Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20665 del 07/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20665 Anno 2016
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: GIANESINI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BOSCO VINCENZO nato il 20/12/1963 a CASTELLAMMARE DEL GOLFO
BUSSA SEBASTIANO nato il 27/11/1975 a CASTELLAMMARE DEL GOLFO
CAMPO VINCENZO nato il 22/10/1968 a ALCAMO
LEO ROSARIO TOMMASO nato il 09/06/1969 a VITA
SOTTILE MICHELE nato il 31/05/1962 a CASTELLAMMARE DEL GOLFO
PIDONE NICOLO’ nato il 10/06/1962

avverso la sentenza del 29/06/2015 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 07/04/2016, la relazione svolta dal Consigliere MAURIZIO GIANESINI
Udito il Procuratore Generale in persona del DELIA CARDIA
che ha concluso per
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Data Udienza: 07/04/2016

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Avo –

RITENUTO IN FATTO
1. I difensori di Vincenzo BOSCO, Sebastiano BUSSA, Vincenzo CAMPO,
Tommaso Rosario LEO, Nicolò PIDONE e Michele SOTTILE hanno proposto ricorso
per Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di PALERMO,
in parziale riforma della sentenza del GUP di Palermo resa a seguito di giudizio
abbreviato, ha rideterminato per SOTTILE, CAMPO, PIDONE e Vincenzo BOSCO

LEO e condannando tutti gli imputati alla rifusione delle spese processuale del
gradi di appello a favore della parti civili costituite.
1.1 II BUSSA, il CAMPO, il LEO, il PIDONE e il SOTTILE sono imputati del
reato di cui all’art. 416 bis comma 1 3 e 4 cod. pen. e 7 decr. leg.vo 159/11
contestato al capo A per aver fatto parte della associazione mafiosa denominata
“Cosa nostra” e in particolare della articolazione territoriale di detta associazione
della Provincia di Trapani costituita dal mandamento di Alcamo; il PIDONE è
imputato anche del reato di estorsione di cui al capo B per avere costretto i
fratelli Lombardo, gestori di un ristorante, ad assumere alle loro dipendenze tale
Elisa Monticciolo, il Vincenzo BOSCO del reato di tentata estorsione di cui al capo
C per avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere i
fratelli LOMBARDO a versare una somma di denaro, il BUSSA del reato di
estorsione di cui al capo H per avere costretto i legali rappresentanti della A.T.I.
Prom. Edil. Snc a versargli una somma di denaro non quantificata e il SOTTILE
del reato di cui al capo P per non aver osservato la prescrizioni imposte con la
misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.
1.2 Va preliminarmente ricordato, in estrema sintesi, che il fondamento
essenziale del riconoscimento di responsabilità degli imputati per il reato di cui
all’art. 416 bis cod. pen. è costituito dalla presenza di quasi tutti, ad eccezione
del BUSSA, ad una o ad entrambe le riunioni dell’agosto e dell’ottobre 2010 che,
secondo la Corte di Appello di PALERMO, avevano ad oggetto questioni sorte
all’interno della cosca mafiosa di Alcamo; la prima riunione era stata oggetto di
soli servizi di osservazione da parte della polizia giudiziaria mentre la seconda
era stata interamente ascoltata grazie ed intercettazioni ambientali; ai dati di
fatto ora ricordati, si aggiungono poi le dichiarazioni di Salvatore MERCADANTE,
il contenuto di altre intercettazioni e le indicazioni rese da alcune persone, specie
in riferimento ai reati specifici di estorsione e tentata estorsione.

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la pena inflitta in primo grado confermando la sentenza del GUP per BUSSA e

1. Vincenzo BOSCO, con atto depositato dal difensore il 28 ottobre 2015, ha
rinunciato personalmente alla impugnazione ma ha poi presentato tramite il
difensore ricorso per Cassazione il 9 novembre 2015 con il quale ha lamentato
violazione e falsa applicazione di legge sostanziale con riguardo alla circostanza
aggravante di cui all’art. 7 d.l. 52/91; la Corte territoriale, infatti, non aveva
verificato in concreto la sussistenza in capo al BOSCO della consapevole
partecipazione al disegno criminoso della cosca mafiosa capeggiata dal RUGGERIj

ristorante dei fratelli LOMBARDO ma non aveva poi contribuito al successivo
invio del SMS con il quale si intimava a questi ultimi di lirnettersi a posto r il
BOSCO, infine, non aveva partecipato ad alcuna riunione preparatoria e non
aveva alcun significato il fatto che avesse prestato la propria casa di campagna
al RUGGERI per un incontro di quest’ultimo con esponenti della cosca mafiosa.
2. I difensori di Sebastiano BUSSA hanno dedotto quattro motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo ex art. 606, comma 1 lett. b,c ed e cod. proc. pen.
in relazione agli artt. 416 bis cod. pen., 125, 191, e 546 comma 1 lett. e cod.
proc. pen. in riferimento al capo A della imputazione, i difensori hanno lamentato
che l’imputato fosse stato ritenuto partecipe della associazione mafiosa sulla
base degli stessi elementi probatori, e cioè alcune intercettazioni e le
dichiarazioni rese dalla persona offesa Giuseppe TAMBURELLO, che erano stati
ritenuti insufficienti per affermare la responsabilità del BUSSA per il reato fine
della associazione di cui al capo H in riferimento al quale gli atti erano stati
trasmessi al pubblico ministero in quanto il fatto era risultato diverso rispetto a
quello contestato; inoltre la sentenza aveva affermato la perdurante
partecipazione fino al 2010 dell’imputato alla associazione mafiosa “Cosa
nostra”, per la quale già il BUSSA aveva riportato una condanna definitiva per
fatti commessi fino al febbraio 1996, senza dimostrare alcun collegamento tra il
ricorrente e l’associazione mafiosa nell’arco di tempo intercorrente tra il 1996 e il
2010; in merito poi alla conversazione ambientale intercettata il 16 ottobre 2010
relativa alla riunione dello stesso giorno, il ricorrente ha lamentato che non
fossero stati indicati i necessari riscontri esterni a conferma della attendibilità del
contenuto dei dialoghi intercettati, tanto più che la conversazione intercettata
dimostrava che il BUSSA aveva agito autonomamente e senza assecondare né i
membri della consorteria criminale né quelli della propria famiglia e il contenuto
delle dichiarazioni della persona offesa Giuseppe TAMBURELLO e di altro
coimputato, il Mercadante, contrastavano insanabilmente con il contenuto di

