Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20624 del 16/02/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20624 Anno 2016
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CARRA’ SALVATORE N. IL 07/07/1963
avverso la sentenza n. 4773/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
07/01/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 16/02/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo vizi di motivazione con riferimento
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, al trattamento sanzionatorio ed al diniego
dell’attenuante di cui all’art. 648, comma 2, c.p.
Il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di specificità in tutte le sue
articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non
accolte: Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio é 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez.
VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), del tutto assertivo e,
comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello é con
argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e,
pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha complessivamente motivato le contestate
statuizioni valorizzando:
– a fondamento dell’affermazione di responsabilità, l’accertata, e mai convincentemente giustificata,
disponibilità dei titoli di provenienza furtiva in oggetto (all’evidenza acquisita fuori dai canali
ordinari e legittimi di circolazione). In tal modo, la Corte di appello si è correttamente conformata quanto alla qualificazione giuridica del fatto accertato – al consolidato orientamento di questa Corte
(per tutte, Sez. II, n. 29198 del 25/05/2010, Fontanella, rv. 248265), per il quale, ai fini della
configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta
anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la
quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un
acquisto in mala fede; d’altro canto (Sez. II, n. 45256 del 22/11/2007, Lapertosa, Rv. 238515),
ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il
rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una
semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi
contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza. Né si richiede all’imputato di
provare la pròvenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione
dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un
onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le
parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice
di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n.
35535 del 12/07/2007, Rv. 236914). Si è anche, più specificamente, chiarito (da ultimo, Sez. II, n.
22120 del 07/02/2013, Mercuri, Rv. 255929), che chi riceva od acquisti un assegno bancario al di
fuori delle regole che ne disciplinano la circolazione è necessariamente consapevole della sua
provenienza illecita;
– a fondamento del diniego dell’attenuante speciale de qua il numero e gli importi certamente non
minimi degli assegni ricettati.
Il trattamento sanzionatorio risulta già determinato nel minimo edittale quanto alla pena detentiva,
ed in misura prossima al minimo quanto alla pena pecuniaria, nonostante i numerosi precedenti
specifici (f. 5).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento
della somma, che ritiene equa, di euro mille a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro mille alla cassa delle ammende.

La CORTE APPELLO di MILANO, con sentenza in data 07/01/2015, confermava la condanna alla
pena ritenuta di giustizia pronunciata dal TRIBUNALE di MONZA, in data 21/05/2013, nei confronti
di CARRA’ SALVATORE in relazione al reato di cui alli art. 648 CP

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