Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20533 del 19/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20533 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Buonavita Vincenzo, nato a Foggia il 27/12/1981
Jaouadi Mohamed Salah Ben Alì, nato Tunisia l’11/3/1976
Rubino Antonio, nato a Parghelia (VV) il 17/1/1973
Russo Gerardo, nato a Foggia il 24/8/1972
Russo Leonardo, nato a Foggia il 15/2/1976
Santoro Angelo, nato a Orta Nova (Fg) il 13/8/1980
Rubino Anna, nata a nata a Foggia il 13/4/1981
Silvestri Vito Nicola, nato a Foggia il 25/4/1981
Torchiarella Giovanni, nato a Foggia 21/5/1984
Trecca Andrea, nato ad Ordona (Fg) il 16/5/1974

avverso la sentenza del 10/10/2013 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Pietro Gaeta, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio
della sentenza – per intervenuta prescrizione – quanto a Russo Leonardo, Russo

Data Udienza: 19/04/2016

Gerardo e Trecca, nonché la declaratoria di inammissibilità quanto ai restanti
ricorrenti;
uditi i difensori dei ricorrenti, Avv. Rosario Marino, Giovanni Della Croce e
Francesco Americo, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10/10/2013, la Corte di appello di Bari, in parziale

non doversi procedere nei confronti di Pasquale Santoro in ordine ai reati
ascrittigli, per morte dell’imputato; assolveva Emanuele Magistris, Pasquale
Cetrulo e Luigi Brattoli dalle imputazioni loro contestate, perché i fatti non
sussistono; assolveva Vito Nicola Silvestri dai reati di cui ai capi 927 e 928,
perché i fatti non sussistono, rideterminando la pena quanto ai residui; assolveva
Mohamed Salah Ben Alì Jaouadi dal reato di cui al capo 9), perché il fatto non
sussiste, rideterminando la pena quanto ai residui; assolveva Leonardo Russo da
tutti i reati allo stesso ascritti, ad eccezione di quello di cui al capo 1047 della
rubrica, rideterminando la pena. Confermava nel resto la sentenza quanto a
Giancarlo Braschi, Vincenzo Buonavita, Giovanni Carosiello, Antonio Rubino,
Gerardo Russo, Angelo Santoro, Danut Serban, Giovanni Torchiarella ed Andrea
Trecca. A tutti gli imputati – talvolta singolarmente, talvolta in concorso con altri
– erano contestati centinaia di episodi di cessione di cocaina (e, in un solo caso,
di hashish), in numero complessivo superiore ai mille, verificatisi in Orta Nova
nel corso del 2006.
2.

Propongono ricorso per cassazione numerosi tra i citati soggetti,

deducendo i seguenti motivi:
Buonavita (due ricorsi):
Vizio motivazionale. La Corte avrebbe confermato la condanna senza
esplicitare i criteri di valutazione adottati, e senza pronunciarsi in ordine
alle censure rivolte, in specie con riguardo all’ipotesi lieve di cui all’art.
73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, negata pur ricorrendone i
presupposti. Il ruolo del ricorrente, peraltro, sarebbe emerso al più nei
termini della mera connivenza, non già del concorso, come confermato
da talune intercettazioni. La sentenza, da ultimo, non avrebbe motivato
quanto alla richiesta applicazione della circostanza attenuante di cui
all’art. 114, comma 1, cod. pen.;
Jaouadi:
– Violazione dell’art. 73 in contestazione. La Corte avrebbe ribadito il
giudizio di responsabilità in forza di conversazioni dal tenore tutt’altro

riforma della pronuncia emessa il 26/3/2010 dal Tribunale di Foggia, dichiarava

che univoco, come tali insufficienti a fondare una pronuncia di
colpevolezza;
Violazione dell’art. 73, comma 5, cit. Ancora, la sentenza avrebbe negato
l’ipotesi lieve in esame con affermazione erronea e contraria alla
costante giurisprudenza di legittimità;
Violazione dell’art.

62-bis

cod. pen., essendo state concesse le

circostanze attenuanti generiche con il solo giudizio di equivalenza,
peraltro sulla recidiva contestata pur in assenza di indici di pericolosità.