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dato che l’ imputato si era limitato a posizionare i copertoni nei pressi del

detta intercettazione; infine la sentenza appariva manifestamente illogica in
quanto, da un lato, aveva valorizzato la conversazione del 16 ottobre 2010 nel
corso della quale il BUSSA avrebbe speso il nome del suocero Antonino BOSCO,
dall’altro ha poi valorizzato altre conversazioni che manifestavano contrasti tra i
due, dall’altro ancora ha trascurato di considerare che Antonino BOSCO era stato
assolto dal reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.
2.2 Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno lamentato vizio di motivazione
in riferimento al capo H, per il quale il Gup aveva ordinato la trasmissione degli

relazione al periodo di commissione, dato che la Corte territoriale aveva rifiutato
di svolgere un esame analitico della imputazione ma al contempo aveva ritenuto
provata, sulla base dell’esame delle dichiarazioni delle persone offese dello
stesso reato di cui al capo H, la tentata estorsione e quindi la partecipazione del
BUSSA alla associazione mafiosa.
2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato che la Corte di Palermo
avesse affermato la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416
bis, comma 4 cod. pen. dato che non era stato accertato che l’associazione nel
suo complesso, e non solo uno o più componenti della stessa, fosse armata.
2.4 Con il quarto motivo, infine, il ricorrente ha lamentato mancanza e
illogicità della motivazione sul punto del diniego di attenuanti generiche, negate
con formule di stile, e della determinazione della pena e della misura di
sicurezza.
1.4 I difensori di Vincenzo CAMPO hanno dedotto tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo, i ricorrenti hanno lamentato che la Corte territoriale
avesse affermato la partecipazione del CAMPO alla associazione mafiosa di cui al
capo A in assenza della prova della sussistenza degli elementi costitutivi del
reato dato che il CAMPO non era imputato di alcun reato fine, non era stato
indicato da nessuno come uomo d’onore, non era mai stato attinto nel passato
da indagini sulla criminalità organizzata e avesse frequentato RUGGERI e
BONURA solo a partire dalla primavera 2010 e per un periodo di tempo ristretto;
non potevano infatti essere valutati come sintomi dell’inserimento dell’imputato
nella associazione criminale oggetto del processo né l’incontro in Contrada Cuti
del 6 agosto 2010, in riferimento al contenuto del quale la stessa sentenza di
condanna aveva segnalato la mancata registrazione né le dichiarazioni rese dagli
imprenditori Ferrara e Isca, dato che la stessa sentenza aveva riconosciuto che
non vi erano elementi per ritenere che il CAMPO fosse coinvolto negli episodi

atti al pubblico ministero essendo il fatto diverso rispetto a quello contestato in

intimidatori perpetrati ai danni dei due imprenditori né le vicende relative
all’intervento del BONURA e del MELODIA che manifestavano tutt’al più un aiuto
al CAMPO che mirava a conseguire vantaggi esclusivamente personali.
Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno criticato la motivazione della
sentenza in merito alla applicazione della circostanza aggravante di cui all’art.
416 bis, comma 4 cod. pen. dato che non era sufficiente che uno degli associati
disponesse di un’arma ma era invece necessario che fosse armata l’intera

Con il terzo motivo, i ricorrenti hanno lamentato mancanza e illogicità della
motivazione sul punto del diniego di attenuanti generiche, negate con formule di
stile, e della determinazione della pena e della misura di sicurezza.
1.5 II difensore di Rosario Tommaso LEO ha dedotto un unico motivo di
ricorso per erronea applicazione della legge penale e vizi della motivazione.
Il ricorrente ha segnalato preliminarmente che l’ambito oggettivo della
imputazione di cui al capo A riguardava non genericamente l’associazione
mafiosa denominata “Cosa nostra” ma, più specificamente, la cellula territoriale
del mandamento di Alcamo e che la sentenza impugnata non aveva dato ragione
del fatto che l’imputato, che abitava in altra zona, avrebbe dovuto in realtà far
parte, come del resto riconosciuto dalla stessa polizia giudiziaria, del
mandamento di Salemi – Castelvetrano, con il cui capo, Matteo MESSINA
DENARO, non risultava indicato nella sentenza impugnata alcun rapporto, per cui
la presenza del LEO alla riunione del 16 ottobre 2010, che era riservata al
mandamento di Alcamo, aveva in realtà un valore di prova del tutto neutro.
Il LEO, poi, non aveva alcun rapporto, nemmeno di semplice conoscenza,
con i suoi coimputati BOSCO, BUSSA e SANFILIPPO e le relazioni con il BONURA,
il GIORDANO e il CAMPO erano limitare a rapporti di natura amicale e
commerciale, tanto più che la intensa attività investigativa precedente e
successiva agli incontri dell’agosto e dell’ottobre 2010 non avevano dato alcun
esito; tali incontri, poi, in specie quello dell’agosto 2010, non avevano certo il
significato loro attribuito dai Giudice di merito dato che si trattava di mere
occasioni conviviali alle quali avevano partecipato anche persone sicuramente
estranee all’ambiente mafioso di Alcamo; quanto poi alla riunione del 16 ottobre
2010, il ricorrente ha rilevato che, se effettivamente lo scopo dell’incontro era
quello di dirimere una controversia sorta tra RUGGERI e SOTTILE sulla gestione
di attività di interesse della famiglia mafiosa di Alcamo, non vi era ragione alcuna
che vi fosse la presenza del LEO che era del tutto estraneo, per quanto si è

organizzazione criminale.

