Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20550 del 26/02/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 20550 Anno 2016
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: BELLINI UGO

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sul ricorso proposto da:
CENDON LAVINIA N. IL 04/10/1982
avverso la sentenza n. 801/2014 CORTE APPELLO di TRIESTE del 22/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/02/2016 la relazione fatta
dal Consigliere Dott. UGO BELLINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. OSCAR CEDRANGOLO
che ha concluso per 1-4″‘LA LA-tklA 11-14t-u

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Udit i difensor Avv.;

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Data Udienza: 26/02/2016

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di Appello di Trieste con sentenza pronunciata in data 22.2.2014
confermava la sentenza del Tribunale di Gorizia del 29.4.2014 che aveva ritenuto
Cendon Lavinia colpevole dei reati di mancato arresto sul luogo del sinistro
automobilistico dalla stessa cagionato e per omessa assistenza al pedone investito
nella suddetta circostanza di cui all’art.189 VI e VII comma C.d.S. e, ritenuta la

dell’avvenuto risarcimento del danno, la condannava alla pena di mesi quattro di
reclusione, pena convertita in € 30.000 di pena pecuniaria, da versarsi in 30 rate
mensili e con il riconoscimento della sospensione condizionale della pena;

2.La corte territoriale evidenziava in motivazione la sussistenza del reato
contravvenzionale della omessa assistenza al pedone investito, essendo risultata dagli
atti la consapevolezza da parte del conducente dell’avvenuto investimento del pedone
sulle strisce pedonali e della libera scelta di darsi alla fuga allontanandosi
volontariamente dal luogo del sinistro senza sincerarsi delle condizioni fisiche della
persona investita, senza fornire le proprie generalità e ignorando l’eventuale
intervento di altri soccorritori. Sotto diverso profilo il giudice di appello riconoscendo
alle due violazioni contestate una autonomia ontologica e una diversità dei beni
giuridici tutelati, escludeva che ricorresse ipotesi di assorbimento ovvero di concorso
formale di reati evidenziando che di era in presenza di cumulo materiale.

3. Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione Cendon Lavinia
tramite il proprio difensore affidandosi ad un duplice motivo di ricorso; con il primo
prospettava violazione di legge in relazione all’art.189 comma 7 C.d.S. sul
presupposto che per integrare il reato di omessa assistenza in ipotesi di incidente
stradale non é sufficiente accertare se il conducente, cui il sinistro é riconducibile, ha
avuto la consapevolezza della necessità del soccorso, ma ancor prima deve essere
verificata la circostanza obiettiva che tale assistenza non sia stata apportata da altri
soggetti.
La ricorrente riportava nella impugnazione uno stralcio delle dichiarazioni di
persona informata dei fatti la quale riferiva in ordine all’assistenza prestata al pedone
da taluni soccorritori nella immediatezza del sinistro; il dichiarante riferiva inoltre di
avere fotografato la targa del mezzo investitore e che la sua ragazza aveva chiamato
le forze dell’ordine che in breve tempo erano intervenute unitamente all’ambulanza.

con il secondo motivo deduceva violazione di legge in relazione al vincolo della
continuazione ravvisato dal giudice di merito tra le violazioni previste dai commi VI e

continuazione, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e

VII dell’art.189 C.d.S., assumendo al contrario che la violazione all’obbligo di fermarsi
doveva ritenersi assorbita nella ipotesi di obbligo di prestare assistenza, in quanto la
condotta descritta nella prima fattispecie risultava del tutto ricompresa,
ontologicamente, nella seconda. Chiedeva pertanto l’annullamento della impugnata
sentenza.

