Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20650 del 21/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20650 Anno 2015
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CICUTTA GRAZIANO N. IL 10/04/1967
avverso la sentenza n. 167/2013 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
04/03/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 21/04/2015

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Trieste ha confermato la sentenza emessa in data 20 luglio 2012 dal Tribunale di Tolmezzo, appellata da CICUTTA Graziano, dichiarato responsabile del delitto di furto, commesso il 6 giugno 2008.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizio di motivazione sulla responsabilità.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato poiché la
Corte di merito ha chiaramente evidenziato come la testimonianza della persona offesa Mentii
avesse chiarito che la borsa era stata lasciata dalla stessa nel suo ufficio appena 5 minuti prima
del fatto; che mentre stava per entrare nell’ufficio aveva incontrato CICUTTA che usciva da quel
locale e alle sue domande trovava scuse per giustificare la sua presenza in quel luogo; che
l’ultima fase del’incontro fra la Mentii e il CICUTTA era stata seguita dal teste Di Santolo che
aveva sentito la donna dire al prevenuto di attenderla lì; che rientrata nell’ufficio non aveva troyato la custodia del libretto di assegni nella quale aveva nascosto il denaro.
Si tratta di ricostruzione del fatto che dà conto della ritenuta responsabilità del prevenuto, che
mentre la Mentii controllava la borsa si era dileguato.
Il ricorso si fissa sulla impossibilità che CICUTTA avesse consapevolezza della presenza della
somma di denaro relative alle rette, ma non si confronta con il fatto, chiaramente emergente dalla
sentenza, che il prevenuto si era impossessato di una custodia per assegni, nella quale per puro
caso la Mentii aveva riposto quel denaro. Di conseguenza del tutto differente da quella proposta
dal ricorrente è la prospettiva dalla quale l’azione è stata valutata dal giudice del merito, che, peraltro, ha anche motivato sull’impossibilità che altri fossero al corrente della disponibilità del denaro da parte della Mentii in quella specifica situazione.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di €. 1.000,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 21 aprile 2015.

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