Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20550 del 16/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20550 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI PUORTO GIUSEPPE N. IL 05/11/1962
avverso la sentenza n. 2273/2012 TRIBUNALE di PISA, del
24/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 16/04/2015

L

35866/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 settembre 2013 il Tribunale di Pisa ha condannato Di Puorto
Giuseppe alla pena di € 6500 di ammenda per il reato di cui agli articoli 100, comma 3, e 159,
comma 2, lettera a), d.lgs. 81/2008 per avere omesso, quale datore di lavoro in un cantiere
edile, di attuare quanto previsto nel Piano Operativo di Sicurezza e nel Piano di Sicurezza e

lavorazioni di muratura interna ed esterna (capo A), e per il reato di cui agli articoli 18, comma
1, lettera d), e 55, comma 5, lettera d), d.lgs. 81/2008 per avere omesso, quale datore di
lavoro in un cantiere, di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione
individuale (capo B).
2. Ha presentato ricorso il difensore, ex articolo 606, primo comma, lettere b) ed e), c.p.p.,
per avere il Tribunale ritenuto inattendibile una deposizione decisiva assunta nel dibattimento
da parte del teste Di Puorto e di essere quindi pervenuto ad affermare la penale responsabilità
dell’imputato mediante una motivazione carente, contraddittoria e manifestamente illogica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Nell’unico motivo, lamenta il ricorrente che il giudice di merito non abbia fondato il suo
accertamento sulle dichiarazioni del teste Di Puorto, il quale si era attribuito la mancanza di
protezione (“Io, l’ho tolta io la stecca per lavorare meglio”, “È stata una iniziativa mia”),
secondo il ricorrente “probabilmente” per “velocizzare il lavoro che stava compiendo”; e solo
dove l’operaio stava lavorando il ponteggio non avrebbe avuto protezioni interne. Irragionevole
sarebbe stato, dunque, estendere il dovere di vigilanza del datore di lavoro “fino
all’accertamento costante del rispetto, da parte dei lavoratori, delle disposizioni in termini di
sicurezza sul lavoro”; e d’altronde, nella motivazione offerta, il giudice non illustrerebbe per
quali ragioni il suddetto teste sarebbe del tutto inattendibile, risultando “assolutamente
insufficiente il riferimento alla mera difformità delle dichiarazioni rese dal suddetto teste
rispetto a quanto affermato dall’ing. Cini”, come pure la conferma da parte del lavoratore della
fotografia n.5.
È evidente che, pur formalmente come vizio motivazionale, il ricorrente adduce una questione
di fatto, ovvero la sua non condivisione della valutazione del giudice sulla inattendibilità del
teste Di Puorto Mario, perseguendo inammissibilmente una verifica di merito dal giudice di
legittimità. D’altronde, la motivazione della sentenza non patisce alcun vizio riconducibile

Coordinamento quanto alle misure di prevenzione e alle procedure operative da attuare per le

all’articolo 606, primo comma, lettera e), c.p.p., essendo congrua ed esente da manifeste
illogicità nella ricostruzione dei fatti. Analizza invero adeguatamente il giudice di merito il
compendio probatorio, riportando dettagliatamente le dichiarazioni del teste Cini Andrea, in
servizio presso la Usl 5 di Pisa, che aveva effettuato un sopralluogo nel cantiere e constatato
che il ponteggio distava 45 cm dall’edificio, laddove la legge prevede 20 cm (si osserva per
inciso che una tale distanza del ponteggio — che lo rendeva ictu °culi pericoloso – non poteva
certo essere attribuita ad una contingente iniziativa di un solo operaio come Di Puorto Mario

della lavorazione che stavano effettuando gli operai e che questi, in siffatta situazione,
avrebbero dovuto essere dotati di imbracatura di sicurezza contro il rischio di caduta dall’alto,
imbracatura di sicurezza che peraltro non avevano. Il teste Cini, poi, rimarca ancora il
Tribunale, aveva dichiarato di avere interrogato specificamente l’imputato sui dispositivi di
protezione individuale, senza che questi ne mostrasse alcuno presente in cantiere. Ha altresì
evidenziato il giudice di merito che le fotografie acquisite agli atti confermavano la
conformazione del ponteggio e l’assenza di imbracatura di chi vi lavorava, dando atto del fatto
che proprio il teste Di Puorto Mario, pur avendo “reiteratamente affermato che il ponteggio è
ammontato a circa 15/20 cm dal lato dell’edificio”, aveva confermato la fotografia, e
deducendo da ciò, del tutto logicamente, l’inattendibilità di quanto dichiarato da lui sul
punteggio.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza,
con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale
emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di
Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 16 aprile 2015

Il Consigliere Estensor

Il Presidente

per accelerare i lavori), che in un tratto era privo di parapetto e di fermapiedi per esigenze

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