Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20628 del 23/04/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20628 Anno 2015
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. Aversa Ilario, nato a Reggio Calabria il 07/11/1960
2.

Caroleo Antonino, nato a Locri il 12/02/1970

3.

Cordì Antonio, nato a Locri il 06/01/1987

avverso la sentenza del 11/06/2014 della Corte d’appello di Reggio Calabria
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal componente Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
uditi gli avv. Domenico Barresi in sostituzione dell’avv. Francesco Agostino per la
parte civile Comune di Locri, nonché in proprio quale difensore della Provincia di
Reggio Calabria e l’avv. Wally Ferrante, per il Ministero dell’interno, i quali tutti i
sono riportati alle conclusioni scritte;
uditi l’avv. Antonio Alvaro nell’interesse di Avqrsa; gli avv. Giovanni Taddei ed
ODRAA
‘Z■
Eugenio Minniti nell’interesse di
2-011 =rill”r””Tan'” nonché l’avv. Taddei anche per
rerdiintantai, che si sono tutti riportati ai rispettivi ricorsi;

Cottole° Atabuieto
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza del 11/06/2014, in
parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Locri del 20/07/2012, ha
confermato l’affermazione di responsabilità di Aversa Ilario, Caroleo Antonino e
Cordì Antonio, in relazione al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen, esclusa
l’aggravante della trasnazionalità del gruppo, e quella di cui al comma 6 della

Data Udienza: 23/04/2015

disposizione incriminatrice, e ridotto le pene inflitte ad anni sei e mesi due di
reclusione per Aversa e Cordì ed ad anni sei per Caroleo.
2.1. La difesa di Aversa Ilario deduce nel suo ricorso mancanza ed illogicità
della motivazione nella pronuncia d’appello oggetto di impugnazione con
riferimento all’esistenza della cd cosca Aversa di Merici, alla quale avrebbe
dovuto partecipare l’interessato, secondo la tesi d’accusa.
Si contesta preliminarmente l’esistenza di una struttura verticistica della

e di veto, poiché della circostanza manca qualsiasi conferma in atti o nelle
pronunce poste a base della decisione ed acquisite ex art. 234 cod. proc. pen.
Emerge da tali acquisizioni, al contrario, l’autonomia delle singole locali o `ndrine,
sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori in atti. Conseguentemente oggetto
del giudizio doveva essere la dimostrazione della partecipazione dell’interessato
alla cosca richiamata nel capo di imputazione, previo accertamento della sua
esistenza, elementi di fatto su cui la sentenza aveva argomentato con richiamo a
circostanze irrilevanti e non dimostrate.
Quanto al primo profilo in sentenza è stata richiamata la vicenda riguardante
l’omicidio del padre e del fratello del ricorrente, avvenuto in epoca risalente, di
cui non era mai stata provata la matrice mafiosa, mentre i processi subiti dal
fratello, attinenti a fatti di mafia, oltre a risalire agli anni ’80, avevano condotto
all’applicazione delle misure patrimoniali richiamate in sentenza,
successivamente revocate. E’ stata inoltre ritenuta dimostrativa della fondatezza
dell’ipotesi di accusa la vicinanza della famiglia della moglie dell’interessato Armocida- alla cosca dei Cataldo, circostanza anch’essa non dimostrata, non
idonea conseguentemente ad apportare alcun argomento di sostegno a quanto si
doveva dimostrare, costituito dall’esistenza della cosca Aversa. Peraltro la
genericità di tale accusa si ricava anche dall’imputazione, che non opera un
riferimento all’influenza territoriale del gruppo.
Analogamente ininfluente risulta l’analisi del contenuto intercettativo,
riguardante solo due conversazioni ambientali, di cui si lamenta l’errata
interpretazione, anche per effetto della mancata considerazione del loro effettivo
contenuto, così come ricostruito sulla base della consulenza disposta dal Gip.
Le conversazioni, secondo l’interpretazione resa, avrebbero avuto ad
oggetto la richiesta di chiarimenti da parte di Aversa ad un capo sulla ripartizione
dei lavori tra due cosche. Si espone al contrario che la prima conversazione era
finalizzata da parte di Aversa a permettere l’acquisizione di attività nel diverso
territorio all’impresa a lui facente capo, con assicurazione al mastro locale di una
sua partecipazione agli utili, mentre la seconda faceva riferimento al furto di
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‘ndrangheta, paragonabile a quella della mafia siciliana, con potere di intervento

