Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20603 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20603 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pauli Fabio Cesare, nato a Manduria il 14/04/1977;
avverso l’ordinanza del 08/07/2014 del Tribunale di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ciro
Angelillis, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito per l’indagato l’Avv. Salvatore Maggio, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 19.5.2014 il G.I.P. del Tribunale di Lecce, dispose la
custodia in carcere di Pauli Fabio Cesare, sottoposto ad indagini per i reati di cui
agli artt. 416 bis cod. pen. (capo A); 74 D.P.R. 309/1990 (capo B); 73 D.P.R.
309/1990 (capi E, F, H, I, 3, K, L, M, N, O, P, Q, R, S,V, X, Y, Z, Al, Bl, D1, E1,
Gl, H1, Il, 31, Kl, Li, Ml, Ni, 01, Ql, R1, S, Ti, Ul, V1, Yl, Z1, Xl, A2, B2,
D2, E2, F2, G2, H2, 12, 32, K2, L2, M2, N2, 02, P2, Q2, R2, S2, T2, U2, X2, Y2,
Z2, A3, B3, C3) e 56 629 cod. pen. (capo W).

2.

L’indagato propose istanza di riesame, ma il Tribunale di Lecce, con

ordinanza in data 8.7.2014 la rigettò.

Data Udienza: 06/05/2015

3. Ricorre per cassazione l’indagato, tramite il difensore, deducendo:
1.

violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza dei reati contestati in quanto
la motivazione è solo apparente, limitandosi a riproporre quanto
contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare, che, a sua volta, recepiva
acriticamente la richiesta del P.M.; nell’ordinanza genetica manca la
motivazione su ogni singola imputazione sia in ordine ai gravi indizi che

prova dell’a ffectio societatis;

non è dimostrato uno specifico ruolo

dell’indagato all’interno dell’associazione; le intercettazioni richiamate
sono generiche ed equivoche nel significato; la conversazione del
29.8.2011 fra Pauli e Pastorellì Davide non prova il reato associativo in
quanto i dialoghi sarebbero millanterie; anche l’ordinanza impugnata
presenta le stesse carenze di motivazione; anche in relazione al capo B
non vi sono elementi idonei a sostenere la tesi accusatoria; nella
conversazione del 2.12.2011 fra Pauli e Gualino Pasquale non si fa
riferimento ad attività associativa; anche in relazione ai singoli reati di
spaccio non vi sono gravi indizi posto che nelle conversazioni
intercettate si parla solo di appuntamenti; quanto alla tentata estorsione
le conversazioni attengono ad un proposta commerciale;
2.

violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle esigenze
cautelari ritenute salvaguardabili solo con la custodia in carcere;
l’indagato è incensurato e difettano attualità e concretezza di tali
esigenze;

3.

violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
adeguatezza della sola custodia in carcere a salvaguardare le esigenze
cautela ri.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, generico e svolge
censure di merito.
Si deve anzitutto premettere che secondo l’orientamento di questa Corte,
che il Collegio condivide, in tema di misure cautelari personali, l’ordinanza del
tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in
tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l’ordinanza
cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente,
con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento

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in ordine alle esigenze cautelari; quanto al reato associativo manca la

possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell’altro (Cass.
Sez. 6^ sent. n. 3678 del 17.11.1998 dep. 15.12.1998 rv 212685).
In ogni caso il Tribunale del riesame ha argomentato la sussistenza di gravi
indizi di colpevolezza richiamando e trascrivendo le intercettazioni sulla scorta
delle quali ha ritenuto l’operatività in Lizzano e dintorni di un sodalizio di tipo
mafioso. Segnatamente ha ritenuto che nella conversazione del 29.8.2011 Pauli
Fabio Cesare avesse confidato ad un amico l’organigramma dell’associazione,
inoltre ha citato brani di altre conversazioni e le dichiarazioni di collaboratori di

Quanto all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti ha citato la
conversazione fra Pauli e Gualano Pasquale, oltre ad un’altra serie di
intercettazioni.
Altrettanto il Tribunale ha fatto per i reati relativi agli stupefacenti e la
tentata estorsione (consistita nel cercare di imporre l’acquisto di determinata
merce).
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non
deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del
30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del
21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di
motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti
dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità
degli enunciati che la compongono.
A fronte di siffatto quadro motivazionale il motivo di ricorso da un lato non
affronta specificamente le singole argomentazioni, dall’altro prospetta una
interpretazione delle intercettazioni diversa da quella data dal Tribunale.
È però possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione del
significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito
soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il
giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale,
e la difformità risulti decisiva ed incontestabile. (Cass. Sez. 2^ sent. n. 38915
del 17.10.2007 dep. 19.10.2007 rv 237994).

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\.

giustizia.

2. Il secondo e terzo motivo di ricorso sono manifestamente infondati e
svolgono censure di merito.
Il Tribunale ha motivato la sussistenza di esigenze cautelari in ragione della
ritenuta sussistenza di una spiccata capacità a delinquere dell’indagato, inseritosi
in un sodalizio di elevatissima pericolosità, richiamando peraltro anche la
presunzione di cui all’art. 275 comma 3 quanto al reato di associazione di tipo
mafioso.
Tale motivazione appare anche adeguata, alla luce del principio affermato da

condotta tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il
giudizio sulla pericolosità sociale dell’imputato, oltre che sulla gravità del fatto
(Cass. Sez. 6 sent. n. 12404 del 17.2.2005 dep. 4.4.2005 rv 231323).
Tale motivazione appare adeguata a spiegare la scelta della custodia
cautelare in carcere quale unica misura idonea a prevenire il pericolo di
reiterazione di reati della stessa specie alla luce dell’orientamento di questa
corte, condiviso dal Collegio, secondo il quale in tema di scelta e adeguatezza
delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in
carcere non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono
inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con
argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei
reati nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che, nella
singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la
misura più adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa,
rimanendo in tal modo superata e assorbita l’ulteriore dimostrazione
dell’inidoneità delle subordinate misure cautelari (Cass. Sez. 1^ sent. n. 45011
del 26.9.2003 dep. 21.11.2003 rv 227304).
3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

4. Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del
ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1

ter,

delle

disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa
sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi

4

5._

questa Corte, secondo il quale In tema di esigenze cautelari, la modalità della

ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo
94.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 06/05/2015.

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