detto, a tale famiglia mafiosa, che aveva poi portato con sé altre persone e che
non conosceva assolutamente, come è stato accertato, il SOTTILE, con il che
restava dimostrato che in quella occasione si era in realtà parlato di leciti
interessi economici nella commercializzazione del vino.
1.6 I difensori di Nicolò PIDONE due motivi di ricorso.
Con il primo motivo , i ricorrenti hanno lamentato il travisamento della prova
ex art. 606. Comma 1 lett. e; in merito al capo A, infatti, la motivazione della

sulle intercettazioni ambientali relative alla riunione del 16 ottobre 2010
trascurando di considerare che l’imputato era intervenuto raramente e solo per
dire pochissime cose di importanza assolutamente neutra, tanto più che il
carattere di riunione mafiosa di quella in argomento era da escludersi sulla base
di una frase pronunciata dal RUGGERI che avrebbe fatto riferimento a soggetti al
di sopra di lui in un altro territorio; quanto poi al capo B e cioè l’estorsione
consumata ai danni dei fratelli LOMBARDO, le indicazioni in atti dimostravano
che il PIDONE, cugino e compare delle persone offese, aveva caldeggiato
l’assunzione della ragazza come atto di mera cortesia e non certo con modalità
mafiose, tanto più che gli stessi LOMBARDO avevano categoricamente escluso la
presenza del RUGGERI nel loro locale quando l’imputato aveva raccomandato
l’assunzione della ragazza.
Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno segnalato che in ogni caso era stata
illegittimamente ritenuta la sussistenza della aggravante di cui all’art. 7 d.l.
152/91 dato che la estorsione, anche se avvenuta, era finalizzata solo a favorire
l’interesse personale di un unico affiliato e non certo della associazione mafiosa
in sé considerata.
1.7 Il difensore di Michele SOTTILE ha dedotto tre motivi di ricorso
Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato la illogicità e la
contraddittorietà della motivazione; il ruolo ricoperto dall’imputato nella
consorteria criminale in questione, ruolo che aveva costituito nel passato oggetto
di due sentenze di condanna, era già cessato all’epoca dei fatti accertati con la
sentenza oggetto di ricorso, come dimostrato dal fatto che egli si era limitato ad
ascoltare le lagnanze del DI GREGORIO senza adottare alcun comportamento
conseguente.
Con motivi subordinati, poi, il ricorrente ha svolto critiche in tema di
adeguata motivazione sulla entità della pena inflitta, sul mancato riconoscimento

sentenza di appello aveva rinvenuto la prova della responsabilità del PIDONE

della continuazione interna e con precedente sentenza di condanna e sul
mancato riconoscimento di attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di Vincenzo BOSCO è fondato e va accolto, con rideterminazione
della pena finale previo annullamento senza rinvio della sentenza; i ricorsi di
BUSSA, CAMPO e LEO sono infondati e vanno rigettati, con condanna di ciascuno
al pagamento delle spese processuali; i ricorsi di PIDONE e SOTTILE sono

ricorrenti vanno condannatii al pagamento delle spese processuali e della somma
di 1.500,00 euro ciascuno, somma congrua al caso in esame, a favore della
cassa delle ammende.
2. Il ricorso di Vincenzo BOSCO è fondato e la sentenza va annullata senza
rinvio sul punto della riconosciuta sussistenza della aggravante di cui all’art.7 d.l.
152/91 in merito alla tentata estorsione di cui al capo C perpetrata ai danni dei
fratelli LOMBARDO, gestori del ristorante “Egesta Mare”.
Come si è sopra anticipato, l’ambito oggettivo del ricorso del BOSCO non si
estende a ricomprendere il fatto estorsivo in sé e per sé considerato ma solo la
sussistenza della aggravante di cui si è detto, che viene contestata sia sotto il
profilo oggettivo che sotto quello soggettivo.
In effetti, le censure svolte nel ricorso alla motivazione della Corte di
Palermo in termini di insufficienza e di apoditticità e quindi più in generale di
mancanza di motivazione ex art. 606, comma 1 lett. e sono fondate; la Corte di
PALERMO, infatti, dopo aver ricordato per esteso il contenuto oggettivo e
soggettivo della aggravate in argomento e i principi giurisprudenziali pronunciati
sul tema dalla Corte di Cassazione, ha rinvenuto il carattere mafioso della
condotta del BOSCO nel fatto che il Rugeri, (persona indicata come di particolare
rilievo nell’ambiente criminale della zona), pochi giorni dopo l’azione di
collocamento del copertone e della bottiglia incendiaria da parte del BOSCO
descritta al capo C, aveva inviato ai fratelli LOMBARDO, destinatari della
minaccia, un sms di chiarissimo segno estorsivo, così manifestando la chiara
collocazione della tentata estorsione in questione all’interno della strategia
mafiosa della famiglia di Alcamo.
La Corte palermitana non ha dato però adeguato conto di quello che avrebbe
dovuto essere il presupposto logico-giuridico ineliminabile del suo ragionamento
e cioè della esistenza di un accordo preventivo o comunque anche “in itinere”
tra il BOSCO e il RUGERI, accordo che, in assenza di qualsiasi indicazione di

inammissibili in quanto proposti per motivi manifestamente infondati e i

prova positiva al riguardo, è stato apoditticamente dedotto dalla prossimità
temporale tra il posizionamento dei copertoni e della bottiglia incendiaria e il
successivo messaggio del RUGERI, prossimità che appare già di per sé piuttosto
debole, come elemento probatorio, in assenza, come si è detto, di prova positiva
circa l’esistenza di un qualche accordo operativo tra i due qualificabile come
concorso ex art. 110 cod. pen. nel quale il Rugeri avrebbe svolto il tipico ruolo
del concorrente morale; ancor più debole appare il ragionamento probatorio
svolto della Corte, e la relativa motivazione, una volta che si consideri poi