macchinario necessario all’esecuzione dell’opera subito dall’interessato sul suo
cantiere, la cui presenza esclude qualsiasi potere di controllo del ricorrente sul
territorio di sua competenza.
Si deduce inoltre travisamento dei fatti con riferimento all’individuazione
Aversa Domenico, dipendente della ditta Cupo ed Aversa Rocco, titolare della
Trivel Jonica, secondo quanto riferito dalle dichiarazioni del Cupo acquisite

illegalità nel quale si muoveva tale attività, come dimostrato dai provvedimenti
dei giudici amministrativi al riguardo, acquisiti agli atti del procedimento ed a cui
il ricorso fa richiamo, lamentandone la mancata valutazione.
Il complesso delle risultanze dimostra, secondo il ricorrente, che la sua visita
al Commisso, sottoposta all’intercettazione ambientale, era stata imposta dalla
necessità di acquisire lavori per la ditta del figlio, mentre nulla di quanto
registrato è idoneo a fornire conferma della presenza della cosca richiamata
nell’imputazione e la partecipazione alla stessa da parte del ricorrente.
2.2. Si deduce violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen.
quanto all’individuazione delle aggravanti di cui all’art. 416 bis commi 4 e 5 cod.
pen., ove la Corte ha valutato assente il gravame sul punto, laddove, a fronte
della completa contestazione della sussistenza del reato, e del vuoto
argomentativo del Tribunale al riguardo, i rilievi formulati sull’inesistenza della
cosca non potevano che investire anche tale aspetto.
Si denuncia inoltre che, essendosi omessa la dimostrazione di esistenza
della cosca Aversa, risulta altrettanto priva di dimostrazione la disponibilità delle
armi da parte di tale gruppo.
2.3. Si segnala violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.
con riferimento alla mancata argomentazione riguardo all’entità della pena, ed
all’impossibilità di riconoscere le attenuanti generiche, elementi valutati con
generico richiamo alla gravità dei fatti, che sembra instaurare un divieto di
riconoscimento di tali attenuanti per la fattispecie contestata, ed omette la
considerazione degli elementi positivi che si segnalano.
3.1. La difesa di Caroleo deduce violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen. con riferimento alla violazione del principio di pertinenza
della prova di cui all’art. 187 cod. proc. pen. e di vizio di motivazione riguardo
alla portata dimostrativa delle prove assunte rispetto al tema di indagine.
Richiamati i principi della giurisprudenza di legittimità al riguardo, si assume
che nella specie non sia stata offerta la prova sulla funzione di ambasciatore
attribuita all’interessato all’interno della compagine, essendo state valutate a tal
fine intercettazioni prive di portata dimostrativa rispetto al tema di indagine.
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all’udienza. Tutti gli elementi acquisti al riguardo smentiscono l’assunto di

Si ritiene che sia stata tratta l’appartenenza del ricorrente alla compagine
dalla sua dichiarata disponibilità ad essere presente “tutte le sere presso il
negozio di scarpe”, mentre si lamenta la mancata valutazione delle opposte
risultanze al riguardo, deducibili dalle prove difensive offerte sul punto.
3.2. Con ulteriore motivo si rileva violazione di cui all’art. 606 comma 1
lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla mancata applicazione dell’art. 418
cod. pen., su cui pure la Corte territoriale aveva invitato la difesa ad interloquire,

da lui curata e l’identità del quadro probatorio in possesso del giudice quando è
intervenuta la sollecitazione alla diversa qualificazione.
3.3. Si eccepisce violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.
proc. pen. anche con rifermento all’individuazione degli estremi delle aggravanti
di cui all’art. 416 bis commi 4 e 5 cod. pen. intervenuta senza ricercare prove
della consapevolezza di tale presenza in capo al Caroleo, al contrario di quanto
richiesto da univoca giurisprudenza sul punto.
3.4. Da ultimo si lamenta violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.
proc. pen. con riferimento al diniego delle attenuanti generiche, decisione
contrastante con il ruolo marginale dell’interessato riconosciuto nella medesima
sentenza ad altro fine, e delimitato alla funzione di ambasciatore.
Si osserva inoltre che è stata del tutto omessa una valutazione
personalizzata al riguardo, con il richiamo ad un rischio generico attribuito alla
condizione di tutti gli imputati, senza valorizzazione delle difformità delle
posizioni, della personalità e della loro condotta processuale.
4.1. I difensori di Cordì nel loro ricorso deducono violazione di cui all’art.
606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. con riferimento al difetto di
pertinenza delle prove, secondo quanto già osservato sub 3.1. nell’interesse di
Caroleo, oltre che del vizio di motivazione sulla natura dimostrativa rispetto
all’ipotesi di accusa dei indizi valutati.
Richiamata la circostanza che gli elementi indiziari sono stati tratti da
intercettazioni ambientali, oltre ad argomentare sui limiti dimostrativi di tali
emergenze, così come stigmatizzati dalle pronunce di legittimità al riguardo, nel
caso specifico si deduce la mancata considerazione delle diverse, e per certi versi
opposte, letture delle captazioni emergenti dalle trascrizioni della p.g. e da
quelle formulate dal consulente della difesa, che non risultano esaminate, né
motivatamente disattese dalla Corte territoriale. Erano state ignorate le
affermazioni contenute nelle registrazioni che contrastavano il preteso
inserimento associativo del Cordì, e non valutate le dichiarazioni di Comisso che

