SENA hanno proposto ricorso
per Cassazione contro la sentenza 28 maggio 2015 con la quale la Corte di
Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Nola che ha
condannato entrambi gli imputati per i reati di cui alla imputazione.
1.1 Più in dettaglio, gli imputati sono stati ritenuti responsabili del reato di
associazione per delinquere di cui al capo A per avere costituito, nelle loro

persona, tale Antonio MECOGLIANO, una associazione per delinquere finalizzata
alla commissione di una serie indeterminata di delitti di peculato e di falso in atto
pubblico e più in particolare per avere formato un numero imprecisato di
mandati di pagamento falsi nella indicazione della causale e del capitolo di spesa
e per essersi così appropriati delle relative somme costituenti risorse finanziarie
del Comune di NOLA; gli stessi imputati sono stati ritenuti responsabili dei delitti
di peculato di cui ai capi B, D, F e G per avere emesso mandati di pagamento
privi di qualsiasi genetica legittimazione ovvero mere riproduzioni di un mandato
capofila e ripartendo poi, con il MERCOGLIANO, dopo l’accredito, le somme
oggetto di appropriazione e dei delitti di falso di cui ai capi C, E ed H per avere
alterato i mandati di pagamento, dopo la loro memorizzazione nel database del
Comune, per nasconderne la illiceità.
2. Il difensore di Angelo RANIERI ha dedotto quattro motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato che la Corte territoriale
avesse fondato la responsabilità dell’imputato esclusivamente sulla posizione
amministrativa ricoperta all’interno del Comune di NOLA, senza che vi fossero
reali indicazioni dichiarative nei suoi confronti dato che le dichiarazioni lel
ragioniere SQUAME si erano limitate a descrivere il funzionamento del sistema di
apertura e chiusura dei residui contabili, con attribuzione al RANIERI di tali
mansioni mentre il MERCOGLIANO era del tutto inaffidabile e comunque non
riscontrato nella sua chiamata in correità, soprattutto sul punto della successiva
corresponsione delle somme gli imputati, tanto più che dalle indagini bancarie
era risultato che il RANIERI aveva sempre vissuto del proprio stipendio.
2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente ha contestato la sussistenza di una
struttura organizzata tale da potersi qualificare come associazione rilevante ex
art. 416 cod. pen., dato che nel caso in esame ricorreva tutt’al più l’ipotesi di
concorso di persone in un reato continuato.

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qualità di impiegati del Comune di Nola addetti ai servizi finanziari e con altra

2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente sostenuto che i fatti di appropriazione
indicati nelle imputazioni andavano qualificati come truffa aggravata e non come
peculato dal momento che l’imputato non aveva la disponibilità né giuridica né di
fatto delle somme che venivano materialmente liquidate dopo un iter
amministrativo cui partecipavano più soggetti e l’appropriazione

di denaro

pubblico era invece diretta conseguenza degli artifici e raggiri costituiti dalla
successiva falsificazione dei mandati di pagamento, tanto più che il Tribunale di
Napoli in sede di riesame aveva qualificato il fatto appunto come truffa

ministero, era passato in giudicato costituendo così il vincolo proprio del c.d.
giudicato cautelare nel successivo giudizio abbreviato allo stato degli atti.
2.4 Con il quarto e il quinto motivo, infine, il ricorrente ha censurato la
motivazione della Corte territoriale sul punto del mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche e della condanna al risarcimento del danno a favore del
Comune di NOLA.
3. Il difensore di Filomena DE SENA ha dedotto sette motivi di ricorso.
3.1 Con i primi tre motivi, il ricorrente ha premesso di aver prodotto nel
giudizio di appello una ordinanza cautelare per fatti analoghi emessa in un
momento successivo nei confronti degli accusatori della imputata e ha affermato
che sulla base di tale ordinanza, del tutto trascurata nella motivazione della
Corte di Appello, era impossibile sostenere che la DE SENA, priva di funzioni
direttive e semplice impiegata di concetto, potesse essere considerata addirittura
promotrice della associazione per delinquere indicata al capo A, reato tra l’altro
del tutto insussistente sia sul piano materiale che psicologico.
3.2 Con il quarto motivo, il ricorrente ha lamentato che la Corte avesse
qualificato giuridicamente i reati fine della associazione come peculato e non
come truffa aggravata dal momento che la disponibilità del pubblico denaro non
era antecedente la formazione dei falsi mandati e l’individuazione dei falsi
capitoli di spesa ma era stata ottenuta solo dopo la sottoscrizione dei mandati
stessi che a sua volta era l’effetto delle condotte artificiose ore descritte.
3.3 Con il quinto e sesto motivo, il ricorrente ha lamentato, quanto ai reati di
falso di cui ai capi e ed h e in riferimento ai mandati di pagamento 2003 del
19/7/2013 e 3223 del 6/12/2011, che la Corte avesse pronunciato sentenza per
un fatto diverso rispetto a quello contestato posto che nelle relative imputazioni
si faceva cenno alla alterazione dei mandati con successiva indicazione della

