Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20546 del 14/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20546 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
– GALLAI CRISTIANO, n. 13/01/1971 ad Udine

avverso la sentenza della Corte d’appello di TRIESTE in data 12/02/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. V. D’Ambrosio, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. M. Benzoni, che ha chiesto
accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 14/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1.

GALLAI CRISTIANO ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte

d’appello di TRIESTE emessa in data 12/02/2014, depositata in data
19/02/2014, con cui veniva riformata la sentenza emessa in data 25/06/2012
dal Tribunale di UDINE, in esito all’impugnazione proposta dal PG presso la Corte
d’appello, dichiarandolo colpevole del reato di omesso versamento delle ritenute

per un importo complessivo superiore ad euro 8.000,00, condannandolo alla
pena di mesi 2 di reclusione ed C 150,00 di multa (fatti contestati come
commessi per le mensilità da ottobre 2007 ad aprile 2008 e per la mensilità di
giugno 2008).

2. Con il ricorso per cassazione, proposto personalmente dal ricorrente, vengono
dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. Att. Cod. Proc. Pen.

2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c),
Cod. Proc. Pen., in particolare per inosservanza di norme processuali, in
relazione agli artt. 157 e segg. Cod. proc. pen.
In particolare, la censura investe l’impugnata sentenza per aver i giudici di
appello disposto la notifica dell’avviso di accertamenti INPS con contestuale
invito alla regolarizzazione del pagamento di quanto dovuto nel termine di tre
mesi dalla ricezione; si eccepisce, tuttavia, che la notifica venne eseguita
all’indirizzo di residenza del ricorrente in Gemona del Friuli, senza alcuna verifica
dell’attualità dell’indirizzo medesimo, in assenza di formale elezione di domicilio;
in realtà, si osserva, da tale indirizzo di residenza il ricorrente era stato
cancellato per irreperibilità dal 20/08/2013 a seguito dell’ultimo censimento
nazionale del 2011 alla data del 9/10/2011; ne conseguirebbe, pertanto, che
quanto meno dalla data di scadenza del termine per la presentazione dei moduli
di rilevamento del censimento il ricorrente era “sostanzialmente” irreperibile
all’indirizzo di residenza risultante dagli atti e non verificato, donde la notifica del
decreto di citazione per il giudizio di appello e la successiva notifica dell’avviso di
accertamento INPS con invito ad adempiere nel termine di tre mesi sarebbero
affette da nullità.

2

previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti

2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett.
b), Cod. Proc. Pen., in particolare per inosservanza della legge penale, in
particolare dell’art. 2, legge n. 638 del 1983.
In particolare, la censura investe l’impugnata sentenza per aver i giudici di
appello ritenuto la responsabilità penale del ricorrente in assenza di prova
documentale dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali,
mancando agli atti i modelli DM/10, essendo rinvenibili al fascicolo processuale

allegazioni documentali sarebbero comunque documenti provenienti dall’INPS, al
pari dei modelli DM/10, i quali non dimostrerebbero l’avvenuto pagamento delle
retribuzioni, rilevando al pari delle dichiarazioni del funzionario INPS, mai
ritenute sufficienti a comprovare l’avvenuto pagamento delle retribuzioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.

4. Seguendo l’ordine sistematico suggerito dalla struttura dell’impugnazione di
legittimità, dev’essere anzitutto esaminato il primo motivo di ricorso, con cui
viene dedotta la violazione della legge processuale, in particolare per essere
stata eseguita la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello e
dell’avviso di accertamento dell’Ente previdenziale, con invito ad adempiere nei
tre mesi dalla notifica, presso l’indirizzo di residenza anagrafica del ricorrente,
indirizzo da cui egli era stato cancellato per irreperibilità sin dal 20/08/2013 a
seguito del censimento nazionale del 9/10/2011.
Sulla questione, la Corte territoriale precisa che la notifica dell’avviso di
accertamenti INPS venne eseguita presso la residenza risultante in atti,
mediante compiuta giacenza.
Trattandosi di eccezione in rito, questa Corte ha operato un doveroso accesso
agli atti processuali, essendo, in relazione alla natura del vizio denunciato,
giudice anche del fatto.

