Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20614 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20614 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 06/05/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Tesoro Antonietta, n. a Napoli il
24.03.1988, rappresentata e assistita dall’avv. Lumeno Dell’Orfano,
avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli, dodicesima sezione
penale, n. 1667/2014, in data 26.01.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Ciro
Angelillis che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del
ricorso;
sentita la discussione dell’avv. Lumeno Dell’Orfano che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1

1. Con ordinanza in data 10.11.2014, il Tribunale di Napoli dichiarava
inammissibile l’istanza di dissequestro di alcuni beni immobili
sequestrati a Tesoro Antonietta con provvedimento emesso dal
giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli in data
05.02.2014. L’istante è moglie di Amoroso Raffaele indagato per il
delitto di partecipazione ad associazione criminale dedita alla

a tali incolpazioni, il giudice per le indagini preliminari disponeva il
sequestro preventivo, ai sensi degli artt. 240 cod. pen. e 12 sexies I.
n. 356/1992, in forza dei quali è sempre disposta la confisca dei
denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può
giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona,
risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in
valore sproporzionato al reddito dichiarato o alla propria attività
economica.
1.1. Avverso il decreto di sequestro preventivo, Tesoro Antonietta,
unitamente al marito ed ai soggetti appartenenti al nucleo familiare
del primo, presentò istanza di riesame.
1.2. Il Tribunale della libertà, con ordinanza in data 24.02.2014,
rigettò il gravame e confermò il sequestro dei beni a lei intestati.
1.3. Con istanza rivolta al Tribunale di Napoli, Tesoro Antonietta
avanzava istanza di dissequestro di n. tre beni immobili alla
medesima intestati.
1.4. Con ordinanza in data 10.11.2014, il Tribunale dichiarava
inammissibile l’istanza difensiva evidenziando come le medesime
argomentazioni fossero già state ampiamente valutate e disattese dal
Tribunale del riesame.
1.5. Avverso detta ultima pronuncia, nell’interesse di Tesoro
Antonietta, veniva proposto appello evidenziando, quali elementi di
novità, il contenuto delle dichiarazioni rese dalla nonna e dai genitori
della Tesoro assunte in sede di indagini difensive e la produzione in
copia di buoni fruttiferi.
1.6. Con ordinanza in 26.01.2015, il Tribunale rigettava il gravame.
1.7. Avverso detto ultimo provvedimento, nell’interesse di Tesoro
Antonietta, viene proposto ricorso per cassazione con il quale si
lamenta la nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 125, comma 3

i

commissione dei reati di falso ed al delitto di ricettazione. In relazione

cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen., 12 sexies I.
n. 356/1992, 322, 321 bis e 178 lett. c) cod. proc. pen..
In particolare, la ricorrente censura l’ordinanza impugnata nella parte
in cui la stessa ha interpretato in maniera erronea e superficiale gli
elementi forniti dalla difesa al fine di smentire la sproporzione, così
come ritenuta evidente dal giudice per le indagini preliminari nel
provvedimento di sequestro, tra il patrimonio della Tesoro e la sua

sito in Napoli vico S.Petrillo 13, è stato ampiamente provato che lo
stesso fu acquistato nell’anno 2008 con l’utilizzo di soldi provenienti
dalla monetizzazione di alcuni buoni fruttiferi alla stessa intestati, per
un ammontare di circa 40.000,00 euro; per quanto concerne
l’appartamento sito in Napoli vico S.Petrillo 28 e pertinenza in Napoli
via Santa Maria Antesaecula 126, la ricorrente ha provato di avere
una disponibilità economica per far fronte al pagamento delle somme
ricevute attraverso l’erogazione di un mutuo ed utilizzate per
l’acquisto dei predetti cespiti. Inoltre, la stessa riceve mensilmente
una somma di denaro dal padre separato e dalla nonna materna che
utilizza per il pagamento delle rate del mutuo. In ogni caso, i predetti
immobili furono acquistati negli anni 2007 e 2008 mentre i fatti
delittuosi contestati all’Amoroso sono da collocare negli anni 2011 e
2012.
L’ordinanza impugnata va altresì censurata anche per l’omessa
motivazione in ordine al motivo di gravame proposto dalla difesa con
il quale si sosteneva che i beni oggetto del sequestro preventivo
operato dal giudice per le indagini preliminari, fossero stati acquistati
in epoca antecedente a quella del commesso reato da parte
dell’Amoroso nonché la circostanza di fatto secondo cui detti beni
furono acquistati dalla Tesoro in regime legale di separazione dei beni
con il coniuge. Più precisamente, va rilevato che la Tesoro e
l’Amoroso contrassero matrimonio in regime di separazione dei beni
in data 06.11.2006 appena sei giorni dopo l’acquisto dell’immobile
sito in Napoli vico S.Petrillo 28.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta

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situazione reddituale. Invero, per quanto concerne il negozio bottega

inammissibile.
2. Con riferimento al thema decidendum vanno preliminarmente
rammentate le regole in tema di impugnazione del provvedimento di
sequestro preventivo. Innanzitutto, va considerato che con il ricorso
per cassazione ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen. può essere
dedotta la violazione di legge e non anche il vizio di motivazione. Ma,
secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, ricorre violazione

di legge laddove la motivazione stessa sia del tutto assente o
meramente apparente, non avendo i pur minimi requisiti per rendere
comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice
del provvedimento impugnato. In tale caso, difatti, atteso l’obbligo di
motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un
elemento essenziale dell’atto.
2.1. Va anche ricordato che, anche se in materia di sequestro
preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro
probatorio serio come per le misure cautelari personali, non è però
sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua
mera enunciazione e descrizione. È invece necessario valutare le
concrete risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al
semplice livello di

“fumus” al fine di ritenere che la fattispecie

concreta vada ricondotta alla figura di reato configurata; è inoltre
necessario che appaia possibile uno sviluppo del procedimento in
senso favorevole all’accusa nonché valutare gli elementi di fatto e gli
argomenti prospettati dalle parti. A tale valutazione, poi, dovranno
aggiungersi le valutazioni in tema di “periculum in mora” che,
necessariamente, devono essere riferite ad un concreto pericolo di
prosecuzione dell’attività delittuosa ovvero ad una concreta possibilità
di condanna e, quindi, di confisca (cfr., Sez. 6, sent. n. 6589 del
10/01/2013, dep. 11/02/2013, Gabriele, Rv. 254893).
3. In punto di diritto, in ordine al sequestro preventivo disposto a
carico di un terzo estraneo al reato per cui si procede, la
giurisprudenza di legittimità ha fissato taluni principi di diritto. Si è
affermato al riguardo che:
a) incombe alla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di
situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra
intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sicché possa
affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla

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titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza
dell’acquisizione del bene in capo al soggetto indagato e di
salvaguardarlo dal pericolo della confisca, così come spetta al giudice
della cautela esplicare poi le ragioni della ritenuta interposizione
fittizia, utilizzando allo scopo non solo circostanze sintomatiche di
mero spessore indiziario, ma elementi fattuali, dotati dei crismi della
gravità, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche in chiave

b) dal momento che, come ricordato in premessa, il ricorso per
cassazione può essere proposto solo ed esclusivamente per violazioni
di legge ex art. 325 cod. proc. pen., il vizio di motivazione – secondo
il pacifico l’indirizzo giurisprudenziale (cfr., Sez. U, n. sent. n.
25080/2003, Rv. 224611; Id., sent. n. 5876/2004, Rv. 226710; Id.,
sent. n. 25932/2008, Rv. 239692; Id., sent. n. 19598/2010, Rv.
247514) – può essere dedotto in soli due casi:
– quando la motivazione manchi del tutto (cd. mancanza grafica della
motivazione);
– quando la motivazione, pur presente graficamente, sia apparente.
Con tale ultimo – e più frequente – sintagma (“motivazione
apparente”), la giurisprudenza di questa Suprema Corte intende
quella motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza e
completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile
l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee
argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da
rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento.
4. La ricorrente agisce nella sua qualità di terza proprietaria dei
sottoindicati beni gravati da sequestro:
– immobile (abitazione) di proprietà per 1/1 ubicato a Napoli vico
S.Petrillo 28;
– immobile (negozio/bottega) di proprietà per 1/1 ubicato a Napoli
vico S.Petrillo 13;
– immobile (magazzino/locale di deposito) di proprietà 1/1 ubicato a
Napoli via Santa Maria Antesaecula 126.
5. Il Tribunale, nel provvedimento oggetto del presente ricorso per
cassazione, condividendo le argomentazioni formali in punto di non
utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai congiunti della Tesoro ed
assunte dal difensore con le indagini difensive, ha riconosciuto

indiretta, l’assunto accusatorio;

