Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20616 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20616 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 06/05/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Bari nel procedimento a carico di Foggetti Antonio, n. a
Bari il 07.01.1988, rappresentato e assistito dall’avv. Giancarlo
Chiariello e dall’avv. Giuseppe Giulitto, di fiducia, avverso l’ordinanza
n. 1659/2014 emessa dal Tribunale di Bari in data 11.12.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Ciro
Angelillis che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 29.10.2014, il giudice per le indagini

1

preliminari presso il Tribunale di Bari applicava nei confronti di
Foggetti Antonio la misura cautelare della custodia in carcere per il
reato di cui agli artt. 110, 629 cod. pen., 7 I. n. 203/1991 (capo C).
2. Avverso detta ordinanza, Foggetti Antonio, tramite difensore,
proponeva ricorso per riesame; con ordinanza in data 11.12.2014, il
Tribunale di Bari, in accoglimento del gravame, annullava il
provvedimento impugnato.

Tribunale di Bari propone ricorso per cassazione lamentando
mancanza o manifesta illogicità della motivazione, vizio risultante dal
verbale di interrogatorio di garanzia reso in data 05.11.2014 dalla
coindagata Emanuele Lucia, madre di Foggetti Antonio da cui emerge
la piena consapevolezza in capo al Foggetti Antonio delle pretese di
pagamento nei confronti del Nigri ed anzi che il Foggetti medesimo
avesse esplicitamente sollecitato la propria genitrice a recarsi dalla
persona offesa per riscuotere il denaro.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e, come tale, meritevole di accoglimento.

2. E’ anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti
adottati dal giudice del riesame sulla libertà personale.
2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte – che il Collegio
condivide e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative
che hanno interessato l’art. 606 cod. proc. pen., cui l’art. 311 cod.
proc. pen. implicitamente rinvia – in tema di misure cautelari
personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in
ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza ovvero delle
esigenze cautelari, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare,
in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti
che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare
la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto

i

3. Avverso detta ordinanza, il Procuratore della Repubblica presso il

che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Si è
anche precisato che la richiesta di riesame – mezzo di impugnazione,
sia pure atipico – ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la
validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali
indicati nell’art. 292 cod. proc. pen., ed ai presupposti ai quali è
subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò premesso,
si è evidenziato che la motivazione della decisione del Tribunale del

riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al
modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art.
546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare
contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su
indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di
una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, sent. n. 11 del
22/03/2000, Audino, Rv. 215828; conforme, dopo la novella dell’art.
606 cod. proc. pen., Sez. 4, sent. n. 22500 del 03/05/2007,
Terranova, Rv. 237012).
2.2. La medesima giurisprudenza di legittimità ha osservato – sempre
in tema di impugnazione delle misure cautelari personali – che il
ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la
violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità
della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i
principi di diritto, ma non anche quando propone censure che
riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5,
sent. n. 46124 del 08/10/2008, Ragliar°, Rv. 241997; Sez. 6, sent. n.
11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
2.3. L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod.
proc. pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è,
quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione
di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della
motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità
non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono
inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito,
dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi

3

di fatto siano corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice
e le statuizioni siano a loro volta assistite da motivazione non
manifestamente illogica.
3. Fermo quanto precede, rileva il Collegio come la motivazione
dell’ordinanza impugnata appaia, da un lato, carente e, dall’altro,
manifestamente illogica in relazione alle risultanze degli atti del
procedimento.

della gravità indiziaria nei confronti di Foggetti Antonio in difetto di
sufficiente dimostrazione circa la sua consapevolezza in ordine alla
specifica provenienza illecita della somme corrisposte da Nigri
Francesco, vittima dell’estorsione: detta conclusione deve essere
oggetto di nuova ed ulteriore valutazione.
3.1. Osserva il Tribunale: “… il ruolo del Foggetti nella vicenda in
esame è quella di soggetto destinatario del “pizzo” mensile riscosso
dalla Emanuele e versatole dal Nigri in favore del figlio detenuto,
riscossione alla quale la donna materialmente aveva provveduto
mensilmente a partire dai primi mesi del 2013 allorchè, per
disposizione di Battista Nunzio, il versamento di euro 500,00 mensili
precedentemente effettuato in favore del detenuto Marino Giulio, fu
sospeso e sostituito da quello di euro 200,00 in favore del detenuto
Foggetti Antonio. L’Emanuele, riteneva il giudice di prime cure,
riscuotendo mensilmente il “pizzo” e consegnando le somme riscosse
al figlio Foggetti Antonio (in favore del quale sono state registrate
rimesse monetarie costanti nel periodo di detenzione) aveva offerto
un contributo materiale efficiente all’estorsione continuata commessa
in danno del Nigri, assistita dalla consapevolezza della partecipazione
all’attività delittuosa che viene desunta dal contesto familiare in cui
avvennero i fatti, dalla circostanza che l’indagata si fosse
personalmente recata presso il bar per le riscossioni e che, vivendo in
un piccolo centro come Adelfia, non potesse ignorare che
quell’esercizio commerciale fosse già stato oggetto di due attentati”.
3.2. Prosegue tuttavia il Collegio: “… certamente il contesto familiare
in cui l’estorsione maturò ed il dato rappresentato dalle dazioni di
denaro ricevute dal Foggetti provenienti tutte da colei che
materialmente si era recata dal Nigri a riscuotere il “pizzo”, sono
elementi che rendono possibile ma non anche altamente probabile la

Invero, secondo il Tribunale non può ritenersi integrato il requisito

consapevolezza da parte del Foggetti dell’esistenza di un’attività
estorsiva in danno del Nigri, attività illecita avente il principale scopo
di mantenimento in carcere dei detenuti aderente al clan Di Cosola,
Anche il contesto associativo di riferimento è un elemento sintomatico
ma non sufficiente da solo a dimostrare la consapevolezza del
ricorrente in ordine alla specifica provenienza illecita delle somme
atteso che si tratta di un clan dedito ad una pluralità di attività

Tanto quindi allo stato non può ritenersi sufficiente a consentire di
ritenere integrata la soglia di gravità indiziaria imposta dall’art. 273
cod. proc. pen. nei confronti dell’odierno indagato …”.
3.3. Con l’argomentazione testè esposta, tuttavia, il Tribunale omette
di considerare l’inequivoco contenuto di un imprescindibile atto del
procedimento e, segnatamente, del verbale dell’interrogatorio di
garanzia reso, in data 05.11.2014, dalla coindagata Emanuele Lucia,
madre del Foggetti Antonio, da cui emergerebbe, invece, la piena
consapevolezza, in capo allo stesso Foggetti, delle pretese di
pagamento nei confronti del Nigri, avendo il Foggetti esplicitamente
sollecitata la propria madre a recarsi dalla persona offesa per
riscuotere il denaro.
3.4. In ragione della mancanza o della manifesta illogicità
motivazionale risultante da uno specifico atto del procedimento, si
impone l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
4. Il giudice del rinvio dovrà necessariamente tener conto dei
contenuti del verbale di interrogatorio di garanzia reso in data
05.11.2014 dalla coindagata Emanuele Lucia, madre di Foggetti
Antonio

PQM

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bari per
nuovo esame.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 6.5.2015

illecite, ciascuna possibile fonte di sostentamento dei suoi adepti

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