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malgrado l’accertata episodicità della trasmissione delle ambasciate del Comisso

riferendosi al ricorrente nelle conversazioni con tale Prochilo dimostrava di non
includerlo nel gruppo.
Si deduce inoltre che immotivatamente la sentenza non ha dato conto della
dimostrazione offerta dalla difesa, in relazione alla lettura di una specifica
conversazione, di una ricostruzione alternativa a quella offerta dall’accusa, né
della particolare credibilità attribuita alle dichiarazioni accusatorie di Oppedisano,

nonostante mancassero elementi di conferma e vi fossero seri elementi sul
rancore nutrito dal dichiarante verso la famiglia del ricorrente. In ogni caso
l’attività di inquinamento delle prove demandata al dichiarante da tale
ricostruzione, era stata attribuita ad una strategia difensiva predisposta da un
legale di un componente del gruppo, risultato mai sottoposto ad accertamenti
penali. Si segnala che le ulteriori dichiarazioni raccolte sul punto nel medesimo
procedimento avevano smentito quanto riferito dall’Oppedisano.
Analoghi vuoti argomentativi si segnalano con riferimento alle aggravanti di
cui all’art. 416 bis commi 4 e 5 cod. pen.
4.2. Con ulteriore motivo si lamenta violazione di cui all’art. 606 comma 1
lett. b) ed e) cod. proc. pen. per la genericità dell’argomentazione espressa a
sostegno del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, pur a fronte
degli specifici elementi di fatto esposti a fondamento della richiesta sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza in quanto, a fronte
di motivi apparente volti a contestare la completezza della pronuncia impugnata
sugli specifici aspetti evidenziati, di fatto ignorano le argomentazioni espresse sul
punto nel provvedimento, proponendo in questa sede censure sulle quali si
sollecita una difforme valutazione di merito, estranea all’oggetto del presente
giudizio.
2.1. Con riferimento ai motivi di ricorso formulati nel’interesse di Aversa si
deve rilevare che la sentenza impugnata ricostruisce preliminarmente, in forza di
accertamenti giudiziali definitivi specificamente indicati, oltre che sulla base di
acquisizioni più recenti sia la storia delle associazioni territoriali in Calabria, sia la
loro strutturazione, sul piano organizzativo, all’epoca degli accertamenti,
giungendo, sulla base di tali elementi, a verificare l’esistenza di una cd locale
Cordì-Cataldo nel territorio di Locri, valutandone l’operatività e le strategie
d’azione.
Per quel che qui rileva, al fini di verificare la correttezza della contestazioni
formulate in ricorso, sulla base di tali elementi, non negati nell’impugnazione, la

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Cassazione VI sez. pen 2222/2015

malgrado in altri procedimenti si sia pervenuti ad opposte conclusioni, e

sentenza ha ricostruito tale sviluppo organizzativo, fondato sugli accertamenti
giudiziali intervenuti medio tempore, perfezionato fino ad accertare che,
all’epoca degli episodi di cui si tratta, l’organismo sovraordinato alle cd locali, era
organizzato nella cd Provincia, a cui capo era posto Comisso, al quale i
componenti delle cellule territoriali si rivolgevano per risolvere o prevenire
contrasti interni, pur essendo ai gruppi riservato potere decisionale autonomo,
non possedendo il capo provincia alcun potere di intervento diretto su tali cellule