Vizio motivazionale in punto di responsabilità, affermata pur in assenza
di riscontri;

Rubino:
Nullità della sentenza per difetto di motivazione sulla richiesta
assoluzione, difettando ogni riscontro alla tesi investigativa;
Nullità della sentenza in punto di circostanze attenuanti generiche e
trattamento sanzionatorio, non trattate dalla Corte nonostante i punti di
gravame:

Russo Gerardo:
Violazione dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990. La sentenza avrebbe
confermato la condanna pur difettando seri elementi in punto di
responsabilità, e non sussistendo alcun riscontro alla tesi del concorso;
ciò, peraltro, con riguardo ad un unico episodio, in data 15/10/2006;
Violazione degli artt. 73, cit., 62-bis cod. pen.. La sentenza avrebbe
applicato una pena eccessiva, pur riconoscendo la diminuente citata;
Vizio motivazionale in punto di responsabilità. Il provvedimento, al
riguardo, risulterebbe illogico, affermando un concorso con il fratello
Leonardo, invero assolto da tutti i capi – escluso il 1047 – perché
tossicodipendente; quest’ultima ipotesi di reato, peraltro, tratterebbe di
espressamente cocaina, mentre sia il Tribunale che la Corte avrebbero
riconosciuto condotte in tema di hashish;

Russo Leonardo:
Vizio motivazionale. La sentenza di appello risulterebbe gravemente
viziata per carenza di motivazione, non individuando i criteri impiegati
per la decisione;

Santoro Angelo:
– Violazione di legge, vizio motivazionale. La sentenza avrebbe confermato
la condanna pur a fronte di un inesistente compendio probatorio, e con

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L’aumento di pena per la continuazione, inoltre, risulterebbe eccessivo;

argomento illogico ed apodittico; ciò, peraltro, con riguardo ad
intercettazioni dal contenuto contrario all’ipotesi accusatoria;
Violazione dell’art. 73, comma 5, cit.. La Corte avrebbe negato l’ipotesi
lieve, pur ricorrendone i presupposti;
Violazione dell’art. 73, cit., per effetto della sentenza della Corte cost. n.
32 del 2014, successiva alla pronuncia in esame;
Sa ntoro Rossana:
vizio motivazionale. La sentenza non avrebbe speso argomenti

Pasquale Santoro (già imputato nello stesso processo), e relativa a beni
alla stessa intestati, come da documentazione allegata. Quel che,
peraltro, sarebbe stato già riconosciuto – in sede di prevenzione – con
ordinanza della Corte di appello di Bari del 4/10/2012;
Silvestri:
violazione dell’art. 73, co. 5, cit.; nullità della sentenza. La Corte non
avrebbe adeguatamente motivato sul diniego dell’ipotesi lieve, pur
ricorrendone i presupposti, ed avrebbe errato anche con riguardo alla
CO ntinuazione;
nullità della sentenza per violazione di legge. Premesso che, in primo
grado, le circostanze attenuanti generiche erano state concesse con
giudizio di equivalenza su una recidiva, in realtà, non contestata; ciò
premesso, la Corte di appello – muovendo dalla pena base – avrebbe
dovuto applicare la riduzione ex art. 62 bis cod. pen., quindi aumentare

la pena a titolo di continuazione;
Torchiarella:
vizio motivazionale, erronea applicazione dell’art. 73 in esame. La
sentenza avrebbe confermato la condanna pur in assenza di elementi a
conforto della tesi del concorso nel reato del coimputato Santoro; nel
caso di specie, infatti, rileverebbe soltanto un mero comportamento
negativo, privo di rilevanza penale;
erronea applicazione dell’art. 73, comma 5, cit.. La Corte avrebbe negato
l’ipotesi lieve pur in presenza dei presupposti, anche alla luce del tempus
commissi delicti;
vizio motivazionale in punto di responsabilità, affermata in forza di
un’identificazione tutt’altro che certa;
Trecca:
vizio motivazionale. La sentenza avrebbe ribadito la colpevolezza del
ricorrente pur difettandone i presupposti; in particolare, mancherebbe

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sull’istanza di revoca della confisca avanzata dalla figlia del defunto

certezza sull’effettiva identità dei soggetti coinvolti nelle conversazioni, e
non vi sarebbero operazioni di p.g. a conferma del tenore delle stesse.
Ha proposto ricorso per cassazione anche Giovanni Carosiello, la cui
posizione è stata però stralciata con ordinanza in pari data, con sospensione dei
termini di prescrizione, atteso il legittimo impedimento del difensore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi risultano manifestamente infondati, ad eccezione dei profili che si
andranno di seguito a specificare con riguardo ai singoli ricorrenti.

