Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20606 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20606 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Patruno Salvatore, nato a Cerignola il 03/11/1975;
avverso l’ordinanza del 27/01/2015 del Tribunale di Siena;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ciro
Angelillis, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con decreto del 9.1.2015 il Procuratore della Repubblica presso il

Tribunale di Siena dispose il sequestro probatorio della somma di C 10.538,00
presso la Cassa di Risparmio di Castellina Scalo, nei confronti di Patruno
Salvatore indagato per il reato di cui all’art. 646 cod. pen., commesso in danno
del proprio difensore Avv. Catia Buiarelli, trattenendo somme parte di una
transazione e destinate agli onorari del suo difensore..

2.

L’indagato propose istanza di riesame ma il Tribunale di Siena, con

ordinanza del 27.1.2015 confermò oil provvedimento impugnato.

3. Ricorre per cassazione l’indagato personalmente deducendo:

Data Udienza: 06/05/2015

1. violazione di legge in quanto non commette il reato di appropriazione
indebita la parte vincitrice di una causa civile – a cui favore il giudice
abbia liquidato una somma a titolo di spese legali – che si rifiuti di
consegnarla al proprio avvocato che reclami come propria la suddetta
somma (citando Cass. Sez. 2 sent. n. 25344/2011); peraltro la società
assicuratrice aveva inviato il complessivo assegno all’indagato, difetta
quindi l’altruità della cosa;
2.

violazione di legge in relazione all’insussistenza dell’elemento soggettivo

dell’accredito sul conto corrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Il Tribunale ha argomentato che, nella specie, la somma sarebbe di
proprietà del difensore ai sensi dell’art. 13 comma 8 legge 31 dicembre 2012, n.
247 recante la nuova disciplina della professione forense, che prevede
l’obbligazione solidale delle parti in ipotesi di conclusione della controversia con
accordi di qualunque specie.
La norma testualmente stabilisce:
«8. Quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o
arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi forma, le parti sono
solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a
tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale
negli ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo espressa rinuncia al
beneficio della solidarietà».
Non si è avveduto il Tribunale che la citata disposizione, affermando che le
parti sono solidalmente tenute al pagamento, fa pur sempre riferimento ad una
obbligazione e non ad un diritto reale.
Non vi è perciò ragione di ritenere diversa la situazione rispetto a quella
affrontata da questa Corte, secondo la quale non integra il delitto di
appropriazione indebita la condotta della parte vincitrice di una causa civile che
trattenga la somma liquidata in proprio favore dal giudice civile a titolo di
refusione delle spese legali, rifiutando di consegnarla al proprio avvocato che la
reclami come propria (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25344 del 25/05/2011 dep.
24/06/2011 Rv. 250767).
La sentenza sopra richiamata ha così argomentato:
«In punto di diritto, è appena il caso di rammentare che i requisiti giuridici
perché possa ritenersi configurabile il reato di cui all’art. 646 c.p., sono i
seguenti: a) l’appartenenza dei beni oggetto di appropriazione, ad un terzo in
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del reato; l’indagato non avrebbe posseduto la provvista fino al momento

virtù di un titolo giuridico; b) il possesso legittimo dei suddetti beni da parte del
terzo; c) la volontà di ínterversione del possesso, la qual cosa si verifica quando
il possessore effettua e rende esplicito al proprietario del bene, l’interversione del
possesso ossia la sua volontà di non restituire più il bene del quale ha il
possesso; d) l’ingiusto profitto.
Infatti, la ratio dell’art. 646 c.p., “deve essere individuata nella volontà del
legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l’autonoma
disponibilità della res, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo

182001. Tanto premesso in diritto, occorre quindi verificare: a) se la somma
liquidata dal giudice a favore del Giannone fosse o meno di proprietà dell’avv.to
Leoni; b) se il Giannoni la possedeva in virtù di un qualche legittimo titolo di
possesso e, quindi, se effettuò l’interversione.
La risposta ai suddetti quesiti discende dalla disamina del rapporto che lega il
cliente all’avvocato.
In proposito è indiscusso che il suddetto rapporto ha alla base un rapporto di
mandato professionale a seguito del quale il professionista ha il diritto di
pretendere il pagamento della prestazione.
Il pagamento della suddetta prestazione costituisce, quindi, a carico del
cliente, un obbligo che discende dall’interno rapporto di mandato essendo
regolamentato dalle pattuizioni che le parti hanno stabilito in ordine al quantum
ed alle modalità.
Nell’ipotesi, poi, di una causa civile, le modalità con le quali il professionista
può farsi pagare sono due: 1) direttamente dal cliente ed indipendentemente
dalla liquidazione che il giudice effettua in sentenza; 2) direttamente dalla parte
soccombente: è l’ipotesi espressamente prevista dall’art. 93 c.p.c., che disciplina
la fattispecie, appunto, della distrazione delle spese. Nel caso in esame, è
pacifico che la somma in questione venne liquidata a favore non dell’avv. Leoni
ma direttamente a favore del Giannoni in quanto parte vincitrice a titolo di
spese. È chiaro, pertanto, che quella somma era di sua esdusiva proprietà ed
alla stessa il Giannoní era libero di dare la destinazione che più gli aggradava pur
essendo tenuto al pagamento della parcella dell’avv.to Leoni.
Costui, quindi, non poteva su di essa accampare alcun diritto potendo solo
richiedere la somma ritenuta congrua a titolo di parcella per l’opera professionale
svolta, direttamente nei confronti del suo cliente, somma che avrebbe potuto
essere, in ipotesi, sia minore che superiore a quella liquidata dal giudice.
Erra, quindi, il P. G. ricorrente quando sostiene che la somma liquidata aveva
un vincolo di destinazione a favore dell’avvocato. In realtà, la somma era di
proprietà esclusiva del Giannoni essendo stata liquidata a suo favore, sicché
nessuna appropriazione indebita è ipotizzabile proprio perché manca il principale

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\._

e le ragioni che giustificano il possesso della stessa”: Cass. 11628/1989 riv

presupposto giuridico ossia che la somma fosse di proprietà dell’avvocato e che il
Giannoni, possedendola per un legittimo titolo, effettuò l’interversione del
possesso rifiutandosi di consegnarla all’avvocato.
Nel respingere pertanto il ricorso può enunciarsi il seguente principio di
diritto: “non commette il reato di appropriazione indebita la parte vincitrice di
una causa civile – a cui favore il giudice abbia liquidato una somma a titolo di
spese legali – che si rifiuti di consegnarla al proprio avvocato che reclami come
propria la suddetta somma”».

somma fosse di proprietà del’avvocato, il quale vantava invece un diritto di
credito.

2.

L’ordinanza impugnata ed il decreto di sequestro probatorio devono

pertanto essere annullati senza rinvio.

3.

La decisione assunta rende superfluo l’esame del secondo motivo di

ricorso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro probatorio
disponendo la restituzione delle somme sequestrate all’avente diritto.

Così deciso il 06/05/2015.

Anche nel caso di specie non vi era il presupposto giuridico ossia che la

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