più in generale dell’inserimento del BOSCO nella compagine mafiosa oggetto
della imputazione dato che il ricorrente non è mai stato imputato, nel processo,
del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. e non ha partecipato alla nota riunione
del 20 ottobre, quella fondamentalmente indicativa della partecipazione degli
intervenuti alla associazione mafiosa, essendosi limitato a prestare la propria
abitazione per la precedente riunione dell’agosto, di scarso e non univoco rilievo
probatorio dato che non se ne conosce l’effettivo argomento in trattazione.
La sentenza va quindi annullata senza rinvio sul punto specifico della
sussistenza della aggravante di cui all’art. 7 del d.l. 152/91 con eliminazione
della relativa pena di un anno, tre mesi di reclusione e 173,00 euro di multa; la
pena base, quindi, quantificata in primo grado in tre anni e nove mesi di
reclusione e 819,00 euro di multa va direttamente ridotta di un terzo ex art. 442
cod. proc. pen. per la misura definitiva, quindi, di due anni e sei mesi di
reclusione e 546,00 euro di multa.
3. Il ricorso di Sebastiano BUSSA è infondato e va rigettato.
3.1 In merito al primo motivo di ricorso, va ricordato, in fatto, che il BUSSA
non è tra quelli che hanno partecipato alle due riunioni di agosto ed ottobre 2012
e che, secondo la prospettazione fatta propria dalla motivazione della sentenza
impugnata, la riunione dell’ottobre aveva ad oggetto, oltre al componimento
della controversia sorta tra Rugeri e Sottile, proprio le iniziative prese
autonomamente dal BUSSA nel campo delle estorsioni, al di fuori della
compagine mafiosa indicata nella imputazione.
Il ricorrente ha contestato l’impostazione data alla vicenda dalla Corte
palermitana con considerazioni in larga parte qualificabili come di mero fatto, già
ampiamente e convincentemente affrontate e risolte dalla motivazione della
sentenza impugnata; ad ogni buon conto, e considerato che, sia per il BUSSA
che per gli altri ricorrenti, questa non è comunque la sede per redigere una terza
sentenza di merito sulla vicenda, va ricordato che il giudizio di responsabilità a

l’assenza di ulteriori indici probatori anche indiretti dell’accordo sopra indicato e

carico dell’imputato ricorrente si fonda, per un verso, sulla accertata
constatazione, come tale non oggetto di discussione, dell’essere stato l’imputato
condannato con sentenza passata in giudicato quale partecipe della cosca di
Castellamare del Golfo fino al 1996, dall’altro sulla affermazione della
permanenza del vincolo associativo oltre la data suddetta e fino a quella indicata
nella imputazione dedotta dal contenuto della intercettazione della conversazione
ambientale tra terzi svoltasi nella nota riunione del 16 ottobre 2010.
La Corte di PALERMO ha dato dettagliato atto del contenuto della

altri ricorrenti, si fonda non solo sul contenuto meramente letterale degli
enunciati linguistici proferiti dai vari partecipi ma anche sulla valutazione di
contesto degli enunciati stessi, esaminati nel loro succedersi temporale e ne ha
tratto la conseguenza che l’affiliazione del BUSSA alla cosca in esame era
ampiamente dimostrata ) dato che al ricorrente si faceva carico di aver violato le
regole del gruppo di appartenenza con iniziative estemporanee e non autorizzate
sul piano delle estorsioni, facendosi tra l’altro forza dei legami con il suocero
Antonino BOSCO, indicato come personaggio particolarmente “blasonato” nel
contesto criminale di riferimento.
Le osservazioni critiche del ricorrente sul punto specifico del significato da
attribuire alla conversazione tra terzi sopra citata non possono essere condivise
posto che, rimanendo all’interno di una valutazione attribuita al Giudice di
legittimità e di un esame critico della motivazione del provvedimento impugnato,
il ricorrente stesso non è stato in grado di sostituire, al metodo ermeneutico
fatto proprio della Corte palermitana e sopra ricordato, un proprio e diverso
metodo di interpretazione dell’imponente materiale intercettato; ed anzi,
rispondendo già in allora alle stesse critiche oggi svolte nel ricorso, il Giudice di
merito si è fatto correttamente carico, a fronte del fatto che il BUSSA non era
presente alla riunione e non aveva quindi partecipato alle conversazione che lo
vedevano come terzo estraneo, di individuare dei dati esterni di riscontro che
convalidassero con indicazione individualizzante il ruolo attribuito al BUSSA.
La Corte di Appello di PALERMO ha quindi indicato una conversazione
ambientale, per il cui significato valgono le considerazioni svolte più sopra,
questa volta tra il BUSSA e il suocero detenuto, Antonino BOSCO, in cui il primo
comunica al secondo di aver avuto dei contrasti all’interno del gruppo mafioso di
Castellamare e di essere intenzionato comunque a proseguire per la sua strada,
conversazione che è stata correttamente individuata dalla Corte non solo come
confermativa del significato da attribuire alla riunione del 20 ottobre ma anche

3

conversazione e del significato attribuitole con una esegesi che, come per gli

come indicativa della perdurante appartenenza del BUSSA alla cosca mafiosa in
questione, dalla quale, quindi, l’imputato non si era affatto allontanato e
all’interno della quale, anzi, cercava evidentemente di ottenere una posizione
maggiormente eminente; ai dati di fatto ora ricordati, poi, i Giudici di merito
hanno aggiunto quelli derivanti dalle dichiarazioni rese da Salvatore
MERCADANTE sullo specifico ruolo del BUSSA, che “correva da solo” e prendeva
iniziative autonome al di fuori del gruppo.
L’inserimento attuale del BUSSA nella compagine mafiosa in argomento,

Corte palermitana sulla base degli elementi probatori sopra richiamati e della
loro congiunta valutazione; non può trovare quindi ingresso la critica difensiva
per cui il ruolo effettivo del BUSSA sarebbe stato individuato ed affermato sulla
base delle circostanze enunciate nel capo H, relativo ad una estorsione per la
quale gli atti sono stati restituiti al pubblico ministero ex art. 521, comma 2 cod.
proc. pen. per diversa configurazione del fatto, in esclusivo riferimento, peraltro,
alla sola data di commissione del reato; le dichiarazioni rese sul punto dai fratelli
TAMBURELLO e ricordate dalla motivazione ad ulteriore conferma di conclusioni
indicative della perdurante partecipazione del BUSSA alla compagine criminale
indicata nella imputazione già per altra via compiutamente ottenute, di avere
subito una estorsione da parte del BUSSA non patiscono in ogni caso alcuna
ipotesi di inutilizzabilità, tanto più che esse, poi, contrariamente a quanto
affermato dal ricorrente, non sono affatto state ritenute insufficienti per
affermare la responsabilità per il capo H.
3.2 In merito al secondo motivo di ricorso che riguarda l’ estorsione di cui al
più volte citato capo H, non è chiaro se il relativo capo di sentenza sia stato
oggetto di ricorso diretto e specifico; in ogni caso va ricordato in questa sede che
l’ordinanza ex art. 521, comma 2 cod. proc. pen. con la quale il Giudice
trasmette gli atti al pubblico ministero per diversità del fatto non è impugnabile
non essendo l’impugnabilità prevista da alcuna disposizione del codice di rito e
valendo quindi il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione di cui all’art.
568, comma 1 cod. proc. pen. (si veda sul punto, Cass. Sez. Unite del 6/12/1991
– dep. 1992 – n. 2477, Paglini e più recentemente, dello stesso tenore, Cass.
sez.1 del 17/3/2010 n. 18509, Rv 247200).
3.3 In relazione al terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente ha
criticato l’affermazione della Corte palermitana sul carattere armato della
associazione e quindi sulla sussistenza della relativa aggravante ex art. 416 bis,
comma 4 cod.pen. dato che solo uno degli associati era armato, si osserverà