4. Con motivo aggiunto depositato con memoria 20.1.2016 la difesa della

particolare tenuità di cui all’introdotta disposizione normativa di cui all’art.131 bis
c.p.p. assumendo che l’istituto era applicabile anche ai giudizi pendenti dinanzi al
giudice di legittimità trattandosi di norma sostanziale di immediata applicabilità e
dall’altra che ricorrevano i presupposti oggettivi e soggettivi per la sua applicazione in
concreto, stante la scarsa offensività della condotta e la incensuratezza della
prevenuta.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con riferimento al primo motivo di ricorso risulta in atto una evoluzione
dell’orientamento della giurisprudenza del S.C. con riferimento al requisito, indicato
dalla fattispecie contestata di cui all’art.189 comma VII C.d.S., della necessità di
assistenza alle persone ferite, il quale originariamente interpretato quale condizione
obiettiva di punibilità è stato successivamente sussunto nell’ambito dell’elemento
psicologico del reato. ‘E stato in particolare ritenuto che il dolo del conducente non
deve attenere esclusivamente al fatto dell’incidente provocato o comunque in cui sia
risultato coinvolto, ma deve riguardare anche la circostanza del danno occorso alle
persone e alla necessità di una assistenza da prestare alle stesse, riconducibile
quantomeno ad aspetti di dolo eventuale ossia alla consapevolezza del verificarsi di
un incidente determinato dal proprio comportamento che sia concretamente idoneo a
produrre eventi lesivi, senza che debba riscontrarsi l’esistenza di un effettivo danno
alle persone (sez.IV, 6.3.2012 n.17220). Nondimeno la esigenza di provvedere al
soccorso costituisce elemento obiettivo della fattispecie che deve essere abbracciato,
sia a pure in chiave eventuale, da un profilo intellettivo del conducente il quale, preso
atto dell’incidente e delle sue caratteristiche, dovrà essersi rappresentato il fatto delle
conseguenze lesive occorse alle persone coinvolte (sez.IV, 30.1.2014 n.14610).

‘E stato altresì affermato che la valutazione della prospettazione da parte del
conducente degli effetti lesivi del sinistro per la incolumità personale dei soggetti
coinvolti, con conseguente rappresentazione della necessità di prestare assistenza, va
condotta ex ante, e pertanto sulla base della situazione che si era profilata dinanzi al

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ricorrente era a richiedere l’applicazione della causa di non punibilità del fatto di

conducente al momento dell’incidente. Pertanto si è detto che l’obbligo di prestare
assistenza viene meno nel caso di assenza di lesioni, di morte o allorché altri abbia già
provveduto e non risulti più necessario, ne’ utile o efficace, l’ulteriore intervento
dell’obbligato, circostanze che non possono essere ritenute “ex post”, dovendo
l’investitore essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione (sez.IV,
25.11.1999 n.5416; 17.12.2008 n.15867).

trovava alla guida della propria autovettura e fu sbalzato in terra; la conducente,
dopo essersi arrestata aveva poi ripreso la marcia senza sincerarsi della necessità di
assistenza da parte della persona offesa, riferendo agli inquirenti, che
successivamente la avevano rintracciata, di essersi spaventata per ciò che è accaduto
e di essersi allontanata dal luogo del sinistro.
A tale proposito argomenta la difesa del ricorrente che la corte territoriale era
incorsa in violazione di legge della regola sancita dall’art. 189 VI comma cod.strada in
quanto i giudici di merito avevano omesso di verificare se la persona offesa avesse
ricevuto da terzi l’assistenza materiale e morale necessaria, evidenziando che sulla
base degli elementi acquisiti nel giudizio di merito, risultava che alla persona offesa
era stato somministrato un ausilio morale e sanitario tempestivo e congruo, così da
escludere la necessità del soccorso da parte della Cendon.
3. Le doglianze risultano infondate laddove è stato ampiamente affermato dalla
giurisprudenza, anche risalente di questa Corte che la disposizione di cui all’art.189
comma VII Cod.Strada si pone come reato di pericolo astratto, che richiede che la
condotta dei consociati, in presenza di sinistro stradale da cui derivino lesioni alla
persona offesa, si atteggi ad un obbligo di solidarietà e di intervento che ha come
fulcro l’assistenza del consociato in difficoltà; si tratta in particolare di una condotta al
cui rispetto l’ordinamento è interessato a prescindere da quanto verificato in merito
al fatto, a fronte della esigenza di tutela anticipata degli interessi ritenuti rilevanti dal
legislatore proprio perché esonera di procedere alla valutazione in ordine alla
concretezza del pericolo imponendo nell’immediato di conformarsi alla condotta
prescritta (sez.IV, 25.11.1999 n.5416). Ne consegue pertanto che dovendo tali fatti
che escludono la responsabilità del conducente investitore essere accertati prima che
lo stesso si allontani dal luogo del sinistro, il reato è configurabile tutte le volte che
questi non si fermi e si dia alla fuga a nulla rilevando che in concreto l’assistenza sia
stata prestata da altri, qualora l’investitori ignori la circostanza perché fuggito (sez.IV,
2.12.1994 n.4380 rv. 201501), dovendo l’investitore essersene reso conto in base ad
obiettiva constatazione che nel caso in specie non ricorre, essendo al contrario emerso
che la Cendon omise del tutto di verificare gli esiti, peraltro potenzialmente

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2. Orbene nel caso in questione il pedone venne attinto dalla Cendon che si

gravemente lesivi, della propria condotta di guida sul pedone investito. Il motivo di
ricorso deve essere disatteso.