preventiva.
In proposito la sentenza preliminarmente ricostruisce storicamente i rapporti
con la compagine illecita dei componenti del nucleo familiare. La contestazione
della difesa sulla valenza dimostrativa di tali episodi risulta almeno parzialmente
smentita dall’evocazione che Aversa opera nel corso della conversazione con
Comisso riguardo all’emarginazione della famiglia del suocero, che esclude la
prospettata l’impossibilità di eseguire un collegamento tra i legami di questi e
quelli relativi al ricorrente.
I giudici di merito hanno rinvenuto ulteriore conferma del contesto
organizzativo nel quale si inseriva l’Aversa nel contenuto delle intercettazioni
ambientali, captate nella zona non accessibile al pubblico dell’esercizio di
lavanderia di cui Comisso risulta titolare. Sotto tale profilo si deve escludere la
dedotta carenza argomentativa della pronuncia con riferimento alle letture
alternative dei dialoghi offerti dalla difesa, poiché con tali ricostruzioni la
sentenza specificamente si confronta, ed indica sulla base di quali specifici
elementi emergenti dai dialoghi intercettati la ritiene non attendibile, né
coerente; rispetto a tale deduzione il ricorso risulta generico, all’atto in cui si
limita a segnalare una carenza argomentativa sugli specifici aspetti ritenuti
rilevanti, non delineata sulla base dello sviluppo dell’analisi della Corte d’appello,
dalla quale di fatto si prescinde, e segnala parti della conversazione non
esaminate che spiegherebbero un contesto ed oggetto e diverso, ma non si
fornisce una spiegazione logica e coerente di tale lettura con le specifiche
conversazioni valorizzate in sentenza. In particolare, non si considerano né si
propongono spiegazioni alternative delle conversazioni dove di parla della
necessità di Locri di agire unita, ci si riferisce a percentuali di divisione degli
introiti di 50 e 50, di accordo raggiunto dai due gruppi territoriali maggiori, in
relazione ai quali si lamenta la mancata considerazione delle propaggini dei due
gruppi principali, evocate con richiamo ai territori di Merici e Moschetta, cui il
ricorrente fa testuale riferimento nelle conversazioni registrate, elementi tutti
che costituiscono il nucleo giustificativo della decisione impugnata, che
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territoriali, ma solo un potere di coordinamento, controllo e vigilanza, di natura

l’impugnazione non contrasta, riproponendo evidenti censure in fatto su diverse
risultanze.
I costanti richiami a regole non rispettate, a percentuali di imposizione, alla
necessità di mantenere l’accordo su un territorio che doveva rimanere unito, che
emergono nel corso della conversazione di Aversa con Comisso, rivela che il
ricorrente sollecitava un’autorità che lo stesso Comisso dichiara di non poter
materialmente esercitare con imposizione di regole diverse sulle singole cellule,

conto dell’univocità delle chiavi di lettura su cui sono fondati gli accertamenti di
merito, unitamente all’assenza di specifici riscontri sulle letture alternative
offerte, che pure la pronuncia si fa carico di confutare, con completezza che
evidenzia l’infondatezza della contestazione contenuta nel ricorso sul punto.
Anche la richiamata necessità di dimostrare la sussistenza della cosca
Aversa di Merici per l’accertamento del reato, costituisce argomentazione che ha
fondato il giudizio d’appello su cui la Corte ha offerto una valutazione ignorata
nell’atto di impugnazione, che reitera sul punto le osservazioni esposte
nell’impugnazione di merito.
E’ stato infatti al riguardo osservato che il capo di imputazione riguarda la
partecipazione del ricorrente alla `ndrangheta, e che dalla partecipazione a tale
compagine più ampia si inferisce, attraverso gli elementi acquisiti, e la certa
individuazione della zona di influenza del ricorrente, la presenza di una cosca
satellite, legata a quella di Cataldo, poiché con essa condivide il territorio e
risulta alleato.
Ma quel che rileva, ed emerge dal complesso delle conversazioni, è la
richiesta diretta da parte di Aversa di una percentuale sulle attività economiche
nel territorio di riferimento, per cui chiede consiglio a Comisso sia sulla sua
congruità che sulla necessità di suddividerlo con i responsabili della zona nella
quale l’ambito di influenza si inscrive, e che si muove sul territorio di Locri,
specificamente evocato, così fornendo la migliore dimostrazione dell’esistenza di
una specifica cellula di influenza, che in quella località aveva già o andava
acquisendo autonomia.
Né rileva in senso opposto richiamare le pronunce di questa Corte che hanno
accertato l’autonomia organizzativa delle cd locali, per dedurre la necessità che
ne sia previamente dimostrata la sussistenza, poiché quel che rileva, e la
pronuncia espressamente segnala, è la modalità di formazione del capo di
accusa, che nella specie muove dalla constatazione del collegamento personale
di Aversa con la compagine più ampia, per desumere l’esistenza di una struttura
locale, in linea con le risultanze probatorie che proprio dalla sollecitazione di
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in linea con quanto emerso sul suo potere di generico coordinamento, dando

