Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20617 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20617 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 06/05/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Pastorelli Daniele, n. a Manduria
il 27.12.1982, rappresentato e assistito dall’avv. Leonardo Lanucara,
di fiducia, avverso l’ordinanza n. 553/2014 emessa dal Tribunale di
Lecce, in funzione di giudice del riesame, in data 15.07.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Ciro
Angelillis che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 19.05.2014, il giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Lecce applicava nei confronti di
Pastorelli Daniele la misura cautelare della custodia in carcere per la

1

riconosciuta ricorrenza di gravi indizi di colpevolezza in relazione ai
delitti di estorsione (capo W) e porto e detenzione di armi (capo X).
2. Avverso detta ordinanza, veniva proposto nell’interesse di Pastorelli
Daniele ricorso per riesame; con ordinanza in data 15.07.2014, il
Tribunale di Lecce annullava, per difetto di esigenze cautelari,
l’ordinanza impugnata e disponeva l’immediata scarcerazione di
Pastorelli Daniele se non detenuto per altra causa.
Nell’interesse di Pastorelli Daniele viene proposto ricorso per

cassazione per lamentare:
-inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 267, 268, 271, 370
cod. proc. pen. anche in relazione all’art. 89 disp. att. cod. proc. pen.;
totale omissione di motivazione a fronte dell’eccezione sollevata (primo
motivo);
-mancanza assoluta di motivazione sulla sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza in merito al concorso nel delitto di tentativo di estorsione e
comunque travisamento di fatti risultante dalla produzione difensiva in
sede di interrogatorio di garanzia ed in sede di riesame; inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 110, 56, 629, 628 cod. pen. nonché
degli artt. 10, 14 I. 497/1974 contestati in relazione all’art. 273 cod.
proc. pen., all’art. 292 lett. c-bis) cod. proc. pen. e all’art. 546 lett. e)
cod. proc. pen. (secondo motivo);
-mancanza di motivazione sulla sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza in merito al concorso nei due delitti ipotizzati a carico del
ricorrente e travisamento di fatti risultanti dall’intercettazione
ambientale n. 15 del 23.09.2011 alle ore 23,11 offerta al Tribunale
attraverso la produzione della sua trascrizione effettuata dai carabinieri;
inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen. in
relazione all’art. 292 lett. c-bis) cod. proc. pen., all’art. 546 lett. e) cod.
proc. pen. ed agli artt. 110, 56, 629 e 628 cod. pen. contestati (terzo
motivo);
-inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 110, 56, 629, 628 cod.
pen. contestati in relazione all’art. 273 cod. proc. pen., all’art. 292 lett.
c-bis) cod. proc. pen., all’art. 546 lett. e) cod. proc. pen.:
contraddittorietà e comunque mancanza assoluta di motivazione sulla
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in merito al concorso nel
delitto di tentativo di estorsione e comunque travisamento di fatti
risultanti dalle indagini dei carabinieri offerti al Tribunale attraverso la

3.

produzione degli accertamenti in merito alla titolarità del Bar La Venere
di Faggiano e all’assenza di qualunque contatto personale o telefonico
con altri coindagati (quarto motivo).
3.1. In relazione al primo motivo, evidenzia il ricorrente come fosse
stata eccepita l’inutilizzabilità e/o la nullità dell’intercettazione
ambientale n. 15 del 23.09.2011 ore 23,11, autorizzata con decreto del
giudice per le indagini preliminari in data 24.08.2011, in quanto le

attività di installazione del dispositivo di captazione ambientale sull’auto
targata CW 285 SP in uso a Pauli Fabio Cesare non sono state
verbalizzate, né vi è contezza di chi abbia effettuato le relative
operazioni.
3.2. In relazione al secondo motivo, si evidenzia come dal libro di
lavoro-cartellino presenze, il giorno 23.09.2011, data di presunta
commissione del reato, il Pastorelli svolgeva attività lavorativa dalle ore
14,55 alle ore 23,00, orario in cui terminava il turno di lavoro presso
l’Officina Elettrica c.d. Ofel del Siderurgico di Taranto, con conseguente
impossibilità da parte dello stesso di trovarsi alle successive ore 23,11 a
bordo della macchina del Pauli diretto verso Faggiano, paese distante da
Taranto circa 20 chilometri.
3.3. In relazione al terzo motivo, si censura il travisamento dei fatti con
riferimento all’intercettazione ambientale n. 15 del 23.09.2011, non
essendosi considerato:
– il tono parodistico utilizzato dagli interlocutori (il riferimento alla pistola
accompagnato dalla risata è assolutamente emblematico di tale tono e
quindi risulta per tabulas quello che è stato nell’occorso un vero e
proprio lazzo, cioè un motto giocoso senza alcuna reale aderenza
fattuale;
– l’insussistenza dell’esplicazione di una qualsiasi pressione nel tenore
letterale delle parole che avrebbe profferito Pastorelli.
3.4. In relazione al quarto motivo, si evidenzia come il tenore letterale
delle parole che avrebbe profferito il Pastorelli alla volta del mai
identificato titolare del bar La Venere non permette di ritenere realizzata
da parte del ricorrente una qualsiasi minaccia, l’esercizio di qualsivoglia
pressione, l’esternazione di atti tesi ad un condizionamento psicologico,
nemmeno nella forma più larvata possibile o indiretta, nei confronti della
persona offesa che non è colei che ha poteri di gestione dell’esercizio.
Altri elementi di indubbia valenza positiva per le ragioni dell’indagato

3

sono la totale assenza di qualsivoglia suo contatto diretto o indiretto,
telefonico o personale con Massaro Angelo, che in ipotesi sarebbe il
mandante del tentativo di estorsione, dovendosi peraltro sottolineare
che nessun contatto telefonico il Pastorelli ha mai intrattenuto con lo
stesso Pauli Fabio o chiunque altra persona coinvolta nella presente
indagine.