4. Occorre in primo luogo ribadire che il controllo del Giudice di legittimità
sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si
saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa
la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e
l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione
delle vicende (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n.
12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte
in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore
tale da risultare percepibile ictu acuii; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul
discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del
legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez.
U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla
ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato
alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono
insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo
hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o
di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv,
251760).
5. Se questa, dunque, è l’ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il
giudizio della Suprema Corte, le censure che i ricorrenti muovono al
provvedimento impugnato, in punto di responsabilità, si evidenziano come
inammissibili; ed invero, dietro la parvenza di una violazione di legge o di un
difetto motivazionale, gli stessi di fatto sollecitano una nuova ed alternativa
lettura delle medesime risultanze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito
(in particolare, le numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali, in uno con i

Una premessa di carattere generale, peraltro, appare d’obbligo.

servizi di osservazione e controllo, ampiamente riproposti negli atti di gravame),
invocandone una valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come sopra riportato, non è consentito in questa sede.
A ciò si aggiunga, peraltro, che le stesse doglianze – sovente oltremodo
generiche – obliterano il percorso motivazionale segnato sul punto dalla Corte di
merito, che ha confermato il giudizio di colpevolezza degli odierni ricorrenti con
una solida struttura argomentativa, fondata su oggettivi riscontri istruttori e
priva di contraddizioni o di illogicità manifeste; come tale, incensurabile in

6. Ed invero, muovendo dalla posizione di Vincenzo Buonavita, osserva la
Corte che entrambi i ricorsi proposti risultano estremamente generici, tanto da
non poter costituire un’effettiva censura alla sentenza impugnata; in particolare,
come il gravame a firma dell’Avv. Marino denuncia la mancata indicazione dei
criteri di giudizio e l’assenza di canoni logici, senza ulteriore specificazione, così
quello depositato dall’Avv. Mauri ribadisce (primo motivo) la medesima doglianza
già sollevata in sede di appello – mera connivenza con Pasquale Santoro, non
concorso nel reato – senza neppure esaminare la risposta fornita sulla medesima
questione dalla sentenza impugnata. Risposta che, peraltro, risulta del tutto
adeguata e sostenuta da congrua motivazione; in particolare, la Corte di merito
ha rilevato che le condotte del Buonavita – indipendentemente dal carattere
oneroso o gratuito – costituivano evidente concorso nelle attività di spaccio del
Santoro e di Silvestri, atteso che il primo, oltre ad avere piena consapevolezza di
quanto realizzato dagli altri, anche in sua presenza, in più di un’occasione aveva
provveduto a consegnare personalmente la sostanza stupefacente agli
acquirenti, come da intercettazioni ambientali dal chiaro tenore.
Quel che, peraltro, sembra infine ammettere lo stesso ricorrente nel
presente gravame, laddove afferma che si sarebbe limitato «a recepire
dall’acquirente il luogo dell’incontro per la cessione della droga, o contare il
danaro ricevuto dal Santoro per la cessione dello stupefacente».
Quel che, ancora, all’evidenza costituisce non già mera connivenza, ma
concorso ex art. 110 cod. pen.; occorre ribadire, infatti, che – giusta costante
giurisprudenza di questa Corte – la distinzione tra connivenza non punibile e
concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la
prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo,
inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato,
mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo – morale o
materiale – all’altrui condotta, anche in forme che agevolino o rafforzino il
proposito criminoso del concorrente (tra le altre, Sez. 3, n. 41055 del
22/9/2015, Rapushi, Rv. 265167; Sez. 3, n. 34985 del 16/7/2015, Caradonna,

6

questa sede.

Rv. 264454). Esattamente quel che ha posto in essere il Buonavita, attese le
pacifiche emergenze istruttorie in atti.
6.1. Negli stessi termini, poi, deve essere esclusa la circostanza attenuante
di cui all’art. 114, comma 1, cod. pen., ancora invocata con il presente gravame.
Ed invero, osserva la Corte che – per costante e condiviso orientamento di
legittimità – il contributo di minima importanza è configurabile quando l’apporto
del concorrente non ha avuto soltanto una minore rilevanza causale rispetto alla
partecipazione degli altri correi, ma ha assunto un’importanza obiettivamente

risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso (per tutte, Sez. 1,
n. 26031 del 9/5/2013, Di Domenico, Rv. 256035); quel che non è dato
ravvisare nella condotta del ricorrente, giusta sentenza impugnata, e che risulta
dedotto in questa sede soltanto con asserzioni generiche ed apodittiche
(«L’opera prestata dal ricorrente, al di là della gratuità, si appalesa modesta,
marginale, secondaria, di minima importanza»).
6.1. Con riguardo, poi, all’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n.
309 del 1990, il Buonavita (al pari, come si dirà, di numerosi ricorrenti) ne
contesta il mancato riconoscimento pur sussistendone i presupposti di legge.
Orbene, anche questa doglianza risulta manifestamente infondata, atteso che con adeguata motivazione – la Corte di merito ha escluso il quinto comma in
esame in considerazione delle modalità dello spaccio (organizzato in turni in
grado di coprire l’intero arco della giornata), della mole quotidiana di cessioni e
della vasta platea di acquirenti; in tal modo, quindi, la sentenza ha fatto proprio
il costante indirizzo di legittimità in forza del quale la circostanza attenuante
speciale del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del
1990, oggi fattispecie autonoma di reato, può essere riconosciuta solo in ipotesi
di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e
quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi,
modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici
previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione
resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/6/2010, Rico, Rv.
247911; successivamente, per tutte, Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, Xhihani,
Rv. 263651).
7. Per quanto, poi, attiene a 3aouadi, il Collegio ritiene di dover pervenire
alle medesime conclusioni.
In primo luogo, si osserva che il gravame risulta del tutto vago, generico ed
apodittico in punto di responsabilità (motivi primo e quarto), lamentando che la
sentenza si fonderebbe su intercettazioni dal contenuto tutt’altro che univoco e
che le stesse, pertanto, non potrebbero ex se confermare l’ipotesi accusatoria.

minima e marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da

Orbene, rileva la Corte che tale doglianza non tien conto della motivazione stesa
al riguardo dal Giudice di appello, che – anche richiamando la diffusa prima
sentenza, alla quale l’altra si lega in un continuum motivazionale, attesa una cd.
doppia conforme quasi integrale – ha citato il compendio probatorio, quali le
numerosissime intercettazioni telefoniche tratte sulle utenze che il ricorrente e
Pasquale Santoro usavano indifferentemente nel corso della giornata;
conversazioni dal tenore non equivocabile (“mezzo”, “uno”, “tre”, “due piccolini”,
“una pedana e mezzo”) e, peraltro, confermato dai servizi di appostamento della

incontri e della cessione di involucri. I quali, a seguito di perquisizione degli
acquirenti, noti tossicodipendenti, si erano quindi rivelati contenere cocaina.
Orbene, a fronte di un compendio motivazionale così congruo e fondato su
elementi oggettivi (al punto che il Jaouadi era stato tratto in arresto il
17/9/2006, all’atto di cessione di cocaina), la Corte di appello ha rilevato che le
doglianze risultavano estremamente vaghe e generiche, sostenendo l’equivocità
del linguaggio usato ma senza offrire – delle stesse espressioni – una versione
alternativa; così come nel presente gravame. Doglianze, peraltro, che non
contestavano affatto quanto osservato dalla p.g., né il contenuto dei fermi e
delle perquisizioni effettuati; dati probatori, quindi, da considerare ormai pacifici
e sicura fonte di responsabilità.
7.1. Di seguito, non può esser accolta neppure la seconda censura proposta,
relativa all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Ed invero, e richiamata la
giurisprudenza di questa Corte in materia, si osserva che la sentenza impugnata
ha negato l’ipotesi lieve in ragione sia delle modalità dello spaccio (organizzato
per l’intero arco della giornata), sia della mole quotidiana di cessioni (circa 60),
sia, infine, del numero di acquirenti. Una motivazione, quindi, del tutto congrua,
e peraltro contestata in questa sede con argomenti ancora generici.
7.2. Negli stessi termini, poi, si conclude quanto alle circostanze attenuanti
ex art. 62-bis cod. pen., peraltro concesse pur a fronte di un numero eccezionale
di imputazioni; il ricorrente, al riguardo, lamenta il “mero” giudizio di
equivalenza con la recidiva contestata (reiterata, specifica, infraquinquennale),
senza tener conto dell’argomento offerto dalla Corte – non superabile – con
riguardo all’art. 69, comma 4, cod. pen., ed al divieto di prevalenza in esso
previsto.
8. Con riguardo, poi, al ricorso proposto da Antonio Rubino, lo stesso si
evidenzia per la assoluta, palese, manifesta genericità, limitandosi a lamentare con il primo motivo – la mancanza di riscontri alla tesi investigativa. Quel che
non è dato rilevare affatto nella sentenza impugnata, laddove il Collegio di
merito ha richiamato le intercettazioni telefoniche ed i risultati di servizi di o.c.p.,

