Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20608 del 07/12/2017
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20608 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ROSI ELISABETTA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LIBERATI CLAUDIO nato il 03/10/1958 a ROMA
avverso la sentenza del 15/05/2017 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ELISABETTA ROSI;
Data Udienza: 07/12/2017
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15 maggio 2017 la Corte di Appello di Roma ha confermato
la sentenza emessa il 23 settembre 2016 dal Tribunale di Roma all’esito di
giudizio abbreviato che aveva condannato Liberati Claudio, alla pena di anni
quattro di reclusione ed euro 12 mila di multa per il delitto di cui all’art. 73,
D.P.R. n. 309 del 1990, in relazione alla detenzione a fini di spaccio di gr. 68,600
lordi di sostanza stupefacente tipo cocaina, detenuti anche all’interno di una
cantina
in
uso allo stesso,
con
la
recidiva
specifica
reiterata ed
generiche; fatto commesso in Roma il 22 settembre 2016.
2.
Avverso la sentenza l’imputato ha proposto personalmente ricorso per
cassazione, lamentando: 1) Inosservanza ed erronea applicazione della legge
penale ex art. 606 lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990,
avendo richiesto l’abbreviato senza termini a difesa e non avendo potuto provare
la qualità di tossicodipendente, per cui la droga era per mio uso personale, come
attesta la modesta somma rinvenuta (94 euro); 2) Mancanza e manifesta
illogicità della motivazione, essendo la sentenza motivata per relationem a quella
di primo grado; 3) Mancata concessione circostanze attenuanti generiche nella
misura massima.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va rilevata la inammissibilità del ricorso, considerato che le censure poste a
fondamento dell’impugnazione non si correlano con le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e risultano pertanto aspecifiche (vizio che conduce, a norma
dell’art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p., all’inammissibilità”, ex plurimis, Sez. VI,
8.5.09, Candita, Rv. 244181; Sez. V, 27.1.05, Giagnore). La decisione
impugnata ha confermato le valutazioni di merito espresse in primo grado, con
motivazione ampia, congrua e priva di smagliature logiche, mentre il ricorso mira
nella sostanza a sollecitare una rivalutazione del fatto, inammissibile nella
presente sede di legittimità, essendo peraltro stata fondata sull’intero fascicolo
delle indagini preliminari, a ragione della scelta del rito abbreviato.
2. Va ricordato che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino
nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle
rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda
con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo
(Così, ex multiis, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181).
3. Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle
esaustive argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado,
hanno fornito una valutazione autonoma degli elementi probatori agli atti, dando
infraquinquennale, ritenuta sub valente rispetto alle circostanze attenuanti
puntuale risposta ai motivi di appello come sintetizzati nella parte relativa allo
svolgimento del processo della decisione impugnata.
4. Anche la doglianza in ordine alle invocate circostanze generiche non si sottrae
ad un giudizio di genericità; va innanzitutto precisato che la concessione delle
attenuanti generiche dovrebbe essere fondata sull’accertamento di situazioni
idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore
dell’imputato. Nel caso di specie la Corte di appello ha evidenziato che le
circostanze attenuanti generiche sono state già riconosciute con un giudizio di
considerata la tipologia di recidiva riconosciuta già dal primo giudice.
Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del
ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017.
bilanciamento in prevalenza più che benevolo e pertanto non più modificabile