Aversa al capo della “Provincia” ad agire nell’interesse di “amici” che i gruppi di
Locri hanno “da un parte e dall’altra”, identificati in Moschetta e Merici, trae
solido sostegno.
Le analitiche ricostruzioni contenute nella sentenza in proposito, qui
riassunte nelle linee generali al fine di evidenziare l’infondatezza della
contestazione riguardante i vizi di motivazione, non costituiscono oggetto dei
rilievi contenuti nell’impugnazione, che si muovono sulla base della

in maniera pertinente replicato nella sentenza impugnata, anche con riferimento
alle opposte deduzioni difensive, che non riguardano spiegazioni alternative
offerte a quanto significativamente emerge dagli stralci delle conversazioni
esaminate, con particolare riferimento alla diversa località -Locri e non Sidernoper la quale si richiede l’esercizio dell’influenza di Comisso.
2.2. Manifestamente infondata, in quanto basata sul medesimo erroneo
presupposto dell’identificazione della contestazione nella partecipazione ad una
realtà associativa autonoma, identificabile nella cosca di Aversa Merici, è
l’assunto di insussistenza delle circostanze aggravanti contestate, alla cui
corretta applicazione la Corte territoriale ha fatto richiamo nel presupposto che
l’accertamento della violazione di cui all’art. 416 bis cod. pen. ha avuto riguardo
all’appartenenza alla ‘ndragheta, ed al collegamento specifico dell’interessato con
la cosca del territorio di Locri facente capo al Cataldo, la cui disponibilità di armi
è stata dimostrata con il richiamo ad accertamenti giudiziali, non contestati
quanto ad esistenza e significatività.
Conseguentemente, stante la natura oggettiva dell’aggravante, applicabile a
tutti i partecipi, (principio pacifico; da ultimo per tutte Sez. 5, Sentenza n. 1703
del 24/10/2013-dep. 16/01/2014, imp. Sapienza, Rv. 258956) che non richiede
la dimostrazione del loro rapporto diretto con esse, il motivo di gravame risulta
generico.
2.3. Analogamente inammissibile per genericità risulta la contestazione
riguardante l’omessa motivazione sul mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche, a fronte di quanto espresso a sostegno della decisione dal giudice
d’appello, argomentazione che, in forza di pacifica giurisprudenza sul punto,
deve considerasi sufficiente, dovendosi con essa intendersi implicitamente
preminenti le segnalate circostanze negative sulle possibili emergenze di segno
opposto (sul punto da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 28535 del 19/03/2014 -dep.
03/07/2014, imp. Lule, Rv. 259899), che peraltro nella specie non risultano aver
costituito oggetto di specifica indicazione nell’atto di gravame, oggetto di
specifica richiesta.
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riproposizione delle eccezioni già svolte in grado di appello, ed ignorano quanto

3.1. Anche il ricorso proposto nell’interesse di Caroleo costituisce la
riproposizione delle chiavi di lettura alternative dei fatti offerte dalla difesa, che
risultano analizzate e superate dalla pronuncia impugnata, con motivazione di cui
viene omessa l’analisi.
In particolare nell’atto difensivo sono richiamate solo le conversazioni meno
rilevanti, quelle nelle quali l’interessato rivendica la sua reperibilità presso il
negozio di scarpe, ed in proposito ci si attarda a evidenziare l’assoluta innocuità