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p.g. di seguito effettuati, giammai contestati, che avevano dato atto degli

che avevano dato conto del pieno coinvolgimento del ricorrente nell’attività di
spaccio (con particolare riguardo a quello del 1°/9/2006, analiticamente
descritto); con la precisazione che «il Rubino riceve sulle utenze usate
indistintamente dai correi (Pasquale Santoro, Silvestri e Jaouadi,

n.d.e.) le

chiamate dei “clienti”, fissa gli appuntamenti in luoghi notoriamente destinati allo
spaccio, cui si reca a volte da solo, a volte in compagnia del cognato (Santoro,
n.d.e.)». Ancora, la Corte di appello ha ribadito l’identificazione certa del
ricorrente, in uno con l’assenza di qualsivoglia lettura alternativa da questi

8.1. In ordine, di seguito, alle circostanze attenuanti generiche ed al
trattamento sanzionatorio, la doglianza emerge ancora come del tutto generica.
Doglianza che, peraltro, nuovamente oblitera le considerazioni espresse sul
punto nella sentenza, che ha richiamato il beneficio comunque già concesso dal
Tribunale, con prevalenza sulle aggravanti contestate, senza peraltro applicare
l’aumento di pena per la recidiva.
9. In ordine, poi, a Gerardo Russo, la cui imputazione è limitata al capo
1047 della rubrica, osserva la Corte che il ricorso risulta ancora evidentemente
fattuale, caratterizzato com’è da un’attenta descrizione delle condotte e, in
particolare, della cessione a data 15/10/2006; gravame, quindi, inammissibile,
specie a fronte di una sentenza di appello che ha confermato la responsabilità del
ricorrente con argomenti congrui e privi di illogicità. In particolare, è stato
evidenziato che – giusta tenore di numerose conversazioni dal contenuto
volutamente criptico (“dammi cinque, quattro”, “porta le cartine”), valutate in
modo “sinergico” – il Russo provvedeva a fissare gli incontri con gli acquirenti
per lo scambio di cocaina, peraltro nei soliti luoghi oggetto di controllo da parte
della p.g.; quel che non aveva poi trovato giustificazione alternativa e difforme,
difettando agli atti ogni versione del Russo al riguardo.
Anche in questo caso, dunque, un’ipotesi di concorso ex art. 110 cod. pen.,
con piena adesione al proposito criminoso e fattiva collaborazione allo stesso,
non già il «semplice comportamento negativo di chi assiste passivamente alla
perpetrazione del reato», come invece dedotto; quel che contrasta con gli
elementi in fatto richiamati dalla sentenza, e che il gravame esclude sul solo
presupposto che «il sottoscritto ha sempre contestato il proprio coinvolgimento
in ordine all’attività delittuosa contestatagli». E con la precisazione, peraltro, che
la sostanza indicata nel capo 1047 in esame – per il quale è stato giudicato
colpevole anche il fratello Leonardo – devesi ritenere per certo la cocaina, come
da rubrica, apparendo il riferimento all’hashish quale mero refuso disancorato
dalle risultanze istruttorie.

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fornita alle comunicazioni intercettate.

9.1. Del tutto infondato, poi, risulta il gravame anche in punto di
trattamento sanzionatorio. La Corte di appello ha rilevato che al Russo era stata
riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in uno
con le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle
aggravanti e sulla recidiva; ancora, la sentenza ha sottolineato che la pena base
era risultata prossima al minimo edittale, con aumento contenuto a titolo di
continuazione (un mese di reclusione, oltre la multa). Trattamento non
ulteriormente riducibile, «non potendosi considerare minimo il contributo causale