4.1. Quanto, anzitutto, all’omessa notifica, sia dell’avviso di fissazione udienza di
appello che dell’avviso di accertamento INPS, si osserva quanto segue. Dal
verbale di udienza 3/06/2013 risulta che, presente l’Avv. Benzoni, nessuna
nullità venne eccepita; peraltro, la notifica risulta essere stata eseguita per
compiuta giacenza e emerge che l’avviso della doppia raccomandata venne
immesso nella cassetta dello stabile, corrispondente all’indirizzo del ricorrente,
3

solo le attestazioni INPS della denuncia contributiva; in ogni caso, si obietta, le

per temporanea assenza del destinatario, non perché il destinatario fosse
irreperibile (v., in particolare,

quanto emerge dalla relata di ambedue le

raccomandate, recanti, rispettivamente, il n. 77945643017-1 e n.
779506430177) Ora, se è ben vero che è nulla la notifica eseguita a mezzo del
servizio postale, quando dall’avviso di ricevimento del piego raccomandato non
risulti il rispetto di tutte le prescrizioni imposte dall’art. 8, comma secondo, legge

09/12/2013, Paragliola, Rv. 259023), è tuttavia altrettanto indubbio che, nel
caso di specie, l’ufficiale postale ebbe a rispettare integralmente le prescrizioni di
legge, facendo gli atti esaminati menzione dell’avvenuta esecuzione delle
operazioni di affissione o di immissione nella cassetta postale presso il domicilio
dichiarato dell’avviso di deposito del piego raccomandato all’ufficio postale.
Né, peraltro, rileva la circostanza, dichiarata dal ricorrente, che egli all’epoca
della notifica non fosse più residente a tale indirizzo, atteso che, per quanto
emerge dalla relata dell’ufficiale postale, l’avviso venne immesso nella cassetta
corrispondente dello stabile all’indirizzo di Via delle Betulle n. 21, nel comune di
Gemona del Friuli, risultando il destinatario temporaneamente assente e non
perché irreperibile a tale indirizzo. Ed è pacifico nella giurisprudenza di questa
Corte che, in tema di notifica all’imputato a mezzo posta, l’obbligo di effettuare
ricerche e di ripetere l’operazione di consegna dell’atto alla nuova residenza, al
nuovo domicilio o alla nuova dimora, deve essere correlato all’ipotesi concreta
che l’agente postale sia venuto a conoscenza del nuovo indirizzo in base ad indici
e riscontri in loco (nella specie, mancanti, tanto che presso il predetto indirizzo
risultava la cassetta postale con il nominativo del ricorrente, all’interno della
quale venne lasciato l’avviso di ricevimento) che consentono di superare la
presunzione di collegamento fra il destinatario ed il luogo indicato, mentre deve
escludersi un preventivo riscontro anagrafico di residenza (Sez. 1, n. 33233 del
15/06/2004 – dep. 03/08/2004, Saccenti, Rv. 229919).
L’eccezione è, dunque, del tutto infondata.

4.2. Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riferimento all’altra eccezione
relativa, stavolta, alla notifica dell’avviso di accertamento INPS.
Ed infatti, risulta che la Corte territoriale, esistendo il dubbio della ritualità
dell’originaria notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Ente
previdenziale, provvide a far notificare all’indirizzo conosciuto del ricorrente copia
del verbale di udienza con gli elementi essenziali del predetto avviso (indicazione
del periodo di omesso versamento con l’importo; indicazione della sede dell’ente
presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla
4

n. 890 del 1982 (v., tra le tante: Sez. 1, n. 49365 del 26/11/2013 – dep.

legge; avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità
(Sez. U, n. 1855 del 24/11/2011 – dep. 18/01/2012, Sodde, Rv. 251268), al fine
di consentire al ricorrente di poter beneficiare della causa di non punibilità.
Anche in questo caso, la notifica venne eseguita nelle forme della compiuta
giacenza, attestando l’ufficiale postale i medesimi elementi già attestati con
riferimento alla notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza davanti alla Corte
d’appello (ossia di non aver potuto eseguire la notifica per temporanea assenza

indirizzo; v., in atti le raccomandate n. 779473277953 e n. 779523277953).
Nessun dubbio, quindi, in ordine alla ritualità della notifica così eseguita, atteso
che la giurisprudenza consolidata di questa Corte (con l’unica, non condivisibile,
eccezione costituita da Sez. 3, n. 43308 del 15/07/2014 – dep. 16/10/2014,
Parello, Rv. 260746), ritiene che in tema di omesso versamento delle ritenute
previdenziali e assistenziali, non essendo necessarie particolari formalità per la
notifica dell’accertamento, la conoscenza della contestazione da parte del
contravventore può legittimamente presumersi anche in caso di notificazione
dell’atto effettuata in forma legale mediante raccomandata con ricevuta di
ritorno, perfezionatasi per “compiuta giacenza” (da ultimo, in senso conforme:
Sez. 3, n. 52026 del 21/10/2014 – dep. 15/12/2014, Volpe Pasini, Rv. 261287).

