Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20656 del 21/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20656 Anno 2015
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CALABRO’ FRANCESCO N. IL 24/08/1951 parte offesa nel
procedimento
c/
COPPOLINO PATRIZIA TINDARA N. IL 03/03/1965
VACCARINO LUIGI N. IL 26/02/1951
BARTOLONE SALVATORA N. IL 30/07/1957
avverso l’ordinanza n. 606/2014 TRIBUNALE di BARCELLONA
POZZO DI GOTTO, del 11/07/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SA VANI;

Data Udienza: 21/04/2015

IN FATTO E DIRITTO
CALABRÒ Francesco, persona offesa nel procedimento a carico di COPPOLINO Patrizia Tindara ed altri in corso davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, ricorre per Cassazione
contro il provvedimento con cui il Tribunale ha rigettato la sua costituzione di parte civile.
Propone diffuse censure sulla propria posizione di persona offesa dai reati e di conseguenza abilitata ad esercitare l’azione civile nel processo penale.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile per più ragioni.
In primo luogo si tratta di ricorso proposto avverso provvedimento non impugnabile, come ritenuto dalla costante giurisprudenza al proposito, che non ammette impugnazione del provvedimento reiettivo della costituzione di parte civile (cfr. per tutte Rv. 239188).
Inoltre il ricorso è stato proposto dalla persona offesa personalmente, a nulla rilevando che la
parte sia nel contempo avvocato abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori.
E’ difatti pacifico il principio che la disposizione di cui alla prima parte dell’art. 613, comma 1,
C.P.P., secondo la quale, in deroga alla regola generale della necessaria sottoscrizione di un di’fensore iscritto nell’albo speciale, è consentito alla parte di sottoscrivere personalmente il ricorso
per cassazione, è applicabile esclusivamente nei confronti dell’imputato, e ciò non tanto perché
alla persona offesa non compete tale qualificazione soggettiva (Sez. U, Sentenza n. 24 del
16/12/1998, Messina), quanto piuttosto sul motivo che detta disposizione «non è attributiva alle
altre parti processuali del potere di ricorrere personalmente per Cassazione, ma è invece meramente ricognitiva della facoltà di proposizione personale della impugnazione, che la norma
dell’art. 571, comma 1, riconosce al solo imputato, in deroga alla regola generale della necessità
della rappresentanza tecnica (Sez. Un., 21 giugno 2000 n. 19, Adragna, m. 216336; Sez. Un., 27
giugno 2001 n. 34535, Petrantoni, m. 219613; Sez. V, 26 maggio 2004 n. 37418, p.c. Penna in
proc. Mafai e altro). La persona offesa dal reato non può quindi sottoscrivere personalmente il
ricorso non perché non sia parte processuale, nemmeno nel limitato ambito del procedimento di
archiviazione, bensì perché tale diritto non spetta nemmeno alle altre parti processuali, essendo
attribuito dall’art. 571 (e non dall’art. 613) esclusivamente all’imputato» (S.U. sentenza n..
47473 del 27/09/2007, dep. 20/12/2007, Lo Mauro).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di €. 1.000,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 21 aprile 2015.

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