Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20561 del 21/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20561 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Tuccio Rosario, nato a Torino il 19/11/1970
avverso la sentenza di 27/10/2014
della Corte di Appello di Torino
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano;
udito il P.M., in persona del Sost.Proc.Gen. Marilia Di Nardo,
che ha concluso,chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

Data Udienza: 21/04/2015

1.La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 27/10/2014, confermava la sentenza del
Tribunale di Torino, emessa in data 18/04/2013, con la quale Rosario Tuccio era stato
condannato alla pena (sospesa alle condizioni di legge) di anni 1 di reclusione per il reato di
cui all’art.4 D.L.vo 74/2000, per avere, quale socio unico e legale rappresentante della “Cet
Costruzioni srl”, al fine di evadere le imposte sui redditi, indicato nella dichiarazione annuale,
relativa all’anno 2006, elementi passivi fittizi (pari a complessivi euro 779.012,13).
Nel disattendere i motivi di appello, rilevava la Corte territoriale che, come già evidenziato
dal primo giudice, la documentazione prodotta dalla parte in sede di verbale di constatazione
(fotocopie di contratti), non poteva essere presa in considerazione dal momento che gli
accertamenti disposti sulle società Edilcalabria e GES avevano avuto esito negativo (non erano
stati rinvenuti né gli amministratori, né le sedi).
Di nessuna utilità doveva, poi, ritenersi l’escussione degli amministratori delle predette
società, sia per la genericità dell’oggetto della loro deposizione, sia perché non si sarebbe
potuto comunque superare l’inidoneità della documentazione a supportare la versione
difensiva.
2.Ricorre per cassazione Rosario Tuccio, denunciando, la inosservanza e/o erronea
applicazione della legge penale ed il difetto di motivazione, con riferimento all’omessa
applicazione dell’istituto della messa alla prova.
Come risulta dalla stessa sentenza (pag.4), in sede di discussione era stata avanzata
richiesta di “messa alla prova”. Su tale richiesta, avanzata tempestivamente (essendo stata la
norma introdotta di recente con la I.n.67/2014), la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi.
Con il secondo motivo denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva.
Già nel giudizio di primo grado era stata fatta richiesta di verifica in ordine alla genuinità e
validità dei documenti contabili prodotti da CET srl, in sede di contraddittorio con l’Agenzia
delle Entrate, e di escussione dei testi Vilardi Francesco e Bavaro Salvatore in ordine ai
rapporti intercorsi con le società, di cui i predetti erano amministratori. Tale richiesta veniva
riproposta in sede di appello.
I Giudici di merito, senza alcun approfondimento istruttorio sul punto, hanno
apoditticamente ritenuto inattendibili ed invalide le schede contabili relative alle due società.
Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine
all’affermazione di responsabilità, non avendo tenuto conto la Corte di merito della
documentazione prodotta in sede di proceduta di accertamento con adesione, dalla quale, in
ogni caso, emergeva il non superamento della soglia percentuale di punibilità, di cui all’art.4
D.L.vo 74/2000.
Con il quarto motivo, infine, denuncia la violazione di legge in ordine alla qualificazione
giuridica dei fatti, essendo eventualmente configurabile l’ipotesi di cui all’art.2 e non quella
contestata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. In ordine alla richiesta di “messa alla prova”, avanzata in sede di discussione nel giudizio
di appello, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sez.F.n.35717 del 31/07/2014), nel
giudizio di cassazione l’imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la
messa alla prova di cui all’art.168-bis cod.pen., né può altrimenti sollecitare l’annullamento
della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito, per l’incompatibilità del nuovo istituto
con il sistema delle impugnazioni e per la mancanza di una specifica disciplina transitoria (In
motivazione viene evidenziato che la mancata applicazione della disciplina della sospensione
del procedimento con messa alla prova nei giudizi di impugnazione pendenti alla data della sua
entrata in vigore, stante l’assenza di disposizioni transitorie, non determina alcuna lesione del
principio di retroattività della “lex mitior”.
Ed è stata anche ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art.464 bis, comma 2, cod.proc.pen., per contrasto con l’art.3 Cost., nella parte in cui non

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RITENUTO IN FATTO

3. Quanto al “merito”, la Corte territoriale, richiamando anche la argomentata disamina della
sentenza di primo grado, ha, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ritenuto che
non potessero esservi dubbi di sorta in ordine alla responsabilità penale dell’imputato.
La fittizietà degli elementi passivi, indicati nella dichiarazione annuale relativa al periodo di
imposta 2006, era, invero, inequivocabilmente, confermata dal fatto che: a) le società
Edilcalabria e Ges Costruzioni, emittenti le fatture, non risultavano dalla contabilità tra i
fornitori presenti nel 2006; b) non vi erano contratti di appalto con tali società; c) le prime
fatture relative a dette società risultavano emesse solo a partire dal 2007; d) non erano emersi
concreti elementi per ritenere che le prestazioni indicate nelle fatture in questione fossero state
eseguite nel 2007.
Dagli accertamenti eseguiti era, inoltre, emerso che le società sopra indicate non avevano
neppure le sedi sociali (la sede indicata dalla GES risultava sconosciuta, mentre quella della
Edilcalabria corrispondeva a “via della Casa comunale n.1”). Non erano, infine, stati rinvenuti
gli amministratori, né il depositarlo delle scritture contabili.
In presenza di siffatti inequivocabili elementi, ha ritenuto la Corte territoriale che fosse
assolutamente non necessario e, comunque, irrilevante la rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale sollecitata dalla difesa.
Il ricorrente, invece, di contrastare specificamente tale motivazione, continua ad insistere
sulla decisività delle acquisizioni probatorie richieste.
4. In ordine alla qualificazione giuridica ckfatti, va innanzitutto rilevato che, a prescindere
dalla normativa richiamata (frutto evidentemente di un mero errore materiale), all’imputato è
stato contestato di avere, al fine di evadere le imposte sui redditi, indicato nella dichiarazione
relativa all’anno 2006, elementi passivi fittizi. La contestazione “in fatto” riguardava, quindi,
una “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti” (art.2 Dl.vo 74/2000) e per tale imputazione è intervenuta la sentenza di
condanna.
Peraltro il ricorrente, nel lamentare la erroneità della qualificazione giuridica (per essere
stato nell’imputazione indicato l’art.4 D.L.vo 74/2000 e quindi un’ipotesi di reato meno grave)
finisce per richiedere una “reformatio in peius” (in suo danno) della sentenza impugnata.
5. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, al versamento in favore della cassa delle
ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro 1.000,00, ai sensi
dell’art.616 cod.proc.pen.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 21/04/2015
Il Consiglier est.

DEPOSIWA !N CANCELLERIA

Il Presiderg9

consente l’applicazione dell’istituto della sospensione con messa alla prova ai procedimenti
pendenti al momento dell’entrata in vigore della L.n.67/2014, quando sia già decorso il termine
finale da esso previsto per la presentazione della relativa istanza, in quanto trattasi di scelta
rimessa alla discrezionalità del legislatore e non palesemente irragionevole, come tale
insindacabile (Cass. sez. 6 n.47587 del 22/10/2014).

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