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aggravata e che il relativo provvedimento, non impugnato dal pubblico

dicitura “diversi” mentre nel mandato 2003 era indicato il nome del beneficiario
in Giuseppina BRODA e nel mandato 3223 il nome di Consiglia MONTEMURRO.
3.4 Con il settimo motivo, infine, il ricorrente ha censurato il mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche e la quantificazione della pena operata
dal Giudice di appello.
4. Il difensore di Angelo RANIERI ha poi depositato motivi aggiunti ad
integrazione del terzo motivo del ricorso insistendo per la qualificazione come

Tribunale di NOLA nei confronti di Antonio MERCOGLIANO con sentenza
dibattimentale nel frattempo intervenuta e prodotta.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono infondati per le ragioni di cui ai numeri che
seguono e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
2. E’ opportuno trattare per prima la questione sollevata con il primo motivo
di ricorso del RANIERI e relativa sostanzialmente alla ricostruzione complessiva
dei fatti per poi passare alle questioni sollevate da entrambi i ricorrenti relative
alla qualificazione giuridica dei fatti stessi, per finire, conclusivamente, con i
motivi più propriamente riferibili ad ogni singolo imputato.
3. Come si è anticipato, il ricorrente RANIERI ha sostanzialmente criticato la
motivazione della sentenza impugnata lamentando che la stessa non sia stata in
realtà in grado di indicare effettivamente, al di là del riconoscimento della
funzione dell’imputato dalla quale sarebbe stata automaticamente dedotta la sua
responsabilità, quale sia stato il reale contributo del RANIERI alla realizzazione
dei fatti in questione, tanto più che la chiamata in correità del MERCOGLIANO
non rispondeva ai canoni processuali sui quali si può fondare legittimamente un
giudizio di attendibilità di quanto dichiarato.
3.1 Il ricorso è, sul punto, del tutto infondato dal momento che le relative
argomentazioni attengono a profili di mero fatto, già abbondantemente valutati e
convincentemente confutati nella motivazione della sentenza impugnata; basterà
in questa specifica sede ricordare brevemente che, come dettagliatamente e
persuasivamente osservato nella motivazione della sentenza della Corte di
Appello di NAPOLI, il compendio probatorio a carico del RANIERI (e della DE
SENA) si compone di elementi propriamente dichiarativi e di elementi di natura
documentale; tra i primi la Corte ha indicato le informazioni del ragioniere
generale del Comune di NOLA Daniele CUTOLO che ha descritto il sistema

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truffe aggravate dei reati fine di peculato contestati, come del resto aveva fatto il

utilizzato per l’appropriazione delle risorse pubbliche indicando al contempo il
ruolo fattivo svolto da ciascun imputato e quelle del rag. SQUAME, che ha
attribuito alla esclusiva spettanza dell’imputato la gestione dei residui e
l’impegno arbitrariamente di risorse finanziarie appostate alla voce “spese
d’obbligo” per la cui movimentazione non erano necessari specifici provvedimenti
di autorizzazione alla spesa; ai dati processuali ora ricordati si sono aggiunte le
dichiarazioni del MERCOGLIANO che quindi risultano, per la parte riferibile alle
accuse rivolte ai due imputati di aver predisposto fatture per lavori mai svolti e

