Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20542 del 26/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20542 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COLASANTE ANTONIO N. IL 18/01/1965
COLASANTE PELLEGRINO N. IL 06/08/1990
INO VINCENZA N. IL 14/04/1977
LUSTRI MARIANEVE N. IL 15/06/1982
MARCHESANO ANTONELLA N. IL 18/10/1976
ORLANDO ARIANNA N. IL 02/02/1993
avverso la sentenza n. 17835/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
12/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
D
Udito il Procuratore Genrale in persona del Dott. 2.Z
che ha concluso per

e

Udito, per la parte civile, l’Avv

(r(3

Data Udienza: 26/03/2015

Udit i difensor Avv.

52853/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 marzo 2014 la Corte d’appello di Napoli, a seguito di appello proposto
dagli imputati avverso sentenza del 30 maggio 2013 con cui il g.u.p. del Tribunale di Torre
Annunziata li aveva condannati per una pluralità di reati in tema di stupefacenti, ha
rideterminato la pena, riducendola a Colasante Pellegrino da due anni e otto mesi di reclusione

Antonio da otto anni e due mesi di reclusione e C 4400 di multa in cinque anni e sei mesi di
reclusione e C 30.000 di multa, a Marchesano Antonella da un anno e dieci mesi di reclusione e
C 10.000 di multa in dieci mesi e venti giorni di reclusione e C 4000 di multa, a Orlando
Arianna da un anno e dieci mesi di reclusione e C 10.000 di multa in dieci mesi e venti giorni di
reclusione e C 4000 di multa, a Lustri Marianeve da quattro anni, un mese e dieci giorni di
reclusione e C 22.000 di multa in due anni e dieci mesi dì reclusione e C 14.000 di multa, e a
Ino Vincenza da due anni di reclusione e C 12.000 di multa in due anni e otto mesi di
reclusione e C 22.000 di multa.
2. Hanno presentato ricorso Colasante Pellegrino, Marchesano Antonella e Orlando Arianna,
denunciando vizio motivazionale in ordine alla loro responsabilità per i reati contestati e in
ordine alla determinazione della pena. Analogo ricorso ha presentato Colasante Antonio.
Ha presentato altresì ricorso il difensore di Lustri Marianeve, denunciando vizio motivazionale
in relazione al diniego di applicazione dell’articolo 73, quinto comma, d.p.r. 309/1990. Per
identica censura ha presentato ricorso anche il difensore di Ino Vincenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

a C 14.000 di multa in un anno e due mesi di reclusione e C 6000 di multa, a Colasante

3.1 II ricorso presentato da Colasante Pellegrino, Marchesano Antonella e Orlando Arianna
denuncia manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione perché il giudice d’appello si
sarebbe in gran parte limitato apoditticamente riportare stralci della sentenza di primo grado, e
avrebbe fornito ai motivi d’appello una risposta superficiale e “soprattutto incentrata su
considerazioni e riferimenti a circostanze non solo impossibili da verificare, ma smentite dagli
stessi atti”. La motivazione sarebbe viziata con particolare riferimento poi alla riduzione della
pena inflitta, che sarebbe fondata su elementi che “non hanno titolo per entrare a far parte del
processo penale”.

0,7

Per quanto concerne la prima parte del ricorso, che attiene evidentemente alla responsabilità
riconosciuta agli imputati per i reati a loro contestati, la chiara genericità delle argomentazioni
sopra riportate priva di ogni consistenza la doglianza.
Quanto invece al trattamento sanzionatorio, la doglianza appare meritevole di rigetto, poiché
dalla motivazione della sentenza impugnata emerge l’infondatezza dell’asserto che essa si
sarebbe nutrita di elementi estranei al processo penale. Il giudice di secondo grado, infatti,
motiva correttamente sulla riduzione della pena effettuata a favore di tutti e tre i ricorrenti. Ha