4.3. Né, infine, per completezza rileva la circostanza che il ricorrente, come dallo
stesso sostenuto, fosse stato cancellato per irreperibilità dal 20/08/2013 a
seguito del censimento nazionale del 9/10/2011.
E ciò per un duplice ordine di ragioni.
Anzitutto, in quanto sia la notifica del verbale di udienza contenente gli elementi
per beneficiare della causa di non punibilità sia la notifica dell’avviso di fissazione
dell’udienza davanti alla Corte d’appello, intervenute, rispettivamente, nel mese
di giugno 2013 e nel mese di aprile 2013, sono ambedue antecedenti alla data di
cancellazione per irreperibilità (20/08/2013), ciò che conferma la ritualità di
ambedue le notifiche eseguite per compiuta giacenza, atteso che nelle date
predette, il ricorrente non era ancora stato cancellato dall’indirizzo di Gemona
del Firuli, Via delle Betulle n. 21, circostanza che ulteriormente rafforza quanto
attestato dall’ufficiale postale in ambedue le

relate

di notifica, ossia il

destinatario delle due raccomandate non era stato cancellato per irreperibilità
ma che lo stesso risultava essere momentaneamente assente, avendo l’ufficiale
postale immesso l’avviso nella cassetta corrispondente nello stabile in indirizzo.
In secondo luogo, e soprattutto, perché, nel caso di specie, si applica la speciale
disciplina dettata dal d.P.R. n. 223/1989. In particolare, va qui ricordato che
5

del destinatario, immettendo l’avviso nella casetta corrispondente dello stabile in

l’art. 11, comma 1°, lett. c) del vigente Regolamento anagrafico (D.P.R. 30
maggio 1989, n. 223) prevede diversi tipi di procedimenti di cancellazione
anagrafica per irreperibilità e precisamente: a) Irreperibilità a seguito delle
risultanze delle operazioni del censimento generale della popolazione; b)
Irreperibilità ordinaria o tout court, accertata in seguito a ripetuti accertamenti,
opportunamente intervallati fra loro; c) Irreperibilità per i cittadini stranieri; d)
Irreperibilità “speciale” per i cittadini stranieri extracomunitari.

cancellazioni anagrafiche, così recita: «La cancellazione dall’anagrafe della
popolazione residente viene effettuata: (omissis); c) per irreperibilità accertata a
seguito delle risultanze delle operazioni del censimento generale della
popolazione, ovvero, quando, a seguito di ripetuti accertamenti, opportunamente
intervallati, la persona sia risultata irreperibile, nonché, per i cittadini stranieri,
per irreperibilità accertata, ovvero per effetto del mancato rinnovo della
dichiarazione di cui all’art. 7, comma 3 , trascorsi sei mesi dalla scadenza del
permesso di soggiorno o della carta di soggiorno, previo avviso da parte
dell’ufficio, con invito a provvedere nei successivi 30 giorni».
Per quanto concerne il caso qui esaminato (cancellazione dall’anagrafe per
irreperibilità accertata a seguito delle operazioni del censimento generale della
popolazione), la previsione contenuta nel Regolamento anagrafico deve essere
integrata, oltre che con le disposizioni contenute nella legge generale sul
procedimento amministrativo (L. 7 agosto 1990, n. 241), altresì con le
indicazioni procedurali specificate di volta in volta dall’ISTAT.
Con specifico riguardo alle persone non trovate in occasione del XV Censimento
generale della popolazione e delle abitazioni ma presenti in L.A.C. (lista
anagrafica comunale), la Circolare ISTAT n. 11 prot. 28833 del 13 dicembre
2011 prevede (pag. 6), che il procedimento di cancellazione si avvia con l’invio di
una comunicazione con la quale l’Ufficiale di anagrafe invita le persone non
censite, ma presenti in L.A.C., a presentarsi entro un dato termine (di regola non
inferiore a 10 e non superiore a 30 giorni) nel competente ufficio comunale al
fine di confermare, mediante dichiarazione scritta, la dimora abituale nel
Comune. L’invito a rendere tale conferma deve evidentemente avvenire con una
modalità idonea a comprovare l’avvenuta ricezione dell’invito stesso. La
spedizione dell’invito mediante raccomandata con avviso di ricevimento, in caso
di assenza del destinatario, presenta un periodo di giacenza di trenta giorni.
L’art. 40, commi 2, 3 e 4 D.P.R. 29 maggio 1982, n. 655 (c.d. Regolamento di
attuazione del Codice Postale) dispone infatti che la corrispondenza che per
qualunque ragione non può essere recapitata secondo le norme previste nel c.d.
6

