Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20561 del 19/02/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 20561 Anno 2016
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRANCHESE DOMENICO N. IL 08/03/1969
avverso l’ordinanza n. 71/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
03/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
lette/se);Aire-le conclusioni del PG Dott. t/t re)

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Uditi dife

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Data Udienza: 19/02/2016

FATTO E DIRITTO

1. Tranchese Domenico, a mezzo del proprio difensore, ha proposto
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Napoli del
3/7/2014, depositata il 30/9/2014, con la quale venne rigettata la sua istanza di
riparazione per l’ingiusta detenzione subita in regime di custodia cautelare dal
4/7/2008 all’11/2/2011 e in regime di arresti dorniciliari fino al 3/5/2012, con
l’accusa di aver violato gli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309/1990; accusa dalla

2. La Corte territoriale aveva escluso la ricorrenza dell’invocato istituto
reputando che l’irrogazione della misura aveva trovato significativa causa nella
condotta gravemente colposa del richiedente, il quale aveva intrattenuto intensa
frequentazione con soggetti pluripregiudicati e, in particolare con la rete di
spacciatori facenti capo a De Falco Domenico e Parenti Raffaella. L’intensità dei
rapporti emergeva dalle intercettazioni telefoniche, nonché dalle stesse
dichiarazioni degli indagati.
In definitiva, la Corte territoriale rimproverava al Tranchese di avere
tenuto comportamento gravemente colposo mantenendo contatti assidui con
soggetti dediti allo spaccio e/o al consumo di cocaina, condividendo il linguaggio
criptico e dando mostra di avere piena consapevolezza dell’illecito traffico.

3. Il Tranchese col proposto ricorso per cassazione chiede l’annullamento
dell’ordinanza impugnata

denunziando vizio motivazionale in questa sede

rilevabile e violazione di legge.
Il ricorrente, premesso che un cospicuo quantitativo di risultanze
captative non erano evocabili, in quanto dichiarate inutilizzabili dal giudice del
giudizio penale, e che nel resto emergeva la sussistenza di una serie di contatti
tenuti dal Tranchese al solo fine di procurarsi lo stupefacente di cui faceva uso
personale, nel mentre gli inquirenti erano stati tratti in inganno dalle propalazioni
della Parenti, tossicomane e mitomane, assume l’insussitenza della colpa grave
sinergica.

4.

Con memoria pervenuta il 13/2/2016 l’Avvocatura dello Stato,

nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedeva rigettarsi il
ricorso.

5. Il ricorso deve essere rigettato.

quale era stato poi assolto nel giudizio d’appello.

5.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente
orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza
n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o
concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo
autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare
riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del

incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in
modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo
istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della
libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecita detenzione
di stupefacente.

5.2. La Corte territoriale, nel caso di specie, ha puntualmente individuato
in cosa sia consistita la colpa grave del ricorrente.
Il Tranchese, secondo le plurime ed univoche risultanze con grave
trascuratezza tenne, durante il periodo fatto oggetto di osservazione
investigativa, condotta tale da contribuire significativamente alla formazione del
convincimento che fosse coinvolto nell’illecito traffico.
Non assume rilievo di sorta la constatazione che, successivamente, il
vaglio probatorio ha smentito l’ipotesi accusatoria (ovvio presupposto dell’istituto
è che il soggetto sia stato liberato dall’accusa), quel che rileva è che al tempo
della decisione sulla misura cautelare la condotta dell’indagato sia stata tale da
aver causalmente contribuito alla formazione del quadro apprezzabile d’accusa.
L’eventuale venir meno di fonti di prova (le asserite dichiarazioni del
collaboratore di giustizia) non ha alcuna relazione con la condotta colpevole
addebitata al ricorrente, la quale risulta aliunde dimostrata.
Infine, deve rilevarsi che la dichiarazione d’inutilizzabilità di una parte
delle intercettazioni (il ricorrente le indica a foglio 8 del ricorso) non fa venire
meno la prova della colpa grave sinergica, emergente dal residuo probatorio
(intercettazioni non coinvolte dalla declaratoria in primis). Senza contare che la
circostanza dell’inutilizzabilità viene allegata, peraltro senza aver cura di
ricollegarla puntualmente ai richiami operati nel provvedimento impugnato, ma
non compiutamente dimostrata.

convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è

5.3. Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel
momento in cui fa applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto al
risarcimento in esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe
su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo,
della regola che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, cod. civ.), deve
intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi
dell’art. 314 comma 1 c.p.p., non solo la condotta volta alla realizzazione di un
evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o

volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il
parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza
comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e
di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità,
ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui
interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al
riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art.
314 c.p.p., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per
evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di
leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non
voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si
sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o
nella mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995,
n. 43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia
processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante
trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento
restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non
integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del
giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. IV, 16/10/2007, n. 42729).

6. All’epilogo consegue il pagamento delle spese processuali e di quelle
legali in favore del Ministero, nella misura di giustizia di cui in dispositivo.

P.Q.M.

meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al pagamento delle spese in favore del Ministero dell’Economia che
liquida in C. 1.000,00= oltre accessori come per legge.

Così deciso nella camera di consiglio del 19/2/2016.

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