il primo giudice le aveva negate, rilevando che “il comportamento processuale ed una più
distaccata valutazione dei fatti che, pur nella loro gravità, non sono tali da poter essere
considerati incompatibili con la concessione del beneficio” ne giustificano il riconoscimento.
3.2 Deve peraltro osservarsi che nelle more del processo il quadro normativo dei reati in
tema di stupefacenti è stato profondamente mutato, per quanto qui rileva, dall’intervento della
Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 32 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale degli articoli 4 bis e 4 vicies ter d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, come convertiti
con modificazioni dall’articolo 1 I. 21 febbraio 2006 n. 49, così rimuovendo le modifiche da essi
apportate agli articoli 73, 13 e 14 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309. Sono in tal modo ritornati
applicabili, tra l’altro, i commi primo e quarto dell’articolo 73 come erano dettati prima del
suddetto intervento normativo, e dunque ha recuperato vigenza l’irrogazione di una pena più
mite nei reati attinenti alle c.d. droghe leggere (da due a sei anni di reclusione, oltre a multa,
anziché da sei a venti anni di reclusione, oltre a multa) e di una pena più severa per le c.d.
droghe pesanti (la reclusione sale al range otto-venti anni, così sostituendo quella appena
richiamata da sei a venti).
Nel caso in esame, allora, è necessario dare atto che Colasante Pellegrino è stato condannato
per il capo di imputazione P, relativo agli articoli 110, 81 cpv. c.p. e 73 d.p.r. 309/1990 in
relazione a stupefacente di tipo marijuana, ponendo come pena base tre anni di reclusione e C
15.000 di multa. Se è vero che da un punto di vista meramente aritmetico la pena penale due anni e otto mesi di reclusione e C 14.000 di multa – si colloca nell’ambito della cornice
edittale ora vigente, ciò non toglie che la valutazione del giudice di merito sia stata effettuata
quando detta cornice era notevolmente diversa e assai più severa di quella attualmente in
vigore a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale. È alla luce quindi della più
favorevole cornice edittale che deve essere rivalutato il trattamento sanzionatorio nel caso di
specie (sulla prevalenza della conformazione complessiva della cornice edittale rispetto a una
determinazione meramente aritmetica della legalità della pena v. da ultimo Cass. sez. III ord.
2 dicembre 2014 n. 53157 e la giurisprudenza in essa richiamata, da cui si origina S.U. 26
febbraio 2015, Sebbar, la cui motivazione allo stato non è ancora depositata). Ne consegue
che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione della pena
al suddetto imputato, con rinvio ad altra sezione della corte territoriale.

invero ritenuto di dover concedere le attenuanti generiche in favore di tutti gli imputati ai quali

Discorso del tutto analogo deve svolgersi per Marchesano Antonella – condannata per il reato
di cui al capo T relativo all’articolo 73 d.p.r. 309/1990 in relazione a stupefacente di tipo
marijuana, cui è stata inflitta la pena di dieci mesi e venti giorni di reclusione e C 4000 di
multa, partendo come pena base da due anni e sei mesi di reclusione – e per Orlando Arianna condannata per il reato di cui al capo O relativo agli articoli 110, 81 cpv. c.p. e 73 d.p.r.
309/1990 in relazione a stupefacente di tipo marijuana, cui è stata inflitta la pena di dieci mesi
e venti giorni di reclusione e C 4000 di multa, partendo come pena base da due anni e sei mesi

