Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20539 del 01/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20539 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: VIGNA MARIA SABINA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

TERZULLI FRANCESCO nato il 11/04/1954 a TARANTO
nel procedimento a carico di quest’ultimo

avverso l’ordinanza del 14/11/2017 del TRIB. LIBERTA di TARANTO
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARIA SABINA VIGNA;
sentite le conclusioni del PG ANTONIETTA PICARDI che conclude per il rigetto del
ricorso.
Udito il difensore avvocato SBIROLI SABRINA del foro di TARANTO, in difesa di
TERZULLI FRANCESCO, che chiede l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 01/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Conto’ rdinanza impugnata, il Tribunale di Taranto, in funzione di Tribunale
del riesame, rigettava l’istanza presentata ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen.
da Francesco Terzulli avverso il decreto di sequestro preventivo emesso ex art.
322-ter primo comma, prima parte, cod. pen. dal G.i.p. del Tribunale di Taranto
in data 9.10.2017 avente ad oggetto le somme di denaro costituenti il profitto di
sei ipotesi di peculato ascritte al ricorrente in concorso con Sarà Michele ed altri.

scolastico dell’I.T.C. Pitagora, in concorso con Sarà, Direttore dei servizi generali
ed amministrativi del predetto Istituto, di avere emesso e sottoscritto, dal
gennaio 2010 al marzo 2011, mandati di pagamento apocrifi che facevano
riferimento a fatture per forniture e per lavori mai eseguiti da parte di imprese
inesistenti, così appropriandosi di denaro pubblico che detenevano per ragione
dell’ufficio, dando mandato alla banca di liquidare a terzi soggetti, coindagati, la
somma apparentemente relativa ai lavori, con rilascio di quietanza a firma degli
stessi, a volte originale e a volte apocrifa.
Nei confronti del ricorrente, a fronte di un profitto derivante dai reati
determinato complessivamente in euro 44.864,40, veniva sottoposta a sequestro
la somma di euro 42.209,34.
Il fumus commissi delitti emergeva, a giudizio del Collegio della cautela,
dalle indagini compiute dalla Guardia di Finanza, dalla escussione a s.i.t. di
persone informate sui fatti, dalle dichiarazioni dei coindagati, dalle intercettazioni
telefoniche e telematiche effettuate tra il mese di ottobre 2016 e il mese di
gennaio 2017.

2. Avverso l’ordinanza ricorre per cassazione Terzulli Francesco, a mezzo del
difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi:
2.1. Motivazione illogica non essendo stato depositato l’intero fascicolo
processuale; ciò non consente di valutare la necessaria correlazione tra il
petitum della richiesta e il decreto di sequestro.
2.2. Motivazione apparente ed erronea in ordine al fumus commissi delicti,
avendo il Tribunale ignorato le allegazioni difensive prodotte con i motivi di
riesame. Terzulli non ha mai redatto alcun mandato di pagamento e difetta la
prova della appropriazione dei relativi importi.
L’ordinanza impugnata nulla dice in merito al fatto che è stata sottoposta a
sequestro l’intera somma costituente il profitto del reato, pur essendo diversi
indagati. La somma oggetto di sequestro costituisce il versamento della prima

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1.1. Si contesta, in particolare, a Terzulli, nella sua qualità di Dirigente

rata del TFR e, in ogni caso, il profitto addebitabile a Terzulli è pari ad euro
14.954,80.
2.3. Il Tribunale non ha motivato in ordine alla sussistenza del periculum in
mora e sulla attualità del pericolo di reiterazione del reato, nonostante la
intervenuta cessazione dell’incarico di preside.
2.4. Omessa motivazione sulla sussistenza dei presupposti del sequestro
preventivo per equivalente.
2.5. Vizio di motivazione e violazione di legge per mancanza dei gravi indizi