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quindi, è stata correttamente affermata e altrettanto correttamente dedotte dalla

come il relativo motivo si caratterizzi per una ripetizione di argomenti già
sottoposti alla valutazione della Corte di Appello, senza alcun confronto reale e
senza alcuna valutazione critica delle affermazioni della motivazione della
sentenza, dove si dà atto, per un verso, che, essendo l’articolazione mafiosa di
ALCAMO parte locale della più vasta associazione mafiosa denominata “Cosa
nostra”, il carattere armato sicuramente attribuibile alla seconda si riflette
inevitabilmente anche sulla prima, così che è sufficiente anche il possesso di
un’arma da parte di un solo associato per concretizzare l’aggravante in parola,

nel corso di una conversazione con terza persona avevano rispettivamente fatto
riferimento, il primo, ad un kalashnikov e materialmente mostrato, il secondo,
un fucile, probabilmente a canne mozze, così manifestando la disponibilità di
armi da parte di più membri del sodalizio e quindi della compagine mafiosa nel
suo complesso.
3.4 In merito infine alla critiche mosse con quarto motivo di ricorso relative
alla negazione di attenuanti generiche, alla quantificazione della pena e alla
inflizione della misura di sicurezza, si osserverà che la Corte ha correttamente e
dettagliatamente richiamato i criteri di cui all’art. 133 del codice penale in tema
di gravità del reato e di capacità a delinquere sia per escludere la ricorrenza di
attenuanti ex art. 62 bis cod. pen. sia per quantificare la pena, tra l’altro fissata
nel minimo edittale per l’ipotesi di cui all’art. 416 bis, quarto comma cod. pen.;
in merito infine alla misura di sicurezza, si è dato correttamente atto che la
stessa consegue per legge alla condanna ex art. 417 cod. pen..
4. Il ricorso di Vincenzo CAMPO è infondato e va pertanto rigettato.

ci/19
,
4.1 In relazione al primo motivo, va premesso al ricorso si atteggia in gran
parte come mera riproposizione di questioni di fatto che hanno trovato, nel corpo
della motivazione della sentenza impugnata, ampia e persuasiva trattazione; in
ogni caso, e ribadito che questa è la sede per accertare unicamente la
completezza, congruità e logica coerenza della motivazione dei Giudici di merito,
si ricorderà che il ragionamento probatorio che ha portato la Corte palermitana
ad affermare la responsabilità del CAMPO per il reato di cui al capo A, in
particolare per quanto riguarda condotte finalizzate ad acquisire il controllo di
attività economiche nel campo della distribuzione del calcestruzzo, muova da
alcuni presupposti di fatto quali l’invito del RUGERI, indicato come persona
eminente all’intero della compagine mafiosa in trattazione, a partecipare alla
riunione “preliminare” del 6 agosto in contrada Cuti di cui la sentenza ha
esaurientemente evidenziato la natura di incontro destinato alla trattazione di

4,1

dall’altro che sia il LEO nel corso della riunione dell’ottobre 2010 che il RUGERI

affari illeciti, e quali i successivi rapporti tra lo stesso CAMPO e il BONURA, altra
persona con un ruolo di primo piano all’interno del sodalizio mafioso in
trattazione, rapporti testimoniati da conversazioni intercettate il cui significato di
assunzione di contatti nel mercato della commercializzazione del calcestruzzo e
di soddisfatto commento per il riuscito avvicinamento di alcuni imprenditori è
stato dedotto dalla Corte sulla base non solo delle espressioni linguistiche
effettivamente e concretamente pronunciate dagli interlocutori e
atomisticamente valutate ma anche, come del resto in tutta la motivazione della

procedura di contestualizzazione delle conversazioni, raffrontate le une con le
altre in una scala temporale progrediente.
Ai dati di fatto sopra accennati, poi, la Corte ha aggiunto, sempre nella
prospettiva della dimostrazione del concordato inserimento del CAMPO nel
mercato del calcestruzzo a beneficio dell’intera compagine mafiosa, elementi
circostanziali costituiti da dichiarazioni testimoniali di due imprenditori, tali
Ferrara e Isca, che avevano subito l’incendio delle proprie autovetture in
sostanziale coincidenza temporale con le visite del CAMPO che aveva avanzato
delle proposte di fornitura di calcestruzzo che erano state rifiutate, dalla
accertata presenza del figlio di Ignazio MELODIA, indicato come personaggio
mafioso di primo rilievo, ad una grigliata con gli imprenditori che operavano nel
settore edilizio e dalla cessazione del rapporto di lavoro subordinato del CAMPO
con la ditta Craparotta e la sua assunzione, in coincidenza temporale con le
circostanze sopra richiamate, nella ditta SELMI Srl con l’incarico di procacciatore
di affari, assunzione che la Corte di PALERMO ha motivatamente e
persuasivamente ricondotto alla volontà della cosca mafiosa trapanese nella
persona del BONURA che così manteneva la rete di clientela del CAMPO e
dunque, il controllo del mercato del calcestruzzo, come del resto dimostrato dalla
vicenda della ditta PAMPALONE alla quale il CAMPO, ormai assunto alla SELMI
Srl, aveva tentato di imporre la sua intermediazione per l’acquisto di
calcestruzzo.
E’ quindi del tutto congrua e logica la affermazione della Corte che, sulla
base delle premesse costituite dal complessivo materiale probatorio sopra
succintamente ricordato, ha dedotto che il CAMPO si era inserito, grazie
all’autorevole appoggio del BONURA, nella rete di distribuzione del calcestruzzo
nel comprensorio di ALCAMO, inserimento cui si era accompagnata anche una
collaterale attività nel settore delle estorsioni e della intermediazione in luogo del
Rugeri nella composizione di dissidi tra privati, come correttamente motivato