Pellegrino.
4. Il ricorso di Colasante Antonio presenta un contenuto completamente identico rispetto a
quello del ricorso appena esaminato, per cui vale per esso quello che si è osservato a proposito
del ricorso precedente: è inammissibile per genericità la doglianza relativa alla motivazione
attinente alla responsabilità del ricorrente ed è invece meritevole di rigetto la doglianza
attinente alla motivazione sul trattamento sanzionatorìo, per le stesse ragioni sopra esposte.
Anche in questo caso incide la sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del
2014: l’imputato è stato condannato per vari capi d’imputazione (A, B, G, O, P, Q, R, U e V),
dei quali i capi O e P riguardano reati di cui all’articolo 73 d.p.r. 309/1990 attinenti a
stupefacente di tipo marijuana, e i capi B e V riguardano analoghi reati che però attengono sia
a droghe “leggere” (marijuana in entrambi) sia a droghe “pesanti” (cocaina nel primo, cocaina
ed eroina nel secondo). Per quanto si è sopra osservato, dunque, occorre che sia rivalutato il
trattamento sanzionatorio – nel caso di specie inflitto nella misura di cinque anni e sei mesi di
reclusione e C 30.000 di multa partendo da una pena base detentiva di sei anni di reclusione -,
per cui deve essere annullata la sentenza limitatamente alla determinazione della pena con
rinvio ad altra sezione della stessa corte territoriale.
5.1 Il ricorso presentato dal difensore di Lustri Marianeve lamenta vizio motivazionale in
relazione all’articolo 73, quinto comma, d.p.r. 309/1990, divenuto nelle more del processo
un’autonoma fattispecie di reato – con conseguente sottrazione al giudizio di bilanciamento ex
articolo 69 c.p. – e che nel caso di specie sarebbe applicabile in base a “una valutazione
congiunta dei parametri normativi di riferimento, sia del dato quantitativo della sostanza
stupefacente che degli altri parametri richiamati dalla norma (mezzi, modalità e circostanze
dell’azione)”. Pur essendo, infatti, la zona dove ha agito l’imputata nota per l’attività di spaccio,
si sarebbe “in presenza di un’attività rudimentale di spaccio, tutt’altro che organizzata e
professionale…e, come tale, non pericolosa per la diffusione della droga”. Il quinto comma, nel
caso di specie, renderebbe “proporzionata al fatto la pena”: e il suo diniego sarebbe stato
supportato nella impugnata sentenza solo da una motivazione sommaria delle modalità con cui
era organizzata l’attività di spaccio.
Va rammentato che l’articolo 73, quinto comma, d.p.r. 309/1990 dapprima è stato
trasformato da attenuante ad effetto speciale in reato autonomo dall’articolo 2, comma 1,
lettera a), d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni nella legge 21 febbrai

di reclusione -, con conseguente annullamento con rinvio come sopra disposto per Colasante

2014, n. 10 (cfr. Cass. sez.VI, 26 marzo 2014 n. 14288; Cass. sez.IV, 5 marzo 2014 n. 10514;
Cass. sez.IV, 28 febbraio 2014 n. 13903; Cass. sez.IV, 28 febbraio 2014 n. 10514; Cass.
sez.IV, 17 febbraio 2014 n. 7363; Cass. sez.IV, 29 gennaio 2014 n. 15020; Cass. sez.VI, 16
gennaio 2014 n. 5143), con rideterminazione della forbice edittale da uno a cinque anni di
reclusione e da C 3000 a C 26.000 di multa; il successivo intervento legislativo – posteriore alla
sentenza 32/2014 della Corte Costituzionale, che peraltro non aveva inciso sul quinto comma
dell’articolo 73 (cfr., oltre alla giurisprudenza appena richiamata, Cass. sez.IV, 24 aprile 2014