4. Del tutto infondato è poi il secondo motivo di ricorso il quale prospetta ipotesi di
assorbimento tra le due fattispecie di fuga e di omissione della prestazione di
assistenza in ipotesi di incidente di cui ai commi VI e VII dell’art.189 Cod. della Strada
atteso che il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione

dell’art. 189 Cod. Strada, configurano due fattispecie autonome e indipendenti, con
diversa oggettività giuridica, essendo la prima finalizzata a garantire l’identificazione
dei soggetti coinvolti nell’investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro,
mentre la seconda ad assicurare il necessario soccorso alle persone rimaste ferite,
sicché è ravvisabile un concorso materiale tra le due ipotesi criminose

(sez.IV,

10.10.2014 n.3783), tenuto altresì che ancora più recentemente è stato affermato che
comma sesto ed il comma settimo del citato art. 189 prevedono due distinte
fattispecie di reato, di talché non è configurabile alcuna violazione del principio
giuridico del ne bis in idem nel caso in cui le condanne per i due differenti reati siano
inflitte con sentenze pronunciate in epoche diverse (sez.IV, 6.2.2015 n.9167);

5. In relazione alla richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità di cui
all’art.131 bis c.p., sebbene l’istituto si presenti di immediata applicazione anche ai
giudizi pendenti in appello e dinanzi al giudice di legittimità, trattandosi di disposizione
normativa di pregnante rilevanza sostanziale, anche per gli effetti di cui all’art.2 co. 4
c.p., la giurisprudenza di questa corte ha evidenziato che ai fini dell’accertamento dei
presupposti applicativi, che attengono appunto alla non abitualità della condotta e alla
modesta offensività della azione e degli effetti di essa come interpretati dall’art.133
c.p., il giudice di legittimità nello svolgere tale secondo apprezzamento non potrà che
basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito, tenendo conto, in modo
particolare della presenza nel provvedimento impugnato di giudizi già espressi che
abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto (sez.III, 8.4.2015
n.15449; sez.IV 17.4.2015 n.22381; da ultimo S.U. 25.2.2016 Tushaj non ancora
massimata). Ma se questo è il criterio utilizzabile dal giudice di legittimità per
accertare la sussistenza dei presupposti della declaratoria di non punibilità in presenza
di particolare tenuità dell’offesa, quando sia la stessa sentenza impugnata a offrire gli
elementi per apprezzare la modesta gravità e tenue lesività del fatto, sulla scorta dei
parametri richiamati dalla nuova disposizione del 131 bis c.p. (modalità della condotta
ed esiguità del danno), deve escludersi nel caso in specie riconoscimento del suddetto
beneficio.

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dell’assistenza occorrente, previsti rispettivamente dal sesto e dal settimo comma

6. Invero difetta nel caso in specie il requisito della modestia del fatto reato,
inteso nella sua obiettività, avuto riguardo in particolare alle modalità della condotta e
all’elemento psicologico, che pure assumono rilievo ai sensi dell’art.133 n.1 e 3
cod.pen., requisito espressamente richiamato dalla disciplina introdotta con l’art.131
bis cod.pen., atteso il comportamento palesemente elusivo e offensivo della Cendon la
quale non solo si dette alla fuga, omettendo altresì di prestare assistenza, nonostante
la rilevanza potenzialmente molto lesiva della sua condotta, ma venne

avevano fotografato la targa del veicolo, finendo per ammettere le proprie
responsabilità soltanto dopo essere stata rintracciata, evidenziando pertanto assoluta
non cure degli obblighi connessi alla guida di veicoli e alle responsabilità inerenti la
circolazione stradale. Anche questo motivo deve pertanto essere rigettato e il ricorso
integralmente disatteso con condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26.2.2016.

successivamente individuata solo grazie all’ausilio fornito da alcuni passanti che

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