organizzare tutte le condotte delittuose.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve, conseguentemente, essere
dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, essendo pacifico in materia
cautelare reale che il ricorso per cassazione contro ordinanze di sequestro
preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione
dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi
della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a
sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere
comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. U, n. 25932
del 29/05/2008, Ivanov; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini; Sez. 6, n.
6589 del 10/01/2013, Gabriele).
Costituisce, quindi, violazione di legge deducibile mediante ricorso per
cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non
anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod.
proc. pen., lamentata nel caso in esame (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017 Rv.
269119).
Deve, comunque, osservarsi che, essendo l’intera materia cautelare
governata dal principio generale della domanda cautelare, è il Pubblico ministero
a scegliere «gli elementi su cui la richiesta si fonda» (art. 291 cod. proc. pen.).
La difesa non ha, peraltro, indicato eventuali elementi a favore dell’indagato
in possesso del Pubblico ministero e non trasmessi al G.i.p., conseguentemente
la censura, su questo punto, è generica.

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di colpevolezza ed erronea valutazione degli stessi. È stato l’indagato Sarà ad

3. Il secondo e il quinto motivo di ricorso sono manifestamente infondati,
avendo il Tribunale del riesame motivato ampiamente in ordine alla sussistenza
del fumus commissi delicti ed avendo, inoltre, valutato tutte le allegazioni
difensive.
3.1. Il Tribunale del riesame, con motivazione saldamente ancorata alle
risultanze degli atti di indagine, ha rilevato come, sulla base della segnalazione
effettuata nel 2014 dalla nuova Dirigente dell’I.T.C. Pitagora, emergevano
irregolarità amministrative e contabili riconducibili all’indagato.

avendo, ad esempio, oggetto le forniture di pulizia dei locali scolastici, servizio
già esternalizzato ad altre ditte, ovvero la manutenzione dell’edificio scolastico,
di competenza dell’ente Provincia.
La Guardia di Finanza, all’esito delle indagini, verificava la mancata
esecuzione dei lavori e delle forniture relative ai mandati di pagamento emessi e
sottoscritti dal Terzulli unitamente a Sarà.
Le forniture, più precisamente, risultavano eseguite da imprese inesistenti,
l’attestazione di regolarità nella esecuzione della fornitura era o mancante o
irregolarmente apposta, i mandati di pagamento spesso riportavano la stessa
data della fattura e, quale modalità di pagamento, «quietanza diretta» in favore
di persone fisiche, le fatture allegate ai mandati di pagamento presentavano,
infine, veste grafica e caratteri sovrapponibili.
Saracino, coindagato che aveva effettuato il prelievo di parte delle somme di
denaro, dichiarava, in sede di interrogatorio, di non conoscere le ditte che
avevano apparentemente effettuato i lavori ed ammetteva di essersi recato in
banca in almeno tre occasioni per prelevare le somme dei mandati di pagamento
su richiesta di Sarà.
Del pari, Fonzino dichiarava che aveva delegato la moglie a riscuotere un
mandato di pagamento per fare un favore a Sarà.
Per quanto concerne, in particolare, Terzulli, l’ordinanza impugnata
evidenzia puntualmente che il predetto redigeva insieme a Sarà i mandati di
pagamento ed apponeva la propria firma.
Terzulli si dissociava, inoltre, dai comportamenti di Sarà solo nel maggio
2015, quando già era a conoscenza del procedimento disciplinare a suo carico.
Con una valutazione del tutto logica e congruente il Tribunale del riesame ha
rilevato che tale circostanza non vale ad escludere

ictu ocull la sussistenza

dell’elemento soggettivo del reato e che, anzi, rende verosimile l’ipotesi che il
predetto abbia agito al solo fine di tutelare se stesso, precostituendosi un
argomento a sostegno della propria buona fede.

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Nello specifico si evidenziava che talune spese non apparivano giustificabili,

Altrettanto incensurabile è la considerazione del Collegio della cautela
secondo la quale sarebbe bastato un sommario controllo da parte di Terzulli,
tenuto a sottoscrivere i mandati di pagamento, per rendersi conto delle
irregolarità.
Così come parimenti anomala doveva apparire a Terzulli l’indicazione di
quietanze di pagamento in favore di persone fisiche rispetto alle quali non si
evinceva il collegamento con le ditte beneficiarie dei mandati.
3.2. Quanto alla censura della difesa relativa al fatto che si è proceduto al