come le allegazioni della ricorrente non consentissero comunque di
superare le osservazioni fatte dal Tribunale del riesame.
5.1. Si legge nel provvedimento impugnato (pag. 6): “… va
comunque sottolineata la genericità e contraddittorietà delle
dichiarazioni (ndr., rese con le modalità indicate dagli artt. 391 bis
e ss. cod. proc. peri.) con i dati acquisiti

aliunde, il che non

consente di suffragare la tesi difensiva secondo cui il mutuo

utilizzato anche per acquistare il negozio due anni dopo e che i due
familiari avevano provveduto a fornire alla Tesoro la provvista per
pagare le rate del mutuo ed anche per vivere dato che sia lei che il
marito sono formalmente privi di reddito …”.
5.2. Ritiene il Collegio non condivisibile le valutazioni operate dal
Tribunale in merito alla pretesa non utilizzabilità in questa fase
delle dichiarazioni assunte in sede di indagini difensive (prodotte
dalla difesa in sede di appello, unitamente alla copia di n. otto
buoni fruttiferi, di cui n. sei del valore di cinque milioni di lire e n.
due emessi in euro per un importo di cinquemila euro cadauno).
Va evidenziato al riguardo che, non solo nel procedimento
conseguente all’appello contro i provvedimenti in materia di
sequestro preventivo, è legittima la produzione di documentazione
relativa ad elementi probatori “nuovi”, preesistenti o sopravvenuti,
sempre che – come risulta avvenuto nella fattispecie – sia rispettato
l’ambito del “devolutum” e sia assicurato il contraddittorio delle parti
(Sez. 2, sent. n. 12245 del 14/02/2013, dep. 15/03/2013,
Santopaolo, Rv. 255539) ma anche, e soprattutto, che la
presentazione al giudice degli elementi di prova raccolti dal difensore
a favore del proprio assistito ne implica non solo l’acquisizione ma
anche la valutazione con il conseguente obbligo, ove siano disattesi,
di motivazione circa le ragioni della ritenuta minore valenza rispetto
alle altre risultanze processuali (Sez. 2, sent. n. 28662 del
27/05/2008, dep. 10/07/2008, Manola, Rv. 240654).
5.3. Fermo quanto precede, nel senso sopra indicato va corretta ed
integrata la motivazione del giudice di merito; peraltro, detta
correzione non implica l’annullamento del provvedimento dovendosi
prendere atto che il Tribunale ha comunque proceduto a valutare le
produzioni difensive, utilizzandole ai fini della pronuncia del

i

concesso al momento dell’acquisto dell’appartamento nel 2006, fu

provvedimento richiesto, ancorchè ne abbia disatteso la portata
probatoria con motivazione del tutto congrua e priva di qualsivoglia
vizio logico-giuridico.
5.4. Invero, il Tribunale scrive: “… la nonna (ndr., della ricorrente)
Esposito Antonietta, dopo avere precisato di aver svolto l’attività di
parrucchiera dal 1959-60 al 2010, ha riferito di avere affittato la
propria attività per 300 euro al mese e di percepire una pensione di

circa 900-1000 euro mensili. A domanda estremamente suggestiva
del difensore, la donna aveva spiegato di avere “sempre collaborato
… a tutto quello” di cui la nipote aveva bisogno e di averle
corrisposto, nel tempo, circa 300-400-500 euro mensili, oltre a farle
regali di circa 400-500-1000 euro nelle varie festività, alla Tesoro così
come alle altre nipoti, anche se alla ricorrente “un po’ di più” essendo
ella come una figlia per la nonna. Orbene, al di là del fatto che non si
comprende come una donna che percepisce tra pensione e fitto di
attività … circa 1200-1300 euro mensili possa corrispondere ad una
nipote circa 500 euro mensili, donarle dai 400 ai 1000 euro in
occasione delle festività, aiutare gli altri nipoti e parenti, fare a
costoro regali dello stesso tenore e contemporaneamente vivere con
quel (poco) che evidentemente residua …, ritiene il Collegio che le
dichiarazioni della Esposito siano estremamente generiche e pertanto
non consentano di collegare le dazioni agli esborsi …”.
Prosegue il Tribunale: “… anche a voler ritenere che la Esposito
avesse corrisposto da sempre 500 euro al mese alla nipote …
comunque non si comprenderebbe come la Tesoro con 500 euro
mensili potrebbe provvedere al normale menage familiare, pagare le
rate del mutuo – circa 500 euro al mese dal 2006 – e consentire al
marito di risparmiare le somme significative rinvenute nella sua
disponibilità. Né può portare a diversa conclusione la dichiarazione
resa dal padre della ricorrente … che ha dichiarato di avere sempre
corrisposto alla figlia circa 200 euro mensili …”.
Ulteriori valutazioni di incongruenza il Tribunale opera con riferimento
agli acquisti degli immobili ritenendo che anche l’utilizzazione della
provvista derivante dalla monetizzazione dei buoni fruttiferi non
avrebbe comunque potuto consentire l’acquisto (anche di uno solo)
degli immobili.
6. Non può esservi dubbio sul fatto che, nell’ipotesi in cui il bene