per la consegna dello stupefacente, ma a volte provvedeva personalmente anche
alla consegna della sostanza (fatto non contestato in sede di gravame)».
9.2. Ciò premesso, osserva il Collegio che la sentenza dovrebbe comunque
essere annullata con rinvio, proprio per la rideterminazione della pena. Ed
invero, successivamente alla pronuncia impugnata, l’art. 73, d.P.R. n. 309 del
1990 è stato interessato da plurimi interventi manipolatori, quali la sentenza
della Corte costituzionale n. 32 del 25/2/2014 (che ha reintrodotto la distinzione
tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”), il d.l. n. 146 del 23/12/2013,
convertito dalla I. n. 10 del 21/2/2014 (che ha trasformato l’ipotesi attenuata di
cui al comma 5 – riconosciuta al ricorrente – in fattispecie autonoma di reato,
riducendo il massimo edittale da 6 a 5 anni di reclusione e confermando la pena
pecuniaria da 3.000 a 26.000 euro) e, da ultimo, il d.l. 20 marzo 2014, n. 36,
convertito, con modificazioni, dalla I. 16 maggio 2014, n. 79 (che, ancora in
ordine al comma 5, ha novellato la cornice edittale – riducendola – nei termini
della reclusione da 6 mesi a 4 anni e della multa da 1.032 a 10.329 euro). Ne
deriva – anche alla luce dell’indirizzo espresso di recente dal Supremo Collegio di
legittimità (Sez. U., n. 46653 del 26/6/2015, Della Fazia) – che tale nuovo
perimetro edittale imporrebbe comunque una nuova valutazione della pena da
parte del Giudice di merito, al fine di verificarne la costante adeguatezza e
proporzionalità al fatto-reato, pur quando il ricorso sia inammissibile e la stessa
pena sia ad ogni effetto legale (cioè compresa nella lettera della norma vigente,
sia all’epoca che oggi), e non abbia formato oggetto di impugnazione.
Quel che, però, il Collegio non può disporre, attesa l’intervenuta prescrizione
del reato continuato (contestato fino al dicembre 2006), nelle more intervenuta
ex artt. 157-161 cod. pen., anche tenuto conto delle sospensioni intervenute.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza con riguardo
al ricorrente in esame.
10. Le medesime considerazioni, di seguito, si impongono anche con
riguardo a Leonardo Russo, assolto in appello da tutte le imputazioni ad
eccezione della stessa n. 1047 ascritta al congiunto; ed invero, pur a fronte di un

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posto in essere dal prevenuto, il quale non si limitava a fissare gli appuntamenti

ricorso manifestamente infondato, poiché costruito su una breve doglianza del
tutto generica ed insuscettibile di confutare la sentenza di appello sul punto, si
osserva che l’avvenuto riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma
5, cit. imporrebbe l’annullamento con rinvio della sentenza in ragione di quanto
appena sopra richiamato. Quel che, però, è precluso dall’intervenuta prescrizione
del reato contestato.
11. Ancora negli stessi termini, poi, si conclude quanto al ricorso proposto
da Andrea Trecca; la doglianza mossa da questi – volta a contestare la sua

tutto infondata, poiché generica. La Corte di appello, peraltro, rispondendo alla
medesima questione, ha steso ancora una motivazione adeguata e priva di
censure, con la quale ha sottolineato che 1) era stata eseguita una perizia
fonica, che aveva concluso per la riconducibilità della voce intercettata al Trecca
in misura superiore al 75%; 2) nelle conversazioni, oltre ad essere chiamato con
il nome proprio (Andrea), si faceva riferimento a vicende personali dello stesso,
quale la patita detenzione a Reggio Emilia nel 2002 ed il suo stato di latitanza;
3) il ricorrente – noto per i suoi trascorsi giudiziari – era stato riconosciuto dagli
operanti in termini sia vocali che visivi, essendo stato notato entrare nella
vettura del Santoro, ove poi sarebbe stato intercettato. Quanto, poi, al tenore
delle conversazioni, da queste emergeva che il Trecca fissava abitualmente
appuntamenti con i clienti, che chiamava per nome, provvedendo anche a
custodire la sostanza su richiesta del Santoro. Emergenze probatorie di sicuro
rilievo, che peraltro il gravame neppure menziona, limitandosi ad una tanto vaga
quanto sintetica contestazione degli argomenti che precedono; dal che, la sua
inammissibilità.
La riconosciuta ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del
1990, imporrebbe, peraltro, l’annullamento con rinvio della sentenza in punto di
trattamento sanzionatorio, alla luce di quanto già esposto; tuttavia, anche in
questo caso deve riconoscersi l’avvenuta estinzione per prescrizione dei reati
contestati – ascritti fino al 1°/12/2006 – pur tenuto conto della sospensione
intervenuta.
12. Con riguardo, poi, alla posizione di Angelo Santoro, si osserva che il
ricorso risulta fondato solo quanto al terzo motivo, relativo al capo 1043.
In ordine al primo – in punto di responsabilità – rileva la Corte che lo stesso
si sviluppa in considerazioni puramente fattuali, lamentando la mancanza di
motivazione in tema di concorso con il fratello Pasquale e richiamando, a
proposito, anche il tenore di alcune conversazioni. Orbene, tale doglianza non
tiene conto dell’effettivo percorso argomentativo svolto dal Collegio, il quale ha
precisato che il ricorrente – per l’appunto in concorso con il germano, con ruolo