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, immeritevole di
accoglimento.
2. Secondo l’ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di
questa Suprema Corte nel suo più alto consesso (Sez. U, sent. n. 7931
del 16/12/2010, dep. 01/03/2011, Testini, Rv. 249002), in tema di
ricorso avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare
custodiale nelle more revocata o divenuta inefficace, perché possa
comunque ritenersi sussistente l’interesse del ricorrente a coltivare
l’impugnazione in riferimento a futura utilizzazione dell’eventuale
pronunzia favorevole ai fini del riconoscimento della riparazione per
ingiusta detenzione, è necessario che la circostanza formi oggetto di
specifica e motivata deduzione, idonea a evidenziare in termini concreti
il pregiudizio che deriverebbe dal mancato conseguimento della stessa,
formulata personalmente dall’interessato.
2.1. La Suprema Corte ha chiarito come “in linea di principio può
sussistere, sotto il profilo di cui all’art. 314 cod. proc. pen., l’interesse
dell’indagato a una pronuncia sul ricorso attinente alla legittimità della
custodia cautelare, in punto di sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza o, più in generale, dei presupposti per poterli porre a base
della sua applicazione quando la stessa non sia più in atto”,
puntualizzando tuttavia come “… anche in caso di contestazione della
sussistenza delle condizioni di applicabilità delle misure cautelari,
necessiti ugualmente la verifica dell’attualità e della concretezza
dell’interesse, richiedendo l’art. 568, comma 4 cod. proc. pen., come
condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, la sussistenza (e
la persistenza al momento della decisione) di un interesse diretto a
rimuovere un effettivo pregiudizio derivato alla parte dal provvedimento
impugnato. La regola contenuta nel citato art. 568 è, infatti, applicabile

,,(

CONSIDERATO IN DIRITTO

anche al regime delle impugnazioni contro i provvedimenti de libertate,
in forza del suo carattere generale, implicando che solo un interesse
pratico, concreto ed attuale del soggetto impugnante sia idoneo a
legittimare la richiesta di riesame; né un tale interesse può risolversi in
una mera e astratta pretesa alla esattezza teorica del provvedimento
impugnato, priva cioè di incidenza pratica sull’economia del
procedimento …”.

ritenersi sussistere un interesse dell’indagato a coltivare il ricorso per
cassazione, nonostante la misura coercitiva della custodia cautelare
impugnata sia stata revocata o abbia perso efficacia, limitatamente alla
sussistenza dei soli indizi di colpevolezza, in funzione del presumibile
interesse del ricorrente a precostituirsi una decisione irrevocabile
utilizzabile ai fini della riparazione per la ingiusta detenzione patita.
Invero, il precedente orientamento contrario di questa Suprema Corte
(cfr., Sez. 3, sent. n. 42964 del 04/10/2007, dep. 21/11/2007,
Matteazzi, Rv. 238107; nello stesso senso, Sez. 3, sent. n. 2210 del
06/12/2007, dep. 15/01/2008, Magazzù, Rv. 238633), orientamento
che, nell’attualità – come si è visto – deve ritenersi completamente
superato, trovava il proprio fondamento nel riferimento alla disposizione
dell’art. 405, comma primo bis, cod. proc. pen. (norma dichiarata
incostituzionale con sentenza n. 121 del 24.04.2009) ed alle possibili
conseguenze che potevano indursi: infatti, la presenza una pronuncia
della Corte di Cassazione dì insussistenza del quadro indiziario, se non
seguita da ulteriore attività di acquisizione probatoria, necessariamente
condizionava la scelta del pubblico ministero di iniziare o meno l’azione
penale.
2.3. Ridotto necessariamente l’ambito di operatività della nozione di
“interesse” che, un’interpretazione troppo ampia, finirebbe – a detta
delle Sezioni unite n. 7931/2010 cit. – per legittimare sempre l’indagato
ad agire anche all’utile fine di precostituirsi il titolo in funzione di una
futura richiesta di un’equa riparazione per l’ingiusta detenzione, escluse
le ipotesi di palese insussistenza dell’interesse concreto ed attuale nelle
ipotesi in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia
cautelare siano sofferte anche in forza di altro titolo e considerato che il
procedimento per la riparazione dei danni da ingiusta detenzione non
può comunque essere attivato prima che vi sia stata una pronuncia

,(

2.2. Su queste condivisibili premesse, ritiene il Collegio come non possa

conclusiva del procedimento principale nei confronti dell’accusato (art.
315 cod. proc. pen.), l’interesse a coltivare il ricorso in materia de
libertate, in riferimento a una futura utilizzazione della pronuncia in sede
di riparazione per l’ingiusta detenzione, dovrà – come si è detto – essere
oggetto di una specifica e motivata deduzione idonea ad evidenziare in
termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dalla omissione della
pronuncia medesima: deduzione che, nella fattispecie, l’istante ha

inammissibile.
3. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che,
considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in euro 1.000,00

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 6.5.2015

Il Consigliere estensore
Dott. Andrea Pellegrino

Il Presidente

completamente omesso rendendo la propria richiesta del tutto

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