la DE SENA e/o con il RANIERI, perfettamente riscontrate anche dall’esiti di
indagini bancarie, a mente delle quali lo stesso MERCOGLIANO, dopo l’accredito,
prelevava parzialmente degli importi trattenendo il resto in entità percentuale
sicuramente maggiore di quella necessaria al versamento di imposte; ancora, e
per chiudere sul punto della attendibilità del MERCOGLIANO, dei riscontri alle sue
dichiarazioni e della esclusione della circostanza che il RANIERI sia stato
riconosciuto colpevole per una sorta di “responsabilità da posizione”, va ricordato
il compendio probatorio costituito dalla documentazione acquisita, che non lascia
davvero dubbi sul fatto che la quasi totalità dei mandati, come osservato dalla
Corte territoriale, sono risultati mere duplicazioni di titoli di spesa a loro tempo
legittimamente emessi, effettivamente liquidati e pagati per lavori effettivamente
effettuati.
4. Entrambi i ricorrenti hanno censurato la decisione della Corte napoletana
che ha qualificato i fatti al suo esame come peculato e non come truffa
aggravata ex art. 61 n. 9 cod. pen. richiamando la nota giurisprudenza della
Corte di legittimità i cui ultimi esiti sono rappresentati dalla recente Cass. sez. 6
del 6/2/2014 n. 15795, Rv 260154 secondo la quale l’elemento distintivo tra il
delitto di peculato e quello di truffa aggravata va individuato con riferimento alle
modalità del possesso del denaro oggetti di appropriazione, ricorrendo la prima
figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri
avendone già il possesso o la disponibilità e ravvisandosi la seconda ipotesi
quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso o disponibilità, se lo procuri
fraudolentemente facendo ricorso ad artifici e raggiri per appropriarsi del bene;
nella prospettiva argomentativa delle difese ricorrenti, quindi, il dato materiale
della effettiva appropriazione delle somme di cui ai mandati di pagamento più
volte citati si sarebbe realizzato solo a seguito della sottoscrizione degli stessi da
parte del dirigente dell’ufficio, tratto in inganno dalle condotte artificiose e
falsificatorie enunciate nelle relative imputazioni.

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gv.\

di avere, dopo l’accredito delle stesse, ripartito le relative somme di denaro con

4.1 Per rispondere alle osservazioni difensive, sembra necessario prima di
tutto ricordare brevemente ruoli e funzioni svolti dagli imputati e tratteggiare
altrettanto brevemente la procedura amministrativa attraverso la quale si
giungeva alla sottoscrizione dei mandati di pagamento; sulla base di quanto
accertato dalle sentenze di merito sulla scorta, tra l’altro, delle determine
dirigenziali del rag. Squame ma soprattutto dell’esame del materiale
documentale sequestrato oltre che delle dichiarazioni del MERCOGLIANO, va
allora detto che il RANIERI era il responsabile, tra l’altro, della gestione e

su atti dispositivi in assenza del dirigente e, quel che più importa in questa
specifica sede, era il responsabile della gestione dei residui passivi relativi ad
impegni di spesa assunti negli esercizi precedenti e non ancora ordinati o non
ancora pagati; l’imputato, in sostanza, era colui che indicava le poste di bilancio
da impegnare con l’individuazione di un capitolo capiente sul quale era possibile
gestire dei residui e cioè degli impegni di spesa presi negli esercizi precedenti e
non pagati e che provvedeva anche, in alcuni casi, alla liquidazione; dopo
l’emissione del titolo la DE SENA, che era addetta, per quanto qui di specifico
interesse, alla predisposizione dei mandati di pagamento, procedeva d sola,
utilizzando la propria password di accesso al sistema della contabilità
informatica, e talvolta con lo stesso RANIERI, a modificare il nominativo del
creditore, sostituendo il beneficiario con la dicitura “diversi” e, a volte, anche la
causale, l’oggetto e l’importo dell’atto di disposizione; i mandati così predisposti,
con le alterazioni e le falsificazioni descritte nei relativi capi di imputazione,
erano poi sottoposti alla firma del responsabile, dopodiché l’atto dispositivo della
spesa risultava pienamente operativo.
4.2 I fatti, così come accertati nei termini di cui si è detto, sono stati
giuridicamente qualificati dalla Corte territoriale come peculato e non come
truffa, come richiesto ancora oggi dalle difese ricorrenti, sulla base di un duplice
ordine di considerazioni; per un verso, infatti, la Corte napoletana ha rilevato
che la indicazione da parte del RANIERI delle poste di bilancio da impegnare e
l’individuazione di un capitolo capiente sul quale era possibile gestire gli impegni
di spesa assunti nei precedenti esercizi e non pagati realizzava già quella
effettiva disponibilità delle somme rilevante ai fini della concretizzazione del fatto
di reato di cui all’art. 314 cod. pen., disponibilità che quindi costituiva un dato di
fatto logicamente e temporalmente precedente rispetto alle artificiose modifiche
operate dalla DE SENA dei mandati di pagamento, modifiche che costituivano
tutt’al più il mezzo per impedire che la successiva appropriazione venisse
scoperta a livello contabile; dall’altro, poi, e sul versante appunto della