sentenza e in riferimento anche agli altri imputati, con l’adozione di una

sulla base di conversazioni intercettate ed analizzate con gli stessi criteri di cui si
è detto più sopra.
A fronte dell’insieme dei dati di fatto sopra ricordati e al congruo e
contestuale significato loro attribuito dalla Corte palermitana, poco importa che il
CAMPO non sia imputato di alcun reato fine della associazione, che lo stesso non
sia mai stato indicato da alcuno come uomo d’onore e che non sia mai stato
attinto in passato da indagini in tema di criminalità organizzata, una volta che sia
provato, come sicuramente lo è nel caso in esame, che egli ha tenuto condotte

cosca mafiosa di Alcamo nel settore della commercializzazione del calcestruzzo
che vanno sicuramente qualificate come atto di partecipazione rilevante ai sensi
dell’art. 416 bis, comma 1 cod. pen.
4.2 In merito al secondo motivo di ricorso, relativo alla affermata
sussistenza della aggravante di cui all’art. 416, comma 4 cod. pen, si rinvia a
quanto dettagliatamente considerato al precedente numero 3.8 in merito ad
analoga critica svolta dal ricorrente Sebastiano BUSSA.
4.3 Anche il terzo motivo, infine, è infondato; la ragione sostanziale, anche
se non direttamente esplicitata, del facoltativo aumento di pena sulla circostanza
più grave ex art. 63, quarto comma cod. pen., si ricava agevolmente da tutto il
complesso della motivazione della sentenza appellata e dallo stigma di
particolare gravità del reato ex art. 416 bis cod. pen. riconosciuto dalla Corte di
Palermo e analoghe considerazioni, sotto la specie della valutazione degli
elementi di cui all’art. 133, prima comma, valgono per quanto riguarda la
negazione di attenuanti generiche e, più in generale, la quantificazione della
pena.
5. Il ricorso di Rosario Tommaso LEO è infondato e va pertanto rigettato.
5.1 In merito all’unico motivo di ricorso, va preliminarmente affrontata la
questione, sollevata anche nel corso della odierna discussione orale, di una
possibile nullità della sentenza ex art. 521 cod. pen. o comunque di una mancata
o insufficiente motivazione della Corte in ordine alla sostanziale contraddittorietà
o incongruenza tra l’imputazione enunciata al capo A e il fatto ritenuto invece
dalla Corte nella sentenza impugnata; più propriamente, il ricorrente ha
segnalato, come già aveva fatto con i motivi di appello, che nella imputazione la
condotta del LEO è indicata come quella di persona che si era posta
“reiteratamente ed in modo duraturo, continuativo e stabile a disposizione del
mandamento mafioso di ALCAMO”, (del quale facevano parte, come è stato

materiali finalizzate alla riaffermazione e al consolidamento della influenza della

accertato, le famiglie della stessa città, di Castellamare del Golfo e di Calatafimi)
mentre era risultato senza ombra di dubbio che il LEO, a tutto voler concedere,
apparteneva alla famiglia mafiosa di Salemi – Castelvetrano – Segesta, estranea
quindi come tale alla compagine criminale che costituisce l’oggetto specifico della
imputazione ex art. 416 bis cod. pen.
In realtà, la Corte di Palermo si è fatta carico della questione e ha osservato,
con motivazione congrua e persuasiva anche se non completamente esplicitata,
che l’accertato ruolo autorevole ed attivo del LEO nel corso della nota riunione

sé dimostrativo di una collocazione dello stesso all’interno della più ampia
struttura criminale denominata “Cosa nostra”, regolarmente e debitamente
indicata nella relativa imputazione e della quale il mandamento di Alcamo
costituiva una sorta di articolazione locale, e di un correlativo interesse di
famiglie geograficamente vicine alla risoluzione, per il bene di tutta la
complessiva organizzazione criminale, delle tematiche che si andavano
dibattendo nel corso della riunione stessa.
Ciò detto, va rilevato che le considerazioni svolte nel ricorso costituiscono la
riproposizione di questioni di merito già ampiamente trattate e
convincentemente risolte dalla Corte palermitana; in merito alla natura della più
volte citata riunione del 20 ottobre, la Corte si è infatti spesa in decine di pagine
di motivazione per affermarne, come si è più volte indicato, la natura di riunione
riservata e ristretta destinata a trattare questioni relative a rapporti tra
componenti della cosca, e ha fondato la sua motivazione sulla analisi di un
imponente materiale intercettatorio il cui significato complessivo non risulta in
alcun modo confutato dal ricorrente se non con la riproposizione apodittica della
tesi che si trattava in realtà di una riunione amicale destinata alla
pubblicizzazione di leciti interessi economici nella commercializzazione del vino.
Il ricorrente, in buona sostanza, ha proposto nel ricorso, come si detto, una
ricostruzione alternativa di tutta la vicenda il cui riconoscimento, come è noto,
esule dai poteri della Corte di legittimità quando la stessa vada al di là di una
denuncia di vizi della motivazione direttamente riferibili al travisamento della
prova, con esso inteso quel vizio che si traduce nella utilizzazione di una prova
inesistente o con significato incontrovertibilmente diverso da quello sostenuto
(tra le tante, e da ultimo, Cass. sez. 5 del 12/12/2012 – dep. 2013 – n. 9338, Rv
255987); in definitiva, quindi, poco importa, nella prospettiva argomentativa
adottata dalla Corte palermitana e a fronte della interpretazione complessiva
della conversazione ambientale del 20 ottobre fatta propria dai Giudici di merito