Per quanto qui di interesse, rileva il primo caso sub a). La norma, riferita alle

Codice Postale (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156) e nel relativo Regolamento di
attuazione deve essere restituita al mittente e, inoltre, che la posta
raccomandata, che non è stato possibile distribuire, ha un periodo di giacenza di
30 giorni e che di tale giacenza deve essere dato avviso ai destinatari ed ai
mittenti, se identificabili. Si noti che in caso di mancato recapito della
raccomandata e conseguente sua restituzione al mittente con la dicitura
destinatario “sconosciuto” o “trasferito”, dimostra che l’assenza del destinatario o

38, comma 2, D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 non è dipesa da assenza solo
momentanea o, comunque, da mere difficoltà di ordine materiale, laddove,
diversamente, se la raccomandata viene restituita con la dicitura “assente per
momentanea assenza” non v’è dubbio che, a quella data, il destinatario non
fosse irreperibile a quell’indirizzo.
Conclusivamente, è evidente che se, alla data della notifica dei due predetti atti,
gli stessi vennero notificati nelle forme della “compiuta giacenza”, ciò è
sufficiente ad escludere che il medesimo fosse stato cancellato per irreperibilità a
seguito delle operazioni di censimento generale, sicchè la notifica (sia del verbale
di udienza contenente tutti gli elementi per fruire della causa di non punibilità
che dell’avviso di fissazione dell’udienza davanti alla Corte d’appello) era da
considerarsi assolutamente rituale.

5. Deve, infine, esaminarsi il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente
censura la violazione di legge in relazione all’art. 2, legge n. 638/1983 per la
presunta mancanza della prova dell’effettivo pagamento delle retribuzioni, non
essendo sufficienti, si sostiene, le sole attestazioni INPS della denuncia
contributiva, documenti provenienti non dall’imputato ma dall’Ente previdenziale
denunciante, che non dimostrerebbero affatto l’avvenuto pagamento delle
retribuzíonie rileverebbero tanto quanto le dichiarazioni del funzionario INPS, mai
ritenute sufficienti a comprovare il presupposto del reato.
La censura, pur suggestiva, non merita accoglimento.
Ed infatti, osserva il Collegio – premesso che per giurisprudenza costante, in
materia di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali
operate dal datore di lavoro, l’onere incombente sul pubblico ministero di
dimostrare l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti è
assolto con la produzione del modello DM 10, con la conseguenza che grava
sull’imputato il compito di provare, in difformità dalla situazione rappresentata
nelle denunce retributive inoltrate, l’assenza del materiale esborso delle somme
(da ultimo: Sez. 3, n. 7772 del 05/12/2013 – dep. 19/02/2014, Di Gianvito, Rv.
7

delle persone legittimate a ricevere la comunicazione come individuate dall’art.

258851) – dal mese di gennaio 2004, è obbligatoria la trasmissione dei modelli
DM10 per via telematica, cioè mediante l’utilizzo di Internet (art. 44, comma 9
della legge n. 326/2003). Per potere effettuare la trasmissione telematica dei
modelli DM10 è necessario dotarsi di un PIN (numero identificativo personale)
rilasciato dalla sede Inps competente per territorio. Pertanto, aziende e soggetti
abilitati (Consulenti, Associazioni di categoria, Ced, ecc.) devono attivarsi per la
richiesta del PIN (Numero Identificativo Personale) tramite un modulo di