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1P7

registrazione degli impegni di spesa e dei relativi controlli, aveva potere di firma

successiva appropriazione, la Corte ha rilevato che i mandati di pagamento
alterati dalla DE SENA venivano poi sottoposti alla firma del dirigente dell’ufficio,
che interveniva alla fine della procedura di liquidazione limitandosi ad una
verifica meramente formale senza nessuna possibilità di approfondimento e di
controllo che consentisse di raffrontare gli stessi con la documentazione
contabile e amministrativa di supporto e valutarne quindi la sostanziale falsità.
4.2 La qualificazione giuridica in termini di peculato data da entrambi i
giudici di merito ai fatti come sopra accertati appare corretta; esaminando

che sia nella sentenze impugnate che nei motivi di ricorso sono stati qualche
volta confusi e soprapposti, va allora ricordato che la nozione di disponibilità,
rilevante ai fini della concretizzazione dell’elemento materiale del reato di
peculato di cui all’art. 314 cod. pen., e che costituisce, come è noto, il
presupposto della condotta di appropriazione, resta concretata tutte le volte in
cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio agente sia in grado,
mediante un atto dispositivo di sua competenza, di inserirsi operativamente nella
gestione del pubblico denaro e di conseguire poi quanto oggetto di successiva
appropriazione (giurisprudenza copiosa sul punto, si veda da ultimo Cass. sez. 6
del 16/10/2013 n. 45908, Rv 257385); sulla base quindi delle indicazioni sopra
riportate, non vi è dubbio, a parere della Corte, che la materiale ed effettiva
individuazione, da parte del RANIERI, che era il responsabile della gestione degli
impegni di spesa, dei capitoli di bilancio capienti sui quali gestire appunto
impegni di spesa già assunti e mai pagati nei precedenti esercizi, in uno la
redazione e materiale predisposizione dei relativi mandati di pagamento destinati
poi alla successiva alterazione da parte della DE SENA realizzi quell’elemento
materiale della disponibilità del denaro pubblico rilevante ai sensi dell’art. 314
cod. pen. in vista della successiva appropriazione.
4.3 II problema, semmai, si pone appunto in tema di (successiva)
appropriazione e sul punto soccorrono recentissime decisioni della Corte di
legittimità, secondo le quali il reato di cui all’art. 314 cod. pen. resta concretato
anche nel caso in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio eroghi
denaro pubblico attraverso atti amministrativi di sua competenza che vengano
sottoposti da terzi, prima del reale, effettivo pagamento, a controlli meramente
formali, tali da non consentire un esame approfondito del titolo di pagamento e
da costituire, sostanzialmente, una attività automatica e ripetitiva anche in
ragione del numero di mandati di pagamento da controllare, così che non sia
necessario alcun reale artificio o raggiro per conseguire la appropriazione delle
somme stesse (si veda sul punto Cass. Sez. 6 n. 50758 del 15/12/2015 Rv.
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929-1

separatamente i requisiti oggettivi della “disponibilità” e della “appropriazione”