pur essendo diversi gli indagati, il Tribunale del riesame ha fatto correttamente
riferimento al principio solidaristico che informa la disciplina del concorso di
persone nel reato, in virtù del quale il sequestro preventivo può incidere
indifferentemente sui beni di ciascun concorrente per l’intero importo relativo al
prezzo o al profitto del reato (Sez. 2, n. 45389 del 06/11/2008 Rv. 241974).
3.3. Quanto, infine, alle doglianza difensiva in ordine al fatto che la somma
sequestrata costituiva il versamento della prima rata del T.F.R. dell’indagato,
l’ordinanza impugnata ha correttamente richiamato l’orientamento
giurisprudenziale pressoché unanime secondo il quale, stante la natura del bene,
non è necessaria la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma oggetto
della ablazione ed il reato.
«Qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia
costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque
la disponibilità, deve, essere qualificata come confisca diretta e, in
considerazione della natura fungibile del bene, destinato a confondersi con le
altre disponibilità economiche del reo, non necessita della prova del nesso di
derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il
reato» (Sez. U, Sentenza n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437; vedi
anche Sez. 5, n. 23393 del 29/03/2017 Rv. 270134).

4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Costituisce principio generale affermato dalla giurisprudenza di legittimità
quello secondo cui, per il sequestro ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen.,
l’unico requisito richiesto è quello della confiscabilità del bene, ossia la
condizione che si tratti di cose di cui è consentita la confisca a mente del codice
penale o delle leggi speciali, per cui il compito del giudice nel disporre il
sequestro è quello di verificare se i beni siano suscettibili di confisca (facoltativa
o, come nel caso in esame, obbligatoria) ma non si richiede una prognosi relativa
al pericolo di commissione di reati, essendo irrilevante la valutazione del
periculum in mora – che attiene ai requisiti del sequestro preventivo impeditivo
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sequestro dell’intera somma di denaro considerata profitto del reato di peculato,

di cui all’art. 321 comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 31229 del 26/06/2014
Rv. 260367; Sez. 2, n. 41435 del 16/09/2014 Rv. 260043; Sez. 6 n.18546 del
22/04/16; Sez. 3 n. 47684 del 17/9/14, Rv. 261242; Sez. 6 n. 151 del 19/01/94
Rv. 198258; Sez. 1 n. 2994 del 23/6/93, Rv.194824; Sez.5 n.10106 del
10/03/15; Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015 Rv. 263408, Sez. 5, n. 33027 del
26/05/2017 Rv. 270337).
Il Tribunale del riesame ha fatto buon uso di tali arresti giurisprudenziali
sottolineando che, trattandosi di confisca obbligatoria, il giudice non deve

5. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, essendo stato il sequestro
concretamente disposto ai sensi dell’art. 322-ter, primo comma, prima parte,
cod. pen. e non per equivalente valore (comma primo, seconda parte), come si
suppone nel ricorso.
La legge n. 190 del 2012, ha aggiunto alla confisca per equivalente del
prezzo del reato anche l’omologa confisca per equivalente del profitto del reato,
laddove prezzo e/o profitto del reato rendono (e già rendevano) sempre possibile
— in alternativa tra loro o insieme — l’obbligatoria diretta

ablatio del denaro

frutto dell’uno o dell’altro o di entrambi. (cfr.: Sez. 6, n. 30966 del 14.6.2007,
Puliga, Rv. 236984; Sez. 6, n. 14174/10 del 26.11.2009, Canalia, Rv. 246721;
Sez. 2, n. 21228 del 29.4.2014, Riva Fire S.p.A., Rv. 259717). In altri termini il
denaro sottoposto a vincolo di indisponibilità deve soltanto corrispondere al
valore della somma formata dal prezzo o dal profitto del reato, non occorrendo
accertare alcun nesso pertinenziale tra il reato contestato e il cespite monetario
da sottoporre a futura confisca (v. in termini: Sez. 3, n. 1261 del 25/09/2012,
Marseglia, Rv. 254175: «Qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali è
prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l’adozione del
sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano
dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il
denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per
valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale
tra il reato e il bene da confiscare»).

6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il

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motivare in ordine alla sussistenza di un attuale periculum in mora.

ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in
favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso il 1 marzo 2018

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