4

del 20 ottobre e di cui si parlerà con maggior dettaglio più sotto, era già di per

e non confutata convincentemente, come si è detto, dal ricorrente, che il LEO
non conoscesse questo o quel partecipe alla riunione del 20 ottobre o che avesse
portato con sé persone non identificate / dato che quel che rileva è che l’imputato
abbia partecipato, come componente di una famiglia mafiosa geograficamente
contigua ma nondimeno inserita nella più vasta associazione mafiosa “Cosa
nostra” pur indicata nella imputazione, ad una riunione in cui, come si è più volte
segnalato, si dibattevano questioni di rilievo per il governo della cosca di Alcamo
quali contrasti personali tra i vertici della stessa e iniziative sempre personali di

provenisse da una realtà mafiosa estranea ma contigua segnala con evidenza
l’importanza che alla riunione era stata data dalla organizzazione mafiosa in
generale e il ruolo preminente dello stesso LEO nella cosca di provenienza; in
ogni caso, e per concludere sul punto, va qui affermato che costituisce senza
dubbio atto di partecipazione ad associazione mafiosa ex art. 416 bis cod. pen.
quello di chi partecipa ad una riunione riservata in cui si dibattono e si discutono
questioni di primaria importanza per la vita e l’attività criminale della cosca quali
quelle più volte ricordate.
6. Il ricorso di Nicolo’ PIDONE è inammissibile perché proposto per motivi
manifestamente infondati.
6.1 In merito al primo motivo di ricorso di Nicolò PIDONE, va osservato che
si tratta, ancora una volta, di considerazioni strettamente relative al merito della
vicenda presentate come travisamento della prova, che, avanzate
sostanzialmente negli stessi termini anche con i motivi di appello, hanno trovato
dettagliata e convincente confutazione nella motivazione della sentenza oggetto
di ricorso;
In ogni caso si osserverà che, in riferimento al capo A della imputazione,
quello relativo alla associazione mafiosa ex art. 416 bis cod. pen., la Corte di
PALERMO e il Giudice di primo grado hanno speso pagine e pagine di
motivazione per sostenere il carattere prettamente mafioso e conseguentemente
strettamente riservato della nota riunione del 16 ottobre 2010, riunione tra
l’altro in cui il PIDONE, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, è
intervenuto attivamente ad autorevolmente per cercare di appianare la
controversia in atto tra il SOTTILE e il RUGERI che costituiva uno dei motivi, se
non il principale, per il quale era stata indetta la riunione stessa, come emerge
dal contenuto di conversazioni intercettate il cui significato non è stato confutato,
se non del tutto apoditticamente, dal ricorrente stesso; del resto, e per
concludere sul punto, è del tutto persuasiva e del tutto condivisibile la

alcuni componenti nel campo delle estorsioni; ed anzi il fatto che il LEO

conclusione cui è pervenuta la sentenza della Corte palermitana quando deduce
l’appartenenza del PIDONE alla struttura mafiosa indicata nella imputazione sulla
base, da un lato, dell’accertata presenza dello stesso ad una riunione
assolutamente riservata in cui si trattavano e si decidevano questioni di decisivo
rilievo nella “amministrazione” del gruppo mafioso e, dall’altro, del già segnalato
ruolo attivo svolto per un tentativo di risoluzione favorevole della controversia
tra due esponenti di spicco del consorzio criminale.
Anche in merito alla estorsione di cui al capo B ai danni dei fratelli Salvatore

primo e secondo grado, di un intervento meramente amicale del PIDONE, che
avrebbe in realtà caldeggiato l’assunzione della Monticciolo come atto di mera
cortesia, senza alcun coinvolgimento della struttura mafiosa alla quale lo stesso
ricorrente partecipava.
Come si è detto, si tratta ancora una volta della riproposizione di questione
già ampiamente trattata con osservazioni e deduzioni che sono scevre da tacce
di insufficienza, illogicità manifesta o contraddittorietà; la Corte territoriale,
infatti, ha ricordato il contenuto delle dichiarazioni delle persone offese, che
avevano riferito di una richiesta del PIDONE fatta qualche tempo prima per
sapere se tutto era “a posto” dato che di lì a poco tutti i commercianti di
Castellamare avrebbero pagato il pizzo e di una successiva allusione, fatta al
momento della richiesta di assunzione della ragazza, in cui il PIDONE aveva
detto che si trattava della fidanzata del Rugeri, persona di cui in futuro i due
LOMBARDO avrebbero potuto avere bisogno; il carattere sostanzialmente
minaccioso della richiesta, connesso dal Corte non solo alla successione
temporale delle due conversazioni e al loro contenuto ma anche alla notoria
caratura criminale del Rugeri, ha poi trovato una conferma in una conversazione
ambientale in cui Salvatore BUSCEMI sollecitava i LOMBARDO a trovare una
soluzione per evitare rischi più gravi; in definitiva, quindi, la Corte ha dato
adeguata giustificazione sia del carattere minaccioso della richiesta del PIDONE
ai LOMBARDO sia della riferibilità della richiesta (e quindi della successiva
estorsione) alla struttura mafiosa cui apparteneva in posizione eminente, lo
stesso RUGERI.
6.2 In merito infine al secondo motivo di ricorso, va rilevato che le
considerazioni che si sono svolte più sopra rendono poi evidente e persuasiva
ragione della affermazione della Corte che ha negato che la condotta del PIDONE
fosse finalizzata ad un mero personale interesse e che ha invece individuato la
sussistenza della aggravante di cui all’art. 7 d.I.152/91 sia nell’essersi il

e Michele LOMBARDO, poi, il ricorrente ha riproposto la tesi, già confutata in

ricorrente avvalso di modalità tipicamente mafiose nelle sue richieste ai
LOMBARDO sia, soprattutto, nell’evidente fine agevolativo della condotta del
ricorrente a beneficio della attività della cosca mafiosa nella prospettiva, che non
necessitava certo di effettiva realizzazione, di consolidamento del potere di
controllo sul territorio della stessa cosca..
7. Il ricorso di Michele SOTTILE è inammissibile in quanto proposto per
motivi palesemente infondati.