265931 che segue di poco Cass. Sez. 6, n. 49283 del 04/11/2015, Labate, Rv.
265704); in buona sostanza, quindi, calando nel concreto gli insegnamenti di
legittimità sopra richiamati, deve affermarsi che l’atto di disposizione
patrimoniale conclusivo dell’iter amministrativo adottato dal responsabile
dell’ufficio del Comune di NOIA, privo di reali ed effettivi poteri di controllo,
accompagnato dalla certezza da parte degli imputati che i titoli di pagamento
oggettivamente privi di copertura e formalmente alterati con le attività artificiose
più volte richiamate non avrebbero trovato alcun effettivo ostacolo in sede di

pagamento, nemmeno se gli stessi non fossero stati alterati, è costitutivo della
diretta ed immediata appropriazione delle relative somme da parte di entrambi
gli imputati; resta quindi dimostrato che le condotte artificiose e falsificatorie
realizzate dalla DE SENA, fungi dal rappresentare il mezzo causalmente
necessario per ottenere la appropriazione del pubblico denaro di cui si dice,
rappresentavano invece l’ evidente strumento per ostacolare fruttuosamente, a
livello contabile di successivo controllo, l’accertamento di una appropriazione già
interamente consumatasi delle somme liquidate.
4.4 Nella prospettiva argomentativa che si è svolta più sopra, è
evidentemente privo di rilievo sia il fatto che in sede cautelare la vicenda abbia
trovato una qualificazione giuridica diversa, posto che il giudicato cautelare fa
stato, a tutto voler concedere, appunto e solo in nel procedimento cautelare, sia
la circostanza, debitamente documentata dai ricorrenti, che in sede di giudizio
dibattimentale tenutosi a carico del MERCOGLIANO, il fatto sia stato qualificato
come truffa aggravata,; per concludere comunque sul punto, va poi osservato
che in ogni caso, anche a tutto voler concedere alle prospettazioni difensive,
resta indubitabilmente accertato che vanno qualificati come fatti di peculato
quelli di cui ai mandati 3605 del 7/10/2008 (Capo A) e 2630 del 9/8/2011 (Capo
G), entrambi a firma del RANIERI.
5. Entrambi i ricorrenti hanno sostenuto poi che la sentenza della Corte di
NAPOLI non avesse dato adeguata motivazione sul punto della esistenza di una
associazione per delinquere ex art. 416 cod. pen., specie sotto il profilo della
esistenza di una struttura organizzata che andasse oltre il mero concorso di
persone nel reato; il difensore della DE SENA ha contestato anche il ruolo,
attribuitole dai giudizi di merito, di promotrice della associazione.
5.1 In realtà, la motivazione della sentenza impugnata si è spesa
fruttuosamente per affermare l’esistenza, tra i due imputati e il MERCOGLIANO,
di una organizzazione qualificabile ai sensi dell’art. 416 cod. pen. modulando le

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9,91

controllo da parte di chi aveva il potere finale di firma e di autorizzazione al

sue valutazioni sui principi della giurisprudenza di legittimità a mente della quale
il reato di associazione in questione necessita, dal punto di vista oggettivo, di un
vincolo associativo tendenzialmente permanente, di un programma criminoso
indeterminato e di una struttura organizzativa sia pur minima ma idonea e
adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi (si veda da ultimo, su questi noti e
ripetuti principi di diritto, Cass. sez. 2 del 3/4/2013 n. 20451, Rv 256054).
5.2 In particolare, per quanto riguarda il dato materiale propriamente
riferibile alla struttura organizzativa che ha riscosso la censura dei ricorrenti, la

che la sua esistenza e la sua stabilità era dimostrata, in fatto, dal lungo arco
temporale all’interno del quale erano stati commessi i reati fine, dalla
omogeneità di oggetto giuridico degli stessi, dalla ripetitività delle condotte che,
in riferimento a ciascun imputato, avevano portato alla appropriazione del
denaro pubblico e, soprattutto, alla “divisione del lavoro illecito” tra i tre
componenti che avevano agito per così lungo tempo con azioni caratterizzate da
accurata ripartizione dei compiti e da funzionale destinazione delle stesse ad un
obiettivo comune, elementi tutti che sono concretamente idonei a dimostrare
l’esistenza del sodalizio criminoso sulla base anche di quanto sostenuto, in
speciale riferimento alla commissione e al numero dei reati fine, da Cass. Sez.
Unite del 28/3/2001 n. 10 Rv 218376; quanto alla sussistenza dell’ affectio
societatis, poi, non va dimenticato che si tratta di associazione composta solo da
tre persone e che il vincolo associativo era esteso a ricomprendere non un o più
delitti ma un vero e proprio programma criminoso.
5.3 I dati di fatto sino ad ora ricordati, poi, danno ragione della affermazione
della Corte napoletana circa il ruolo di promotori della associazione in questione
dei due ricorrenti, ruolo individuato correttamente nella circostanza che gli stessi
avevano realizzato materialmente il meccanismo di appropriazoone del denaro
pubblico più volte ricordato sfruttando non solo le loro specifiche competenze
amministrative ma anche la loro padronanza dei meccanismi burocratici interni,
fidando poi nella sostanziale impunità dovuta alla mancanza di veri controlli, così
che l’apporto di entrambi doveva essere considerato, ognuno per la sua specifica
competenza, come ideativamente e materialmente indispensabile per
l’ottenimento dei fini della associazione, con conseguente concretizzazione sia
per il RANIERI che per la DE SENA di quel ruolo di preminenza che costituisce
l’essenza della nozione di promotore di cui all’art. 416, comma 1 cod. pen.

