Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20613 del 05/02/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20613 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FERRARI DARIO N. IL 22/01/1946
avverso la sentenza n. 3112/2014 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
23/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 05/02/2016

RITENUTO IN FATTO
1. – La Corte d’appello di Brescia ha confermato, quanto alla responsabilità
penale, la sentenza del Tribunale di Bergamo, resa all’esito di giudizio abbreviato, con
la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui agli artt. 81, secondo
comma, cod. pen., 4 del digs. n. 74 del 2000, perché, in qualità di legale
rappresentante di una società, in esecuzione dì un medesimo disegno criminoso,
indicava nelle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto

d’imposta. La Corte territoriale ha rideterminato la pena in diminuzione.
2. – Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo violazione di legge e vizi della motivazione in relazione alla
responsabilità penale e al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Si lamenta, in
particolare, che la prova della colpevolezza sarebbe stata desunta da una comunicazione
di un soggetto diverso dalla società dell’imputato, che aveva annotato tra i propri
fornitori tale società. Si tratterebbe di un semplice indizio, dì per sé non rilevante, in
mancanza di traccia delle fatture e delle somme incassate e non dichiarate dalla società.
La difesa lamenta, quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche, che non sarebbe stata presa in considerazione l’assenza di un danno
all’erario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su doglianze che, oltre a essere
formulate in modo non specifico, costituiscono la mera riproposizione di rilievi già
esaminati e correttamente disattesi dai giudici di secondo grado.
È sufficiente qui evidenziare che nella sentenza impugnata – con motivazione
adeguata e coerente e, dunque, insindacabile in sede di legittimità – si valorizza il dato
istruttorio rappresentato dall’evidente discrepanza tra la contabilità della società
dell’imputato e quella dei suoi clienti, da cui era emerso che gran parte delle fatture
emesse non erano state effettivamente contabilizzate. Si tratta di un elemento di sicura
rilevanza probatoria e non già di un elemento meramente indiziario, per di più in
mancanza di prospettazioni difensive alternative. Quanto alle circostanze attenuanti
generiche, le stesse sono state correttamente negate

in

considerazione della

reiterazione della condotta illecita, rivelatrice della radicata volontà di non osservare gli
obblighi fiscali. E del tutto generiche risultano le affermazioni difensive circa la
mancanza di un danno erariale, anche a prescindere dalla considerazione che un tale

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per gli anni 2006 2007 elementi attivi inferiori a quelli reali, con conseguente sottrazione

danno risulta evidentemente sussistente e corrisponde alla sottrazione di imposta
indicata nell’imputazione.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.

in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2016.

pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,

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