11

identificazione quale interlocutore di alcune conversazioni – risulta infatti del

apicale – ricopriva una posizione similare a quella del Rubino, curando in
particolare il monitoraggio dei luoghi di spaccio (al fine di verificare l’eventuale
presenza di forza dell’ordine) e provvedendo talvolta alla consegna dello
stupefacente agli acquirenti; al riguardo, la sentenza ha richiamato il contenuto
di alcune intercettazioni e successivi servizi di o.c.p. (quale quello del
27/10/2006, allorquando il ricorrente aveva incontrato tale Angelo Di Trani e gli
aveva ceduto hashish), nonché la perquisizione alla quale lo stesso Santoro era
stato sottoposto, con sequestro ancora di hashish.

Una motivazione, dunque, del tutto congrua e fondata su precise risultanze
istruttorie; come tale, insuscettibile di esser contestata con il primo motivo, con
il quale, peraltro, il ricorrente invoca una lettura alternativa e più favorevole
delle intercettazioni in atti.
12.1. Anche la seconda doglianza, relativa alla mancata applicazione
dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, cit., risulta infondata. Ed invero, la
Corte di appello ha motivato la propria decisione richiamando – anche per questo
ricorrente – le modalità dello spaccio (organizzato in turni in grado di coprire
l’intero arco della giornata), la mole giornaliera di cessioni e la vasta platea di
acquirenti; in tal modo, quindi, facendo buon governo degli indirizzi ermeneutici
in tema sopra richiamati ed ai quali il Collegio aderisce con piena convinzione.
12.2. Fondato, per contro, risulta il terzo motivo.
Come già indicato, infatti, con la sentenza n. 32 del 25 febbraio 2014, la
Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 4 bis e

4 vicies ter, d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, convertito con modificazioni dalla I.

21 febbraio 2006 n. 49, rimuovendo le modifiche da essi apportate agli articoli
13, 14 e 73, d.P.R. n. 309 del 1990; sono ritornati così applicabili, tra l’altro, i
commi primo e quarto dell’articolo 73 per come dettati prima del suddetto
intervento normativo, e dunque ha recuperato vigenza l’irrogazione di una pena
più mite nei reati attinenti alle cd. droghe leggere (da due a sei anni di
reclusione, oltre a multa, anziché da sei a venti anni di reclusione, oltre a multa)
e di una pena più severa per le cd. droghe pesanti (la reclusione salita al range
otto-venti anni, così sostituendo quella appena richiamata da sei a venti anni). Si
impone, pertanto, l’annullamento della sentenza in punto di trattamento
sanzionatorio – limitatamente al capo 1043, nel quale è contestata la cessione
anche di hashish – con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
13. Negli stessi termini, di seguito, si conclude con riguardo al ricorso
proposto dal Vito Nicola Silvestri.
In ordine al primo motivo, in punto di pena (ipotesi lieve citata), si osserva
che la doglianza appare oltremodo generica ed apodittica, come tale

12

Esiti che il gravame neppure menziona.

insuscettibile di scalfire la motivazione redatta dal Collegio di merito; con la
quale, in particolare, la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, cit. è stata negata
in forza delle medesime considerazioni già sopra richiamate, da ritenere del tutto
congrue e pienamente ispirate alla giurisprudenza di questa Corte.
Per quanto, invece, attiene al secondo motivo, che involge le circostanze
attenuanti generiche ed il trattamento sanzionatorio tutto, osserva la Corte che
la motivazione redatta dal Giudice di appello non risulta congrua e
manifestamente logica. Ed invero, premesso che il Tribunale aveva riconosciuto

sebbene non contestata; ciò premesso, la Corte di merito ha sì preso atto
dell’errore, ma – anziché muovere da una pena base e quindi applicare la
riduzione ex art. 62 bis cod. pen. (e poi l’aumento a titolo di continuazione) – ha

affermato che la gravità della condotta impediva un giudizio di prevalenza delle
circostanze attenuanti sulle contestate aggravanti, «pur non considerando per il
Silvestri la recidiva ritenuta in sentenza (non contestata dal P.M.)».
Dal che, una motivazione oscura e non aderente alla doglianza sollevata,
come tale bisognevole di una nuova lettura da parte della Corte di appello, alla
quale la sentenza va rinviata sul punto.
14. Manifestamente infondato, per contro, risulta il ricorso di

