Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20563 del 28/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20563 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– DIVITTORIO MICHELE, n. 30/08/1966 a Barletta

avverso la sentenza della Corte d’appello di BARI in data 18/03/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. P. Gaeta, che ha chiesto annullarsi con rinvio l’impugnata
sentenza;

Data Udienza: 28/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. DIVITTORIO MICHELE ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte
d’appello di BARI emessa in data 18/03/2014, depositata in data 22/04/2014,
con cui, in parziale riforma della sentenza del GUP del tribunale di TRANI del
14/06/2013, operato il giudizio di bilanciamento in termini di prevalenza tra le
attenuanti generiche e la contestata recidiva specifica, veniva rideterminata sia

il rito abbreviato richiesto, sia la pena accessoria dell’interdizione dei pubblici
uffici nella misura di anni 5, per il reato di detenzione illecita a fini di cessione a
terzi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, secondo le modalità esecutive e
spazio – temporali meglio descritte nel capo di imputazione (art. 73, d.P.R. n.
309 del 1990: fatto contestato come commesso in data 29/01/2013).

2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti
tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tali motivi, che attesa l’omogeneità dei profili di doglianza,
possono essere congiuntamente trattati, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c) ed
e), c.p.p., sotto il profilo della violazione degli artt. 533, comma primo, cod.
proc. pen., 73, comma 5, T.U. Stup. e 2, legge 21/02/2014, n. 10 e correlati
vizio di difetto ed illogicità della motivazione.
La censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello
immotivatamente ritenuto sussistente la fattispecie del comma primo e non
quella del comma quinto dell’art. 73, T.U. Stup., che avrebbe dovuto trovare
applicazione anche per il principio del favor rei, attesa la determinatezza del
grado di purezza, del principio attivo della sostanza in sequestro, delle dosi
effettivamente estraibili, del rapporto percentuale multiplo con il valore soglia
stabilito dalla tabella allegata al D.M. dell’11/04/2006; inoltre, si aggiunge, la
regola dell’ogni oltre ragionevole dubbio introdotta nel disposto dell’art. 533 cod.
proc. pen. avrebbe imposto alla Corte d’appello di spiegare quali fossero le
particolari “modalità, mezzi o circostanze dell’azione” che rendevano
inapplicabile al ricorrente la disciplina più favorevole introdotta dalle legge n. 10
del 2014 che ha sancito l’autonomia del fatto lieve ex art. 73, comma quinto,
T.U. Stup.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2

la pena principale in anni 3 di reclusione ed € 10.000,00 di multa, già ridotta per

3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

4. Ed invero, dall’impugnata sentenza emerge che all’udienza tenutasi davanti
alla Corte d’appello in data 18/03/2014 l’imputato presente ed il difensore
avevano rinunciato al motivo di appello inerente la responsabilità penale,
confermando solo quelli concernenti la determinazione della pena e la

aveva esposto le proprie conclusioni in ordine alla pena indicandola nella misura
poi in concreto rideterminata dalla Corte d’appello, conclusioni su cui il difensore
si era associato.
I motivi di censura, per come aggregati attesa l’omogeneità delle doglianze, in
realtà si dolgono dell’omessa motivazione da parte della Corte d’appello in ordine
alle ragioni per le quali non è stata ritenuta configurabilità nel caso di specie
l’autonoma fattispecie di cui all’art. 73, comma quinto, T.U. Stup., muovendo
dunque doglianze che erano state definitivamente superate con la rinuncia al
motivo di appello sulla responsabilità, che, ovviamente, determinava anche la
rinuncia alla derubricazione del reato nell’ipotesi autonoma “lieve” (essendo, del
resto, al momento dell’udienza d’appello già entrata in vigore la modifica
normativa che ha trasformato l’ipotesi in esame da attenuante a fatto
autonomo), con contestuale irrevocabilità del capo dell’impugnata sentenza di
primo grado contenente il riconoscimento della responsabilità per l’ipotesi
dell’art. 73, comma primo, T.U. Stup., residuando l’impugnazione solo sul
trattamento sanzionatorio, s’intende, per il reato come qualificato ai sensi del
predetto comma primo (e, del resto, ciò si evince logicamente dal fatto di essersi
il difensore “associato” alla proposta rideterminazione della pena da parte del
PG, rideterminazione ovviamente operata muovendo dalla pena base del comma
primo).

5.

Pertanto, poiché, ex art. 597, comma primo, cod. proc. pen., l’effetto

devolutivo dell’impugnazione circoscrive la cognizione del giudice del gravame ai
soli punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, una volta che
essi costituiscano oggetto di rinuncia, non può il giudice di appello prenderli in
considerazione, né può farlo il giudice di legittimità sulla base di un’ipotetica
implicita revoca di tale rinuncia, stante l’irrevocabilità di tutti i negozi
processuali, ancorché unilaterali (v., sul punto: Sez. 2, n. 3593 del 03/12/2010 dep. 01/02/2011, Izzo, Rv. 249269). Ciò comporta, quindi, che la rinuncia
parziale ai motivi d’appello determina il passaggio in giudicato della sentenza
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comparazione delle attenuanti già concesse; all’esito, in sede di conclusioni, il PM

gravata limitatamente ai capi oggetto di rinuncia, di talché è inammissibile il
ricorso per cassazione con il quale si propongono censure attinenti ai motivi
d’appello rinunciati nè possono essere rilevate d’ufficio le questioni relative ai
medesimi motivi (v., da ultimo, in senso conforme: Sez. 4, n. 9857 del
12/02/2015 – dep. 06/03/2015, Barra ed altri, Rv. 262448 relativa a fattispecie
– analoga a quella in esame – in cui gli imputati avevano rinunciato ai motivi di
appello concernenti la responsabilità penale).

oggetto di rideterminazione da parte della Corte territoriale che ha, infatti,
recepito le conclusioni “congiunte” delle parti sulla pena – il ricorso si appalesa
dunque inammissibile.

6. Il ricorso dev’essere, conclusivamente, dichiarato inammissibile. Segue, a
norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a
favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma
che si stima equo fissare, in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 28 aprile 2015

Non essendovi profili di censura afferenti al trattamento sanzionatorio come

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