con modificazioni nella I. 16 maggio 2014 n. 79, ne ha ulteriormente mitigato la pena (da sei
mesi a quattro anni di reclusione e da C 1032 a C 10.329 di multa).
L’applicazione dell’attenuante ad effetto speciale era stata interpretata dalla giurisprudenza
di legittimità come esito di una complessiva valutazione delle caratteristiche del fatto criminoso
(v. p. es. Cass. sez. IV, 22 dicembre 2011-20 febbraio 2012 n. 6732: “In tema di sostanze
stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di
lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice è tenuto a
valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli
concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono
all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della
condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante
quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico
protetto sia di ‘lieve entità.”; sulla stessa linea Cass. sez. VI, 19 settembre 2013 n. 39977,
Cass. sez. IV, 12 novembre 2010 n. 43399, S.U. 24 giugno 2010 n. 35737 e Cass. sez. IV, 29
settembre 2005 n. 38879). Detta impostazione è stata confermata – condivisíbilmente, poiché
la novellazione, come sopra si è visto, ha inciso sulla qualifica di fattispecie autonoma anziché
attenuante e sul trattamento sanzionatorio, ma non sulla identificazione del presupposto
fattuale – anche dopo che il quinto comma dell’articolo 73 è divenuto una fattispecie autonoma
(Cass. sez.III, 19 marzo 2014 n. 27064: “In tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di
lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, anche all’esito della
formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del
2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta,
desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati
espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con la
conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente,
ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.”).
La corte territoriale, nella impugnata sentenza, ha motivato il diniego di quella che all’epoca
era ancora una circostanza attenuante con una motivazione adeguatamente specifica,
rilevando che “le modalità con le quali l’attività era organizzata, ed in particolare la
predisposizione di vedette, la collocazione di persone sempre pronte a cedere la sostanza, la
possibilità per i clienti abituali di potersi procurare in qualsiasi momento la sostanza

n. 20225) – rappresentato dall’articolo 1, comma 24 ter, d.l. 20 marzo 2014 n. 36, convertito

stupefacente voluta bussando direttamente al citofono dell’immobile ove si trovavano gli
spacciatori, in uno con la pluralità di sostanze vendute, sono tutti elementi che non consentono
di ritenere l’attività sussumibile nel concetto di lieve entità stabilito dal legislatore”. Poiché,
come insegna la giurisprudenza sopra citata, anche uno solo degli indici indicati dalla legge
(nel caso di specie sono state analizzate le modalità dell’azione criminosa), se risulta negativo,
è sufficiente, assorbendo ogni altro parametro, a giustificare il diniego della fattispecie di cui al
quinto comma dell’articolo 73, deve riconoscersi che la corte territoriale ha operato
correttamente in punto di diritto e motivato in modo congruo in rapporto agli elementi fattuali

verifica di merito come alcuni passi del ricorso, sopra citati, paiono perseguire -. L’unico motivo
del ricorso, dunque, risulta meritevole di rigetto.
5.2 Tuttavia, anche per la Lustri vale quanto si è osservato a proposito della posizione degli
imputati che hanno proposto i precedenti ricorsi. La ricorrente, infatti, è stata condannata per
due capi d’imputazione – B e G -, di cui il capo B riguarda sia marijuana che cocaina, e le è
stata inflitta una pena – due anni e dieci mesi di reclusione nonché C 14.000 di multa, con pena
base di sei anni di reclusione e C 30.000 di multa – che deve essere oggetto di rivalutazione,
con conseguente necessità di annullare in parte qua l’impugnata sentenza rinviando ad altra
sezione della stessa corte territoriale.
6. Il difensore di Ino Vincenza ha presentato ricorso adducendo un’unica doglianza del tutto
analoga a quella addotta nel ricorso presentato nell’interesse della Lustri, per cui si rimanda a
quanto al riguardo osservato. Anche in questo caso, poi, occorre una rivisitazione dell’aspetto
sanzionatorio: la ricorrente è stata infatti condannata per due capi d’imputazione (I e M) di cui
il secondo (M) concerne stupefacente di tipo marijuana, e la sua pena è stata determinata in
due anni e otto mesi di reclusione e C 22.000 di multa, partendo da una pena base di sei anni
di reclusione e C 30.000 di multa. E anche in questo caso, quindi, deve annullarsi la sentenza
limitatamente alla determinazione della pena con rinvio ad altra sezione della stessa corte
territoriale.
In conclusione, in rapporto a tutti i ricorsi la sentenza impugnata deve essere annullata
limitatamente alla determinazione delle pene con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di
Napoli, dovendosi rigettare i ricorsi nel resto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione delle pene con rinvio ad altra
sezione della Corte d’appello di Napoli. Rigetta i ricorsi nel resto.

emergenti dagli atti – sui quali, ovviamente, il giudice di legittimità non può effettuare una

Così deciso in Roma il 26 marzo 2015

Il Presidente

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