captate, anche nella medesima occasione, dalle quali si ricava la natura costante
della disponibilità di Caroleo ad eseguire le ambasciate in favore di Comisso, che
per il ruolo di coordinatore della “Provincia” dallo stesso rivestito assumono una
funzione essenziale nell’operatività della compagine illecita, sia tutte le ulteriori
conversazioni, specificamente esaminate, dalle quali si desume il rischio cui il
ricorrente si è sottoposto nel recarsi costantemente da Cordì durante la
detenzione di gran parte di quel nucleo operativo, su cui manifesta
consapevolezza, tanto da avere scoperto di essere sottoposto a controllo
attraverso il posizionamento di cimici sulla sua autovettura per captare le
conversazioni. Risulta ignorata inoltre la rilevanza della pervicacia dimostrata da
Caroleo nell’esecuzione di tale incarico, che non viene posto in dubbio neppure a
seguito di tale scoperta, poiché egli immediatamente garantisce all’interessato lo
svolgimento dell’incarico con altre modalità.
A fronte di tali argomentazioni, del tutto ignorate nel ricorso, risulta poco
conducente la mancata disamina della testimonianza individuata dalla difesa,
costituita dalle dichiarazioni della convivente dell’interessato, funzionale a
confermare la genesi tutta personale del rapporto intercorso tra Comisso e
Caroleo, poiché la Corte esamina già tale chiave di lettura, offerta
dall’interessato nel corso del suo interrogatorio, superandola con elementi di
fatto tratti dalle intercettazioni acquisite, rispetto alle quali non risulta dedotta la
decisività di quanto assunto dalla teste richiamata sulle stesse circostanze.
3.2. La pronuncia impugnata, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso,
esamina specificamente l’ipotesi che la condotta contestata, per la sua
episodicità possa essere inquadrata nella diversa fattispecie di cui all’art. 418
cod. pen. contrastando l’assunto con il richiamo ai plurimi elementi che indicano
l’indefettibilità del ruolo assunto da Caroleo quale tramite tra Comisso e Cordì, ai
quali ultimi il gruppo familiare era legato anche da rapporti d’affari.
Il dato impone di escludere il vizio di motivazione che, per essere rilevante,
deve incidere su un elemento essenziale della ricostruzione posta a base della
decisione.
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di tale presenza, senza confrontarsi con gli ulteriori brani delle conversazioni

Le argomentazioni svolte sul punto contraddicono la sussistenza del vuoto
argomentativo denunciato in ricorso; né la circostanza che la Corte, alla luce
delle osservazioni difensive, abbia invitato le parti nel corso del dibattimento ad
interloquire anche su tale minore ipotesi di reato dimostra una contraddittorietà
tra tale scelta e la decisione assunta.
L’ampliamento del contraddittorio risulta regola di condotta suggerita dalle
pronunce della Corte edu, e ritenuta successivamente necessaria dalla

su ipotesi delittuose giuridicamente diverse da quelle contestate, e costituisce
parte del procedimento non idonea a vincolare il giudicante sulla successiva
decisione, che interviene solo nel corso della deliberazione, alla luce dell’analisi
del complesso portato probatorio.
3.3. Generici risultano i rilievi con i quali si contesta la sussistenza
dell’aggravante accertata; al di là del richiamo contenuto in sentenza sulla
altrettanta genericità che connotava il motivo di appello proposto nell’interesse di
Caroleo, la sentenza illustra le plurime circostanze di fatto, che hanno costituito
oggetto di autonomi accertamenti giudiziali, alla luce delle quali è possibile
concludere positivamente sulla disponibilità di armi da parte della cosca a cui
Caroleo è risultato appartenere, condizione che, per quanto già osservato sub
2.2., è sufficiente a giustificare l’applicazione dell’aggravante riconosciuta.
3.4. Le deduzioni con le quali si lamenta il mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche sono fondate sulla sottovalutazione del ruolo di Caroleo non
riconosciuto in sentenza, ove si sottolinea l’essenzialità dell’attività garantita,
percepita dallo stesso interessato, che ne assicura lo svolgimento in qualsiasi
condizione, circostanza che esclude la contraddittorietà dell’omessa valutazione
della minore rilevanza di tale attività, in alcun modo verificata nella parte
espositiva della sentenza. Conseguentemente non è dato riconoscere la presenza
nella pronuncia della denunciata contraddizione tra le valutazioni della medesima
condizione di fatto, operata a fini diversi.
4.1. Le doglianze proposte dalla difesa Cordì risultano anch’esse la
riproposizione dei motivi d’appello, svolta ignorando la specifica confutazione
operata riguardo a tutti gli aspetti contestati nella pronuncia.
Deve preliminarmente condividersi l’impostazione in diritto del ricorso, ove
contesta l’esclusiva affidabilità delle intercettazioni, e si richiama la necessità di
una loro analisi di coerenza, con particolare riferimento alla capacità dimostrativa
degli elementi tipici della natura permanente del reato associativo la cui
sussistenza si intende dimostrare. Come è reso evidente dal richiamo svolto sul
punto nell’impugnazione tale particolare cautela si impone quando l’unico
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giurisprudenza di legittimità, per garantire l’esercizio del diritto di difesa anche

