Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20607 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20607 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Ribaudo Gaspare, nato a Palermo il 18/05/1991;
avverso l’ordinanza del 20/01/2015 del Tribunale di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ciro
Angellilis, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito per l’indagato l’Avv. Raffaele Bonsignore, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza 29.10.2014 il G.I.P. del Tribunale di Palermo applicò la
custodia in carcere a Ribaudo Gaspare indagato (in concorso con Rughoo Tejo
Emanuel) per tentata estorsione aggravata anche ai sensi dell’art. 7 legge n.
203/1991.

2. L’indagato propose istanza di riesame ed il Tribunale di Palermo con
ordinanza del 18.11.2014 confermò il provvedimento impugnato.

3. Con ordinanza del 1.12.2014 il G.I.P. del Tribunale di Palermo revocò la
custodia in carcere nei confronti di Ribaudo Gaspare, ritenendo venuta meno la
gravità indiziaria alla luce delle dichiarazioni rese al difensore da Aiello Antonio
ed alla polizia giudiziaria da D’Ancona Giampiero.

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Data Udienza: 06/05/2015

4.

Avverso tale provvedimento il Procuratore della Repubblica presso il

Tribunale di Palermo propose appello ed il Tribunale di Palermo, con ordinanza
del 20.1.2015, ordinò il ripristino della custodia in carcere.

5. Ricorre per cassazione l’indagato, tramite il difensore, deducendo:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto il P.M. ha allegato
all’atto di appello un verbale di confronto fra la persona offesa Lo Verde
Gianluca e la persona informata sui fatti D’Ancona Giampiero, avvenuto il

carcere; tale verbale di confronto non sarebbe utilizzabile in quanto
successivo alla decisione del G.I.P. (nonostante il contrario avviso delle
Sezioni Unite di questa Corte) perché la difesa non avrebbe potuto
svolgere indagini difensive sul punto; inoltre il Tribunale non avrebbe
sottoposto ad adeguato vaglio critico le dichiarazioni della persona offesa;
il Tribunale ha giustificato le discrepanze tra le dichiarazioni della persona
offesa e quelle di D’Ancona in ragione dell’essere stato quest’ultimo
intimorito da Ribaudo e dai soggetti in sua compagnia; peraltro il
Tribunale, pur giudicando inattendibile D’Ancona ha utilizzato le sue
dichiarazioni quale conferma delle dichiarazioni della persona offesa;
D’Ancona non ha mai riferito di minacce; inoltre D’Ancona ha smentito Lo
Verde circa la sottrazione delle chiavi e del cellulare perché la persona
offesa non chiamasse la polizia; infine ha errato il Tribunale a ritenere
attendibile Lo Verde in quanto agente della Polizia di Stato;
2.

violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n.
203/1991; il Tribunale ha ritenuto che gli indagati avessero utilizzato la
forza di intimidazione derivante dalla loro appartenenza ad un gruppo
composto da una decina di persone; D’Ancona ha smentito di aver sentito
il riferimento ad una struttura associativa; a prescindere dal fatto che la
persona offesa ha parlato di 6 persone e non di una decina, tanto Ribaudo
quanto Rughoo, secondo quanto riferito da Aiello e da D’Ancona erano già
al bar al momento dell’arrivo della persona offesa e del D’Ancona, sicché
l’incontro fu occasionale; Lo Verde, agente di polizia, difficilmente si può
ritenere che sia stato conculcato nella propria libertà, tanto che non ha
esitato a denunciare Ribaudo;

3.

violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza di esigenze cautelari fronteggiabili solo con la custodia in
carcere solo sulla scorta di un generico richiamo alla condotta ed ai
precedenti penali del ricorrente.

2

9.12.2014 e quindi successivo all’ordinanza di revoca della custodia in

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono manifestamente infondati,
generici e svolgono censure di merito.
Quanto alla manifesta infondatezza va ricordato che nel procedimento
conseguente all’appello proposto dal P.M. contro l’ordinanza reiettiva della
richiesta di misura cautelare personale, è legittima la produzione di
documentazione relativa ad elementi probatori “nuovi”, preesistenti o

prodotti dal P.M. riguardino lo stesso fatto contestato con l’originaria richiesta
cautelare e in ordine ad essi sia assicurato nel procedimento camerate il
contraddittorio delle parti, anche mediante la concessione di un congruo termine
a difesa, e quelli prodotti dall’indagato, acquisiti anche all’esito di investigazioni
difensive, siano idonei a contrastare i motivi di gravame del P.M. ovvero a
dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilità della
misura cautelare richiesta (Cass. Sez. U, Sentenza n. 18339 del 31/03/2004
dep. 20/04/2004 Rv. 227357, già richiamata nel provvedimento impugnato;
conf. Sez. 5, Sentenza n. 42847 del 10/06/2014 dep. 13/10/2014 Rv. 261244).
Quanto alla genericità è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca
il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti
specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione
e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso
autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (Cass. Sez. 5, Sentenza n.
11910 del 22.1.2010 dep. 26.3.2010 rv 246552).
Quanto al fatto che sono dedotte censure di merito si deve rilevare che il
Tribunale ha argomentato sull’attendibilità della persona offesa, sull’essere stato
D’Ancona intimorito ed inattendibile per le contraddizioni, ma che comunque
aveva in parte confermato le dichiarazioni della persona offesa.
Il Tribunale ha altresì ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante di
cui all’art. 7 legge n. 203/1991 in ragione della presenza di un gruppo criminale
già radicato nel territorio, anche in ragione di un pregresso episodio di
danneggiamento e del tentativo di imporsi nella gestione di una attività
economica.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non
deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una

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sopravvenuti, sempre che, nell’ambito dei confini segnati dal “devolutum”, quelli

formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del
30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del
21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di
motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti
dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità
degli enunciati che la compongono.

frazionata delle dichiarazioni di D’Ancona.

2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di
merito.
Il Tribunale ha motivato la sussistenza delle esigenze cautelari sia in
relazione alla presunzione relativa di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. sia
in ragione della condotta e dei precedenti penali dell’indagato.
Tale motivazione appare adeguata, alla luce del principio affermato da questa
Corte, secondo il quale In tema di esigenze cautelari, la modalità della condotta
tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il giudizio
sulla pericolosità sociale dell’imputato, oltre che sulla gravità del fatto (Cass.
Sez. 6 sent. n. 12404 del 17.2.2005 dep. 4.4.2005 rv 231323).

3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

4. La Cancelleria provvederà a norma dell’articolo 28, Reg. esec. cod. proc.
pen.

P.Q.M.

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Neppure vi è contraddittorietà nella motivazione, ma solo valutazione

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 28, Reg. esec. cod. proc. pen.

Così deciso il 06/05/2015.

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