aggiunta la dichiarazione di responsabilità resa dal titolare o legale
rappresentante dell’Azienda, dal professionista ovvero dall’associazione o CED.
I modelli DM10 presentati dalle aziende sono sottoposti, dopo la loro
presentazione, ad una procedura di controllo. Da tale controllo può risultare: a)
un’ulteriore somma dovuta dal’Azienda rispetto a quanto esposto nel saldo finale
del DM 10/2 (cd. nota di rettifica passiva); b) un credito a favore del datore di
lavoro (cd. nota di rettifica attiva). La diversità del saldo può essere determinata
da un’errata esposizione dei dati sia del quadro a debito dell’Azienda (quadro
B/C), sia da un’errata esposizione delle somme a credito (quadro D). Nel primo
caso viene aperta un’inadempienza da nota di rettifica passiva e l’Inps provvede
all’emissione del modello DM10/RA tramite il quale viene notificata all’Azienda la
maggior somma da versare e la data entro cui effettuare il versamento.
Quest’ultimo avviene a mezzo di modello F24 con codice tributo DMRA ed
indicando quale mese di riferimento quello cui era relativo il modello DM10/2 da
rettificare. Il saldo dovuto è pari alla differenza contributiva calcolata su
quest’ultimo, oltre alle relative sanzioni. Laddove si generi una nota di rettifica
attiva, l’Inps invia all’azienda o il modello DM10/RP-A, o il modello DM10/RP. In
quest’ultimo caso, la nota di rettifica passiva deriva dalla modifica del saldo di un
modello DM10/2 passivo, ossia chiuso con un saldo a credito per il datore di
lavoro. La nota di rettifica passiva può, però, derivare pure dal ricalcolo degli
sgravi contributivi o degli anticipi per malattia, CIG o maternità esposti nel
quadro D di un DM10/2 attivo (ossia chiuso con un saldo a debito per l’Azienda):
verrà in tal caso emesso il modello DM1ORP/A. Le somme a credito, oltre che
richieste in rimborso, a partire dalla denunce riferite al periodi di paga di gennaio
2005, possono essere portate in compensazione sul modello F24. Andrà in tal
caso indicato il codice DMRP e, quale mese di riferimento, quello cui era relativo
il modello DM10/2 da rettificare. A partire dal mese di settembre 2004 (cfr. msg
INPS n.26317/2004) l’emissione di tutti i modelli di note di rettifica avviene
tramite l’utilizzo delle procedure di posta ibrida. Dell’esistenza di note di rettifica

8

richiesta (accompagnato da un documento personale di identità) cui deve essere

a carico delle aziende da loro assistite viene altresì data notizia ai consulenti a
mezzo di apposita e-mail.
Come si evince dalla sequenza procedimentale sopra descritta, dunque, è
evidente che i dati trascritti dalla sede INPS territorialmente competente non
sono frutto di una valutazione soggettiva dell’Istituto, ma riproducono
fedelmente quanto contenuto nel modello DM/10 telematico (che, lo si noti per
completezza, dal 10 gennaio 2010, con l’entrata a regime del nuovo flusso

compilato dal datore di lavoro per denunciare all’Inps le retribuzioni mensili
corrisposte ai dipendenti, i contributi dovuti e l’eventuale conguaglio delle
prestazioni anticipate per conto dell’Inps, delle agevolazioni e degli sgravi. I dati
contenuti nelle denunce, sono poi controllati dalla sede INPS, che eventualmente
procede a rettifica come sopra specificato. Nessuna differenza, dunque, è
ravvisabile tra il modello DM/10 inviato dal datore di lavoro e le attestazioni INPS
della denuncia contributiva che proprio su quel modello DM/10 sono basate,
riproducendone fedelmente il contenuto (senza che, peraltro, risulti in atti che il
datore di lavoro lo abbia mai contestato formalmente, limitandosi a porre il
dubbio, senza però fornire la prova, in difformità dalla situazione rappresentata
nelle denunce retributive inoltrate, dell’assenza del materiale esborso delle
somme).
Anche detto motivo è, pertanto, manifestamente infondato.

6. Il ricorso dev’essere, conclusivamente, dichiarato inammissibile. Segue, a
norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a
favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma
che si stima equo fissare, in euro 1.500,00 (mille/500).
Proprio la previsione da parte della norma di un livello minimo e di uno massimo
della somma da pagare – che raccorda la misura della sanzione al concreto livello
di colpa del ricorrente – induce questo Collegio ad infliggere una sanzione di
intensità maggiore, alla luce dell’elevato livello di colpa di quest’ultimo, avendo
questi proposto ricorso per Cassazione fondandolo su motivi la cui manifesta
inammissibilità (mutuando le argomentazioni espresse da Corte cost., sentenza
13 giugno 2000, n. 186) consente di qualificare l’atto di impugnazione come
“temerario” (è sufficiente qui rilevare che la cancellazione per irreperibilità venne
disposta dal 20/08/2013, ossia in data successiva alla notifica sia dell’avviso di
fissazione dell’udienza davanti alla Corte d’appello che del verbale di udienza
contenente gli elementi per beneficiare della causa di non punibilità, circostanze
9

UNIEMENS, non deve più essere presentato dalle aziende) che, come è noto, è

note al ricorrente ma da questi, con atteggiamento gravemente colposo,
sottovalutate).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 14/04/2015

ammende.

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