riferimento probatorio deve trarsi da tali acquisizioni, circostanza chiaramente
esclusa dal complesso argomentativo della sentenza impugnata, che
testualmente fonda la sua ricostruzione sulla convergenza dei fatti emergenti
dalle dichiarazioni rese da Oppidesano, che appaiono specificamente riscontrate
dalle conversazioni registrate.
Altrettanto non pertinente rispetto al contenuto della sentenza è la
contestazione afferente alla mancata analisi della discrasia ricostruttiva del

accertato nella perizia svolta sul medesimo oggetto su incarico dell’autorità
giudiziaria, poiché, al contrario, la sentenza segnala preliminarmente che la
divergenza è limitata all’unica frase, attribuita a Comisso e ritenuta
particolarmente significativa in quanto attributiva di un mandato al recupero di
crediti, ed opera successivamente due considerazioni, in rito ed in fatto,
entrambe ignorate nel ricorso.
Il provvedimento impugnato, sotto il primo profilo, ha giustificato la
maggiore attendibilità fornita alla perizia svolta in contraddittorio, in quanto
presidiata dal rispetto dei criteri legali per la sua formazione, contrariamente alla
consulenza di parte, risultata non asseverata con la prestazione del giuramento.
In fatto ha poi valutato la congruenza del quadro probatorio rispetto alla
contestazione formulata, anche prescindendo dall’unica affermazione contestata.
Poiché i rilievi del ricorso di legittimità attengono al contenuto della
sentenza, e non possono sollecitare una rivalutazione di merito, risulta evidente
che l’omessa analisi di tali giustificazioni rende, sotto tale profilo, inammissibili
per genericità i motivi formulati al riguardo.
Nello stesso senso deve concludersi quanto ai rilievi di incompletezza, che
raggiungono il mancato esame di specifiche affermazioni di Comisso nei confronti
di Prochilo, registrate nel corso delle intercettazioni e richiamate in atto di
appello, poiché non è dimostrata la loro portata dirimente, e risultano riproposte
con la sollecitazione ad un nuovo giudizio di merito. In particolare, nella
sentenza si riportano ulteriori affermazioni, provenienti dallo stesso Prochilo e
dal suo interlocutore Comisso, che attestano l’affidamento che il gruppo opera
sull’interessamento di Cordì, che sicuramente, non foss’altro che per età, risulta,
sulla base degli atti indicati in sentenza, essere sopraggiunto in epoca recente a
seguito dei provvedimenti restrittivi che avevano interessato in quel periodo
componenti storici del medesimo gruppo.
In tale contesto, chiaramente emergente dal complesso argomentativo,
l’omessa analisi dell’inciso “questo qua viene a parlare. .ora non è che può essere
pratico” riportato in ricorso non risulta rilevante ed idoneo a scardinare la
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contenuto delle trascrizioni tra quanto rilevato dal consulente di parte e quanto

ricostruzione posta a base della decisione impugnata, non possedendo i caratteri
dell’univocità e decisività, a fronte delle ulteriori conversazioni e considerazioni
sulle modalità in cui queste si svolgono, che convergono, per quanto esplicitato
in sentenza, nel senso di dimostrare l’utilità di Cordì. Questi, convocato per
specifici incarichi da Comimisso, capo della struttura territoriale in condizioni
nelle quali si temeva la presenza di controlli, veniva officiato di attività con
indicazioni generiche, che pure l’interlocutore mostrava immediatamente di

Allo stesso tempo non appare fondata eccezione sulla mancata analisi di
quanto offerto dal teste di Glioti poiché la Corte in proposito, in questo sanando
un vuoto argomentativo contenuto nella prima pronuncia, ha valutato
l’impossibilità di correlare tale ricostruzione alla versione difensiva resa
dall’interessato, che non ha fornito le giustificazioni del suo intervento che
parrebbero emergere solo dalle dichiarazioni postume del teste, cosicché la
deduzione di vuoto argomentativo risulta destituita di fondamento.
Inoltre le indicazioni fornite da Oppidesano a conferma del complesso
quadro ricostruttivo emergente dalle conversazioni intercettate, non possono
essere poste nel nulla per effetto della prospettata inattendibilità di questi,
accertata in procedimenti diversi, in quanto, a parte la genericità di quanto
dedotto, non risulta contestata la mancanza di completezza dell’analisi sul punto
da parte del giudice di merito.
Peraltro gli accertamenti di scarsa attendibilità intervenuti nei diversi
procedimenti non sono idonei per ciò solo a porre nel nulla l’intero portato
ricostruttivo offerto dal dichiarante, stante la pacifica legittimità della cd
valutazione di credibilità frazionata, fattispecie riferita a contraddizioni che
emergono nell’unico procedimento, più volte affermata dalla giurisprudenza di
questa Corte (da ultimo per tutte Sez. 6, n. 35327 del 18/07/2013 – dep.
22/08/2013, Arena e altri, Rv. 256097), secondo cui deve ritenersi rilevante, per
escludere l’effetto dimostrativo di tali acquisizioni, la sussistenza di un
collegamento di fatto e logico, tra la parte del narrato ritenuta falsa e le
rimanenti parti e che l’inattendibilità sia talmente macroscopica, per conclamato
contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere in radice la
stessa credibilità complessiva del dichiarante, ipotesi neppure prospettata in
ricorso. Peraltro, la circostanza che la generica evocazione di contraddizioni si
riferisca ad accertamenti imprecisati, intervenuti in diversi e non identificati
procedimenti, evidenzia ulteriormente la mancanza di specificità dell’eccezione
proposta.