2

Corte ha ricordato, come motivazione assolutamente dettagliata e persuasiva,

6. Rimangono infine da valutare il quinto e sesto motivo di ricorso della DE
SENA e quelli, comuni ad entrambi i ricorrenti, relativi alle attenuanti generiche e
alla quantificazione della pena.
6.1 Il ricorso della DE SENA lamenta che per i reati di falso di cui ai capi e ed
h e in riferimento ai mandati di pagamento 2003 del 19/7/2013 e 3223 del
6/12/2011, la Corte avesse pronunciato sentenza per un fatto diverso rispetto a
quello contestato, con violazione quindi dell’art. 521 cod. proc. pen., dal
momento che a fronte di una contestazione di alterazione dei mandati con

specifica indicazione nominativa dei relativi destinatari.
6.2 La censura è fondata in fatto dato che in effetti le circostanze indicate
dalla ricorrente corrispondono a verità ma certamente non sono fondate le
conseguenze che se ne vorrebbero trarre dal momento che, come è noto sulla
base di costante e univoca giurisprudenza della Corte di legittimità, il mutamento
del fatto rilevante in termini di nullità della sentenza ex art. 521 cod. proc. pen.
è solo quella trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della
fattispecie concreta da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa
(tra tutte, e da ultimo, Cass. Sez. Unite del 15/7/2010 n. 36551, Carelli, Rv
248051); nel caso all’esame della Corte, la fattispecie concreta è rimasta
sostanzialmente identica, tranne l’indicazione del destinatario, e in ogni caso la
difesa ha avuto piena e totale possibilità di intervento e tutela delle propria
ragioni.
6.3 In merito infine all’omesso riconoscimento di attenuanti generiche e alla
quantificazione della pena, va rilevato che la Corte ha adeguatamente valutato i
parametri di cui all’art. 133 del codice penale sia sotto l’ aspetto propriamente
oggettivo della gravità del reato richiamando l’oggettiva e allarmante gravità
degli addebiti realizzati con modalità seriali attraverso un lungo periodo di
tempo, con la creazione di una illecita struttura finalizzata alle sistematiche
appropriazioni e la gravità del danno causato all’ente pubblico che sotto quello
soggettivo, richiamando la particolare intensità dell’elemento psicologico; si
tratta di criteri non solo correttamente individuati per l’effettuazione del giudizio
di riconoscibilità delle attenuanti di cui all’art. 62 bis cod. pen. ma anche
adeguatamente applicati alle gravi fattispecie di reato per le quali è stata
pronunciata sentenza di condanna; identiche osservazioni vanno svolte per
quanto riguarda la quantificazione della pena, anch’essa correttamente
agganciata ai criteri oggettivi e soggettivi di cui all’art. 133 del codice penale ora
richiamati.

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successiva indicazione della dicitura “diversi” , i due mandati recavano invece la

6.4 In merito infine al motivo di ricorso del RANIERI relativo alla condanna al
risarcimento del danno a favore del Comune di NOLA, si tratta, come già
osservato dalla Corte di NAPOLI, di motivo del tutto generico e fondato su
elementi, quali l’affermato mancato arricchimento personale dell’imputato, del
tutto estranei al capo di sentenza in questione a fronte della prova certa di un
rilevante danno patito dal Comune di NOLA in dipendenza delle illecite condotte
dei due ricorrenti.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 8 aprile 2016.

P.Q.M.

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