come per gli altri ricorrenti, che la motivazione della sentenza impugnata,
apoditticamente tacciata di illogicità ed incoerenza, ha dato in realtà ampia e
persuasiva risposta alle tematiche sollevate con il ricorso, tematiche tutte che si
caratterizzano per la (ri)proposizione di valutazioni di merito che già hanno
trovato ampia trattazione e persuasiva decisione nella provvedimento della Corte
di Appello di PALERMO.
Sul punto specifico sollevato dal ricorrente, quello della persistenza ed
attualità del ruolo del SOTTILE all’epoca dei fatti contestati, si osserverà
comunque che la motivazione della sentenza, dopo aver dato atto che il
ricorrente è già stato condannato con sentenza passata in giudicato per il reato
di cui all’art. 416 bis cod. pen. commesso fino a dicembre 1998, ha fondato il
giudizio di permanente appartenenza al sodalizio mafioso indicato nella
imputazione nella partecipazione del SOTTILE alla più volte citata riunione del 16
ottobre nel corso della quale, come si è detto più sopra, sono state trattate e
discusse, tra l’altro, questioni relative proprio al dissidio sorto tra il ricorrente e il
RUGERI nel governo della cosca mafiosa; a conferma e a riscontro della
permanenza nel ruolo di partecipe del SOTTILE, poi, la Corte ha ricordato
l’intromissione del ricorrente nell’adempimento del credito di Giuseppe DI
GREGORIO, che si era rivolto al SOTTILE quale esponente della cosca mafiosa di
Castellamare del Golfo, e i suoi rapporti con Giuseppe ARENA, al quale il
SOTTILE si era presentato subito dopo l’invio allo stesso ARENA di una busta con
un proiettile per chiedere generiche informazioni, elementi tutti che costituiscono
un quadro probatorio convincente e reciprocamente riscontrato che non è stato
certo confutato, in termini di effettiva e dimostrata mancanza o illogicità della
motivazione, dal ricorso del SOTTILE.
7.2 In merito al secondo motivo di ricorso, va rilevato che la Corte
palermitana ha adeguatamente dato ragione della negazione delle attenuanti
generiche ex art. 62/bis cod. pen. richiamando del tutto legittimamente gli indici
di particolare gravità del reato, ai sensi dell’art. 133, comma 1 cod. pen., quali la

7.1 In merito al primo motivo di ricorso di Michele SOTTILE, va rilevato,

continua partecipazione per lungo tempo, alla associazione mafiosa con
assunzione di un ruolo di responsabile della famiglia di Castellamare del Golfo e
di capacità a delinquere del colpevole ai sensi dell’art. 133, comma 2 cod. pen.,
quali l’ aver continuato la sua attiva partecipazione al sodalizio dopo essere già
stato condannato e aver espiato la pena, il tutto mentre era sottoposto alla
misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
Le considerazioni di cui sopra sono state adeguatamente tenute presenti
nella nuova quantificazione della pena operata dalla sentenza impugnata mentre

stata accolta in primo grado e confermata anche dalla Corte mentre non si
comprende l’interesse del ricorrente a lamentare il mancato, ipotetico
riconoscimento di una continuazione interna.
8. In sede di conclusioni, il Procuratore generale ha sollevato una questione
di possibile illegittimità della pena inflitta al PIDONE per violazione delle
disposizioni di cui all’art. 63 comma 4 cod. pen. in merito al regime di
applicazione di più circostanze ad effetto speciale ma si tratta di doglianza non
dedotta con motivo di ricorso e in ogni caso del tutto generica.
9. Il BUSSA, il CAMPO, il LEO, il PIDONE e il SOTTILE vanno infine
condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle
parti civili liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Vincenzo BOSCO
limitatamente alla contestata aggravante di cui all’art. 7 d.l. 152/91 (Capo C),
eliminando la relativa pena di un anno, tre mesi di reclusione e euro 173,00 di
multa e rideterminando la pena finale allo stesso inflitta in due anni, sei mesi di
reclusione ed euro 546,00 di multa.
Rigetta i ricorsi di Sebastiano BUSSA, Vincenzo CAMPO e Rosario Tommaso
LEO, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Nicolò PIDONE e Michele SOTTILE che
condanna al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, a quello della
somma di millecinquecento euro in favore della cassa delle ammende.
Condanna inoltre Sebastiano BUSSA, Vincenzo CAMPO, Rosario Tommaso
LEO, Nicolò PIDONE e Michele SOTTILE alla rifusione delle spese di
rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalle costituite parti civili
così liquidate:

IL

la richiesta di continuazione, come osservato dalla Corte palermitana, era già

1) in favore della F.A.I. (Federazione Associazioni Antiracket e Antiusura)
euro 3.500,00 per compensi oltre spese generali al 15%, IVA e CPA da distrarsi
in favore dell’avv. Francesco Pizzuto, dichiaratosi antistatario;
2) in favore della Associazione Antimafia e Antiracket-Paolo Borsellino onlus
(già Associazione Antiracket Marsala) euro 3.500,00 per compensi oltre spese
generali al 15%, IVA e CPA;
3) in favore della Associazione Antiracket “Io non pago il pizzo…e tu?” euro

4) in favore della Associazione Antiracket e Antiusura Castellammare del
Golfo euro 3.500,00 per compensi oltre spese generali al 15%, IVA e CPA;
5) in favore del Comune di Alcamo euro 3.500,00 per compensi oltre spese
generali al 15%, IVA e CPA;
6) in favore del Centro Studi Pio La Torre onlus euro 3.500,00 per compensi
oltre spese generali al 15%, IVA e CPA da distrarsi in favore del difensore avv.
Ettore Barcellona, dichiaratosi antistatario;
7)

in favore della Associazione Antiracket e Antiusura Alcamese euro

2.334,00 per compensi oltre spese generali al 15%, IVA e CPA, disponendo il
pagamento in favore dello Stato;
8) in favore della Confindustria Trapani euro 3.500,00 per compensi oltre
spese generali al 15%, IVA e CPA;
9) in favore del Comune di Castellammare del Golfo euro 3.500,00 per
compensi oltre spese generali al 15%, IVA e CPA da distrarsi in favore del
difensore avv. Davide Bambina, dichiaratosi antistatario.
10) in favore del Comitato Addio Pizzo euro 3.500,00 per compensi oltre
spese generali al 15%, IVA e CPA, da distrarsi in favore del difensore avv.
Francesco Pizzuto, dichiaratosi antistatario.
Così deciso il 7 aprile 2016.

3.500,00 per compensi oltre spese generali al 15%, IVA e CPA;

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