Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20530 del 01/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20530 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Scatamacchia Cristina, nata il 07/04/1964 a Corato
nei confronti di
Prencipe Massimiliano, nato il 18/08/1970 a San Giovanni Rotondo

avverso la sentenza del 24/02/2017 della Corte di appello di Bari

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Antonietta Picardi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, Avv. Ivana Clemente, per la parte civile, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore, Avv. Raffaele Di Sabato per l’imputato, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 01/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24/2/2017 la Corte di appello di Bari, in riforma di
quella del Tribunale di Foggia del 29/10/2015, ha assolto Prencipe Massimiliano
dal reato di cui all’art. 392 cod. pen. perché il fatto non costituisce reato e dal
reato di cui all’art. 646 cod. pen. perché non punibile ex art. 649 cod. pen.

2. Ha presentato ricorso tramite il suo difensore Scatamacchia Cristina,

Francesca.
Deduce vizio di motivazione e violazione di legge, in quanto la Corte
territoriale non aveva considerato il danno arrecato alla minore, dovendosi tener
conto del fatto che il Prencipe aveva cambiato la serratura dell’abitazione di P.za
Europa 15, senza dare la nuova chiave alla ricorrente e alla figlia minore.
La Corte non aveva motivato sull’elemento soggettivo del reato in relazione
alla mancata consegna della chiave e all’asporto del mobilio in altro luogo, così
da privare il nucleo familiare, che era stato ritenuto ancora in essere, della
possibilità di una normale conduzione della vita.
Del resto il capo di imputazione era stato corretto così da indicare l’indirizzo
di P.zza Europa.
La Corte contraddittoriamente aveva ritenuto esistente il rapporto di
coniugio, ma ritenuto consentito impedire alla moglie e alla figlia di entrare
all’interno dell’abitazione, anche solo per riprendere i vestiti e i quaderni e i libri
della bambina.
La volontà impeditiva del Prencipe non avrebbe potuto dirsi giustificata fino
a quando non fosse stato sancito il diritto dei coniugi di abitare separati con
assegnazione della casa coniugale.
Vi era inoltre violazione di legge in relazione al capo B), in quanto il Prencipe
si era appropriato del mobilio, mentre la Corte, nel dar conto della successiva
restituzione, non aveva considerato che ciò era avvenuto anni dopo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché aspecifico e manifestamente infondato.

2. Quanto al reato di cui al capo B), il proscioglimento dell’imputato è stato
pronunciato in quanto si trattava di soggetto non punibile ex art. 649 cod. pen:
ed invero formava oggetto di contestazione il delitto di appropriazione indebita in

2

costituita parte civile in proprio e quale rappresentante della minore Prencipe

danno del coniuge, non ancora legalmente separato, con la conseguenza che sul
punto il ricorso è manifestamente infondato.

3. Relativamente al capo A), concernente l’esercizio arbitrario delle proprie
ragioni, concretatosi nel cambio della serratura della residenza familiare, le
argomentazioni su cui il ricorso si fonda sono da un lato inconferenti, in quanto
la Corte ha fornito una motivazione anche per l’ipotesi di condotta riguardante
l’appartamento di P.zza Europa, e dall’altro generiche, in quanto non si

detenzione qualificata del bene in capo all’imputato sia sul pregresso abbandono
da parte della Scatamacchia, odierna ricorrente, del domicilio coniugale,
accompagnato dalla comunicazione dell’intenzione di non volervi fare più ritorno.
Poiché dunque è certo che l’imputato godeva del possesso del bene e che lo
stesso era stato in concreto abbandonato dalla odierna ricorrente, la sentenza
impugnata non si espone in alcun modo alle censure formulate, che non
concernono peraltro la ratio giustificativa della decisione e indugiano su aspetti in
concreto irrilevanti, fermo restando che nel ricorso si deduce genericamente la
volontà impeditiva dell’imputato ma senza l’argomentata illustrazione degli
elementi idonei a sorreggere tale assunto e senza l’indicazione di specifiche
occasioni nelle quali l’imputato avrebbe effettivamente impedito il ritiro di
vestiario o di oggetti della bambina.

4.

All’inammissibilità segue la condanna della ricorrente parte civile al

pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla
causa dell’inammissibilità, a quello della somma di euro 2.000,00 in favore della
cassa delle ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente parte civile al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore
della cassa delle ammende.
Così deciso il 1/3/2018

confrontano con la motivazione della sentenza impugnata, incentrata sia sulla

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