Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20625 del 07/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20625 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ROSI ELISABETTA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
BORRELLI ANTONIO nato il 03/07/1992 a NAPOLI

avverso la sentenza del 26/05/2017 del GIP TRIBUNALE di RIMINI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ELISABETTA ROSI;

Data Udienza: 07/12/2017

RITENUTO che con sentenza del 26 maggio 2017, il G.I.P. del Tribunale di
Rimini, ha applicato su concorde richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., a Borrelli
Antonio, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, la
pena di un anno e mesi dieci di reclusione ed euro 4 mila di multa, per vari
delitti di cui agli art. 73 c.1 e 4 D.P.R. n. 309 del 1990, concernenti sostanza
stupefacente del tipo marijuana, accertati in Rimini in epoca antecedente ed il 31
marzo 2017;
che l’imputato ha proposto, per il tramite del difensore di fiducia, ricorso per

c.p.p. e mancanza e manifesta illogicità di motivazione in ordine alla sussistenza
di eventuali clausole di non punibilità;

Considerato che nell’ipotesi di impugnazione di una decisione assunta in
conformità alla richiesta formulata dalla parte secondo lo schema procedimentale
previsto dall’art. 444 c.p.p., l’esigenza di specificità delle censure deve ritenersi
più pregnante rispetto ad ipotesi di diversa conclusione del giudizio, dato che la
censura sul provvedimento che abbia accolto la richiesta dell’impugnante deve
impegnarsi a demolire, prima di tutto, proprio quanto richiesto dalla stessa parte
(Sez. Unite, n. 11493 del 24/6/1998, Rv. 211468) e del pari deve essere attenta
la valutazione circa la sussistenza dell’interesse a ricorrere avverso una decisione
emessa in corrispondenza esatta all’accordo delle parti, e quindi all’interesse che
le parti stesse hanno ritenuto di potere soddisfare con la richiesta di
patteggiamento (in tal senso si veda parte motiva Cass. S.U. n. 4419 del
25/1/2005);
che inoltre l’accordo intervenuto da un lato, esonera l’accusa dall’onere della
prova e, dall’altro, comporta che la sentenza che recepisce l’accordo fra le parti
sia da considerare sufficientemente motivata con una succinta descrizione del
fatto (deducibile dal capo d’imputazione), con l’affermazione della correttezza
della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all’art. 129 c.p.p., per
escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della
congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost. (Sez. 4,
n. 34494 del 13/7/2006, P.G. in proc. Kounnya, Rv. 234824), ciò in quanto la
richiesta consensuale di applicazione della pena si traduce in una scelta
processuale che implica la rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare
l’accusa i cui termini formali e sostanziali sono stati inequivocamente “accettati”
dalle parti con la richiesta ex art. 444 c.p.p., salvo il potere -dovere del giudice
della motivata verifica ex art. 129 c.p.p., specificamente computa nella decisione
impugnata, dell’esistenza “ictu oculi” di cause di non punibilità, con relativo
obbligo di conseguente declaratoria;

cassazione, lamentando violazione di legge in riferimento agli artt. 129 e 444

che nel caso di specie il motivo risulta estremamente generico e pritiò di quei
contenuti minimi di specificità da renderlo ammissibile;
che in conclusione, per la sua manifesta infondatezza e per la macroscopica
genericità, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del
ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della
somma di tremila Euro in favore della Cassa delle Ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di tremila Euro in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017

Il consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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