Giovanni

Torchiarella.
Con riguardo al primo e terzo motivo, in tema di responsabilità, osserva la
Corte che il gravame risulta generico e reiterativo delle medesime questioni già
sollevate in sede di merito; laddove, peraltro, le stesse hanno ricevuto adeguata
e completa risposta. In particolare, la sentenza impugnata – pronunciandosi
innanzitutto sull’identificazione del ricorrente – ha sottolineato che questa
doveva ritenersi certa, atteso che il soggetto era stato riconosciuto dalla p.g.
(che già lo conosceva per i recentissimi arresti domiciliari) mentre, a bordo della
vettura di Pasquale Santoro, fissava incontri telefonici per la cessione della
sostanza. La Corte di merito, al riguardo, ha quindi richiamato alcune delle più
significative conversazioni, evidenziandone il linguaggio volutamente criptico (“il
piccolo”) ed il consueto modus operandi già ricordato per Silvestri, Jaouadi e
Santoro, con incontri fissati a breve per la consegna della droga. Sì da
individuare – con argomento del tutto logico – quella forma di concorso ex art.
110 cod. pen. che il ricorrente vorrebbe invece contestare in questa sede,
peraltro con argomento del tutto generico, richiamando al più un “semplice
comportamento negativo di chi assiste passivamente alla perpetrazione del reato
e non ne impedisce ostacola la esecuzione”.
14.1. Il gravame, inoltre, risulta manifestamente infondato – ancora per
genericità – anche con riguardo alla seconda doglianza, in tema di ipotesi lieve ex

13

le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulla recidiva,

art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. La Corte di appello, infatti, ne ha
negato il riconoscimento in ragione delle medesime considerazioni più volte
citate (vastità del “giro”, numero di clienti, organizzazione dell’attività), in ordine
alle quali, dunque, deve esser qui ribadito il giudizio di piena adeguatezza e
logicità; non certo superabile, peraltro, dalle considerazioni di cui al ricorso, che
richiama sul punto il carattere modico del quantitativo ogni volta trattato.
15. Da ultimo, il ricorso di Anna Rubino, quale erede di Pasquale Santoro e
madre di Rossana Santoro (nata nel 2003), che contesta l’avvenuta confisca di

dissequestrato dalla Corte di appello di Bari-sezione misure di prevenzione, con
ordinanza del 4/10/2012; con il gravame, si contesta che la sentenza impugnata
nulla avrebbe disposto sul punto, pur a fronte di una specifica doglianza nell’atto
proposto (allora) da Pasquale Santoro.
Orbene, ritiene la Corte che tale omissione non possa esser censurata in
questa sede, attesa la palese inammissibilità dell’istanza che, come tale, può
trovare sfogo soltanto in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen.; la
ricorrente, infatti, non è mai stata imputata nel processo in esame, sì da non
poter proporre autonomamente atto di appello o ricorso per cassazione nei
termini di cui al gravame medesimo.
16. I ricorsi proposti da Buonavita, Jaouadi, Rubino Antonio, Rubino Anna e
Torchiarella, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle
spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore
della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.500,00.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente a Russo
Leonardo, Russo Gerardo e Trecca Andrea, perché il reato è estinto per
prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata relativamente a Silvestri Vito nicola e
Santoro Angelo limitatamente ali trattamento sanzionatorio e rinvia ad altra
sezione della Corte di appello di Bari, rigettando nel resto i ricorsi dei predetti.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Buonavita Vincenzo, Jaouadi Mohamed
Salah Ben Alì, Rubino Antonio, Rubino Anna, Torchiarella Giovanni, che condanna

14

un compendio immobiliare di esclusiva proprietà della minore, peraltro già

al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.500,00
ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2016

onsigliere estensore

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