Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20629 del 16/02/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20629 Anno 2016
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CAIATO GIOVANNI N. IL 02/11/1984
avverso la sentenza n. 3053/2012 CORTE APPELLO di BARI, del
05/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 16/02/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato, alla configurabilità del dolo ed alla
qualificazione giuridica del fatto accertato (al più integrante gli estremi dell’art. 712 c.p.).
Il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di specificità in tutte le sue
articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non
accolte: Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio é 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez.
VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), del tutto assertivo e,
comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello é con
argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e,
pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha complessivamente motivato le contestate
statuizioni valorizzando l’accertata, e mai convincentemente giustificata, disponibilità del telefonino
di provenienza furtiva in oggetto (all’evidenza acquisita fuori dai canali ordinari e legittimi di
circolazione).
In tal modo, la Corte di appello si è correttamente conformata – quanto alla qualificazione giuridica
del fatto accertato – al consolidato orientamento di questa Corte (per tutte, Sez. IL n. 29198 del
25/05/ 2010, Fontanella, rv. 248265), per il quale, ai fini della configurabilità del reato di
ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o
non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice
della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede; d’altro canto
(Sez. II, n. 45256 del 22/11/2007, Lapertosa, Rv. 238515), ricorre il dolo di ricettazione nella
forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o
ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel
verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di
cose di sospetta provenienza. Né si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso
delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose
medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che
potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice,
e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del
libero convincimento (in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del 12/07/2007, CED Cass. n.
236914). E, nel caso di specie, l’acquisto di un telefono cellulare fuori dai canali ufficiali di
commercializzazione, per giunta da soggetto asseritamente ignoto, è certamente sintomatico del
dolo (quanto meno eventuale: Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, 30/03/2010, Rv. 246324) di
ricettazione.
Con tali argomentazioni il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente, limitandosi a
reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa életturaé
delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza
documentare nei modi di rito eventuali travisamenti.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento
della somma, che ritiene equa, di euro mille a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro mille alla cassa delle ammende.

16/02/2016

Il/La CORTE APPELLO di BARI, con sentenza in data 05/06/2014, confermava la condanna alla pena
ritenuta di giustizia pronunciata dal TRIB.SEZ.DIST. di RUVO DI PUGLIA, in data 29/03/2012, nei
confronti di CAIATO GIOVANNI in relazione al reato di cui all’ art. 648 CP

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