Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20623 del 07/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20623 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ROSI ELISABETTA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
KRISTO LORENC nato il 29/05/1966

avverso la sentenza del 08/03/2017 del TRIBUNALE di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ELISABETTA ROSI;

Data Udienza: 07/12/2017

Ritenuto che con sentenza dell’8 marzo 2017, il G.I.P. del Tribunale di Milano,
ha applicato su concorde richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., a Kristo Lorenc
la pena di quattro anni e mesi due di reclusione oltre la multa, per il reato di cui
agli art. 73 c.1 D.P.R. n. 309 del 1990, per illecita detenzione a fini di spaccio di
gr. 102 di sostanza stupefacente del tipo cocaina, accertato in Milano il 28
gennaio 2017;
che l’imputato ha proposto, per il tramite del difensore di fiducia, ricorso per
cassazione, lamentando: 1) Violazione dell’art. 606 lett. c) c.p.p. in relazione

alla necessità di traduzione della sentenza in lingua straniera, in violazione del
principio del giusto processo; 2) Violazione ex art. 606 lett. e) c.p.p. in relazione
all’art. 133 e 62 bis c.p., per omessa motivazione in ordine alla congruità della
pena;

Considerato che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto
è stato precisato che in caso di impugnazione ritualmente proposta dal difensore
di fiducia di un imputato alloglotta, avente ad oggetto un provvedimento di cui è
stata omessa la traduzione, può configurarsi una lesione del diritto di difesa,
correlata all’attivazione personale dell’impugnazione da parte dell’imputato, solo
qualora quest’ultimo evidenzi il concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative
derivante dalla mancata traduzione (cfr. Sez. 6, n. 22814 del 10/05/2016,
Pannatier, Rv. 267941), pregiudizio che nel caso di specie non risulta dedotto;
che comunque la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota
all’imputato alloglotta non integrerebbe comunque una ipotesi di nullità ma,
qualora vi sia stata specifica richiesta di traduzione, i termini per impugnare
decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a
disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile (cfr. Sez. 2, n. 13697
del 11/03/2016, Zhou, Rv. 266444);
che anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto nell’ipotesi di
impugnazione di una decisione assunta in conformità alla richiesta formulata
dalla parte secondo lo schema procedinnentale previsto dall’art. 444 c.p.p.,
l’esigenza di specificità delle censure deve ritenersi più pregnante rispetto ad
ipotesi di diversa conclusione del giudizio, dato che la censura sul provvedimento
che abbia accolto la richiesta dell’impugnante deve impegnarsi a demolire, prima
di tutto, proprio quanto richiesto dalla stessa parte (Sez. Unite, n. 11493 del
24/6/1998, Rv. 211468) e del pari deve essere attenta la valutazione circa la
sussistenza dell’interesse a ricorrere avverso una decisione emessa in
corrispondenza esatta all’accordo delle parti, e quindi all’interesse che le parti
stesse hanno ritenuto di potere soddisfare con la richiesta di patteggiamento (in
tal senso si veda parte motiva Cass. S.U. n. 4419 del 25/1/2005);

all’art. 444 c.p.p. e 111 Cost, e 143 c.p.p., per mancata osservanza in ordine

che inoltre l’accordo intervenuto da un lato, esonera l’accusa dall’onere della
prova e, dall’altro, comporta che la sentenza che recepisce l’accordo fra le parti
sia da considerare sufficientemente motivata con una succinta descrizione del
fatto (deducibile dal capo d’imputazione), con l’affermazione della correttezza
della qualificazione giuridica di esso, e della sanzione concordata, nonché con il
richiamo all’art. 129 c.p.p., per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi
previste, con la verifica della congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di
cui all’art. 27 Cost. (Sez. 4, n. 34494 del 13/7/2006, P.G. in proc. Koumya, Rv.

traduce in una scelta processuale che implica la rinuncia ad avvalersi della
facoltà di contestare l’accusa i cui termini formali e sostanziali sono stati
inequivocamente “accettati” dalle parti con la richiesta ex art. 444 c.p.p;
che in conclusione, per la sua manifesta infondatezza e per la genericità, il
ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ex
art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila
euro in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017

Il consigliere estensore

Il Presidente

234824), ciò in quanto la richiesta consensuale di applicazione della pena si

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