7

”colpito” da sequestro risulti nella titolarità di un terzo, l’onere
probatorio dell’accusa consiste unicamente nel dimostrare, anche e
soprattutto attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che
quei beni, in realtà, non sono del terzo, ma sono nella disponibilità
dell’indagato “a qualsiasi titolo” (cfr., Sez. 1, sent. n. 44534 del
24/10/2012, dep. 15/11/2012, Ascone e altro, Rv. 254699, secondo
cui ai fini dell’operatività del sequestro preventivo previsto dall’art.

12-sexies della legge n. 356 del 1992 e della successiva confisca nei
confronti del terzo estraneo alla commissione del reato, grava
sull’accusa l’onere di provare l’esistenza di circostanze che avallino in
modo concreto la divergenza tra intestazione formale e disponibilità
effettiva del bene non essendo sufficiente la sola presunzione fondata
sulla sproporzione tra valore dei beni e reddito percepito; nello stesso
senso, Sez. 6, sent. n. 49876 del 28/11/2012, dep. 21/12/2012,
Scognamiglio, Rv. 253957).
6.1. A sua volta il terzo, pur non essendo gravato da alcun onere
probatorio ha tuttavia, ove lo ritenga opportuno, un onere di
allegazione che consiste, appunto, nel confutare la tesi accusatoria ed
indicare elementi fattuali che dimostrino che quel bene è di sua
esclusiva proprietà.
6.2. Invero, poiché l’interposizione fittizia poggia generalmente su un
rapporto fiduciario riservato che ne rende particolarmente difficile il
disvelamento, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la
prova in tale materia può essere data anche per indizi, purché però
abbiano i requisiti stabiliti dall’art. 192, comma 2 cod. proc. pen.
(cfr., Sez. 2, sent. n. 3990 del 10/01/2008, dep. 14/01/2008, Catania
e altro, Rv. 239269).
6.3. Pertanto, nel caso in cui il sequestro colpisca un bene di un
terzo:
– se l’accusa non riesce a dare la prova che il bene è nella
disponibilità dell’indagato, il bene va restituito al terzo;
– se l’accusa riesce a dare la prova che il bene è intestato
fittiziamente al terzo essendo in realtà nella disponibilità
dell’indagato, il bene è sequestrato (cfr., Sez. 2, sent. n. 17287 del
23/03/2011, dep. 04/05/2011, Tondi, Rv. 250488).
6.4. A sua volta, il giudice ha l’obbligo di spiegare le ragioni della
ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze

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sintomatiche di spessore indiziario, ma elementi fattuali che si
connotino della gravità, precisione e concordanza, sì da costituire
prova indiretta dell’assunto che si tende a dimostrare, cioè del
superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità
effettiva del bene (Sez. 1, sent. n. 11049 del 05/02/2001, dep.
21/03/2001, Di Bella, Rv. 226053).
7. Tanto precisato in via di diritto, ritiene il Collegio come il Tribunale

ritenuto, con una conclusione ampiamente argomentata che ha
tenuto conto di ogni evidenza sollecitata dalla difesa, come gli
elementi acquisiti avessero consentito in modo oggettivo, anche alla
luce di talune evidenti incongruenze fattuali e comportamentali (per
esempio, con riferimento all’avvenuta necessità di apertura di un
mutuo ovvero all’epoca di monetizzazione dei buoni fruttiferi ovvero,
ancora, a talune discrepanze nelle dichiarazioni rese dai genitori della
ricorrente), di inferire la sproporzione tra il patrimonio dei coniugi
Amoroso Raffaele e Tesoro Maria Antonietta: oggettività, a fronte
delle quali, non sono state fornite valide giustificazioni per ritenere
che gli acquisti in parola fossero stati possibili attraverso una
provvista lecitamente accumulata piuttosto che con il provento illecito
dell’attività svolta da Amoroso Raffaele.
8. Ne consegue il rigetto del ricorso e, per il disposto dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 6.5.2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott. Ar)dre p Pellegrino

D tt. Francorndanese

,

di Napoli abbia fatto corretta applicazione dei suddetti principi avendo

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