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Cassazione VI sez. pen 2222/2015

comprendere e di porre in esecuzione.

Bisogna poi rilevare in argomento che proprio l’assoluta inattendibilità di
Oppidesano risulta esclusa con riferimento agli elementi rilevanti nel
procedimento, poiché, come è stato in maniera completa ed esauriente espresso
nella sentenza, sussiste riscontro di numerose delle circostanze da questi
indicate, quali in particolare la sollecitazione rivoltagli dal ricorrente a deporre il
falso, condotta confermata e rispetto alla quale individuare la paternità
dell’iniziativa -se rapportabile al Cordì o al difensore- risulta irrilevante al fine di

Comisso, rilevata grazie alle intercettazioni, il cui contenuto rivela il
coinvolgimento del primo nell’azione illecita della compagine territoriale, oltre
che il riscontro sulla presenza di contrasti tra gruppi territoriali che si cercava di
comporre, derivante dalle conversazioni Aversa Comisso.
La pronuncia inoltre analizza il complesso delle dichiarazioni rese,
deducendo dalla concreta limitazione posta alle informazioni fornite qualsiasi
intento calunniatorio, con motivazione che risulta completa anche sotto tale
profilo. In proposito nell’atto di impugnazione si richiama una diversa tempistica
delle dichiarazioni offerte da Oppidesano, già evocata in atto di appello ed in
questa sede genericamente reiterata, senza allegazione degli elementi di fatto a
sostegno di tale ricostruzione, riguardanti i tempi della sentenza che aveva
accertato il tentativo di inquinamento probatorio e le dichiarazioni di Oppidesano
sul punto.
Rispetto a tali valutazioni specifiche l’intervento in provvedimenti diversi di
una smentita di Oppidesano su circostanze imprecisate risulta, alla luce dei
principi in diritto richiamati, del tutto irrilevante anche per genericità.
4.2. Manifestamente inammissibile è la deduzione riguardante l’omesso
riconoscimento delle attenuanti generiche anche sotto il profilo del vizio di
motivazione, a fronte di un istituto la cui applicabilità è rimessa alla
discrezionalità del giudicante, che per poterne fare applicazione deve individuare
specifici elementi favorevoli, che in atto di appello non risultavano indicati, a
sostegno dell’istanza genericamente formulata.
Neppure è riscontrabile l’eccepito vizio di motivazione, poiché il giudicante
ha fatto richiamo alla natura e gravità del reato ed alle sue modalità esecutive,
dati che legittimamente possono esser individuati per svolgere la valutazione di
merito richiesta per l’applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. che si muove
nell’ambito delle circostanze richiamate all’art. 133 cod. pen. ove si opera un
richiamo specifico all’oggettiva gravità dei fatti.
5. All’accertamento di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quella della somma
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Cassazione VI sez. pen 2222/2015

escluderne la portata dimostrativa; l’accertamento della presenza di Cordì presso

indicata in dispositivo in favore della Cassa delle ammende, ritenuta equa, in
applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen. nonché alla rifusione delle spese di
rappresentanza delle parti civili in questo grado, liquidate in misura commisurata
all’attività svolta, come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle

Cassa delle ammende nonché a rifondere le spese sostenute dalle parti civili
Ministero degli interni, Provincia di Reggio Calabria e Comune di Locri, che
liquida in euro 3.500 per ciascuno, oltre IVA e CPA.
Così deciso il 23/04/2015

spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1.000 in favore della

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