Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20526 del 23/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20526 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da SARACU Maria, nata in Romania il 17/11/1983,
avverso l’ordinanza emessa in data 18/07/2014 dal Tribunale di Bergamo.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Bergamo, decidendo quale
giudice dell’esecuzione rigettava le richieste avanzate ai sensi dell’art. 670 cod.
proc. pen. dalla detenuta Maria SARACU, volte: in via principale a far dichiarare
l’invalidità della notifica della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal
Tribunale di Bergamo in data 22 ottobre 2013 (dichiarata irrevocabile il 24
dicembre 2013) e non esecutivo quindi il titolo; in subordine ad ottenere la
restituzione nel termine per impugnare.

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Data Udienza: 23/04/2015

A ragione, il Tribunale rilevava che la Saracu era stata arrestata in flagranza
del reato di rapina, l’arresto era stato convalidato anche se non era seguita
l’applicazione di misura, e in sede di convalida la donna aveva eletto domicilio
presso il difensore di ufficio nominatole, presente, con l’assistenza di interprete
che le aveva spiegato i suoi diritti, le sue facoltà e le conseguenze del relativo
esercizio, oltre che la natura e il contenuto dell’accusa.
Le notifiche a seguire effettuate nei suoi confronti, compresa quella relativa
all’estratto contumaciale, erano state quindi tutte ritualmente effettuate al
difensore domiciliatario. Non ricorreva perciò il presupposto dell’invalidità della
Quanto alla richiesta di restituzione nel termine per impugnare, osservava
che le medesime considerazioni svolte a proposito della presenza di difensore e
interprete all’udienza di convalida, nonché della esistenza di una informata
elezione di domicilio presso il difensore, consentivano di affermare che la donna
era stata adeguatamente edotta dell’accusa a suo carico, e degli sviluppi
processuali che da essa potevano derivare, e di ritenere che con una diligenza
minima la donna avrebbe potuto informarsi dal difensore domiciliatario dello
sviluppo del procedimento a suo carico. Sicché non poteva accedersi alla tesi di
una sua incolpevole mancanza di conoscenza del procedimento.
Rilevava, da ultimo, che nessuna questione era stata fatta dall’istante sulla
traduzione dell’ordine di carcerazione.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso la SARACU a mezzo del
difensore, avvocato Lucia Donato, che ne chiede l’annullamento denunziando:
2.1. la mancanza di motivazione in ordine al rigetto della questione sulla
formazione di valido titolo esecutivo, in presenza di notificazioni inidonee a
dimostrare l’effettiva conoscenza, per atti formali, del processo in capo
all’imputata, non potendo la stessa desumersi dalle informazioni ricevute relative
alla sola fase procedimentale iniziale, delle indagini.
2.2. violazione degli artt. 161, 157, comma 2, e 548, comma 3, cod. proc.
pen., e vizi di motivazione, in relazione all’interpretazione accolta dell’istituto
della restituzione in termini che, diversamente da quanto sostenuto, postula la
presunzione di non effettiva conoscenza in capo al contumace, l’stanza della
ricorrente essendo stata così illegittimamente e illogicamente respinta
nonostante non potesse affatto ritenersi che le informazioni ricevute in sede di
convalida fossero sufficienti a far comprendere alla donna concetti giuridici quali
l’elezione di domicilio e le sue conseguenze; la sua contumacia, l’assenza di
qualsiasi contatto con lei del difensore di ufficio, e il sostanziale “abbandono”
della difesa ad opera di costui, dimostravano, invero, la non conoscenza del
processo e l’assenza di una volontaria rinunzia a comparire, o comunque non
consentivano di ritenere superata la presunzione di non conoscenza;
2.3. violazione della direttiva 2012/64/CE, par. 8 e nullità ai sensi degli artt.
178 e 180 cod. proc. pen. dell’ordine di esecuzione non tradotto, il vizio relativo
potendo e dovendo essere rilevato anche d’ufficio dal giudice, che si era

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notifica della sentenza per ritenere la non esecutività del titolo.

avveduto della omissione nonostante il difetto di eccezione difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato solo con riferimento alla
richiesta di restituzione nel termine.
2.

Inammissibile è anzitutto, la doglianza riferita alla mancanza di

traduzione dell’ordine di carcerazione, non tempestivamente dedotta al giudice di
presuppone un accertamento di fatto (quello sulla conoscenza della lingua
italiana) e che perciò è incompatibile con la sua denunzia, per la prima volta, in
sede di legittimità.
3. Infondate, e sostanzialmente non pertinenti, sono, quindi, le doglianze
articolate nel primo motivo con riferimento al rigetto della eccezione relativa alla
esecutività del titolo.
Correttamente, difatti, il Tribunale ha osservato che questa dipende
esclusivamente dalla validità della notifica dell’estratto contumaciale e che nel
caso in esame detta notifica risultava valida sotto ogni aspetto, perché
ritualmente effettuata a mani del difensore presso cui l’imputata aveva eletto
domicilio e perché tale elezione doveva ritenersi ad formalmente valida essendo
stata accompagnata dalla esplicazione, ad opera dell’interprete, del significato
dell’atto, alla presenza dello stesso difensore indicato quale domiciliatario.
Mentre il ricorso, limitandosi nella sostanza a sostenere che tanto non
bastava a provare l’effettiva conoscenza in capo alla destinataria del contenuto
dell’atto notificato al domiciliatario, neppure contesta in realtà la correttezza
formale della notifica, ma evoca tema diverso, quello della conoscenza effettiva,
che va piuttosto riferito alla richiesta di restituzione nel termine per impugnare.
4. Fondate, invece, devono ritenersi le censure articolate con riferimento al
rigetto di tale richiesta subordinata.
Al proposito il Tribunale ha ritenuto che l’arresto in flagranza, l’udienza di
convalida tenuta con l’assistenza di interprete, unitamente alla elezione di
domicilio presso il difensore di ufficio presente, bastassero a vincere la
presunzione di incolpevole mancanza di conoscenza del processo, poiché nella
situazione data sarebbe stato onere dell’imputata mantenere i contatti con il
difensore di ufficio, donniciliatario.
4.1. E’ noto che all’origine della novella che aveva modificato l’art. 175 cod.
proc. pen., applicabile ratione temporis alla voicenda processuale in esame, v’era
la necessità di rimediare a quello che la Corte di Strasburgo aveva individuato
come un “difetto strutturale” del sistema italiano, e cioè all’assenza di un
meccanismo capace di porre rimedio alla situazione di colui che, a fronte di una
mera presunzione legale di conoscenza, non poteva ritenersi avesse

merito e afferente vizio (non di nullità, semmai di inefficacia), che comunque

effettivamente, consapevolmente e volontariamente, rinunciato a comparire o a
richiedere un giudizio di seconda istanza.
Viene perciò di necessità in rilievo, a fini interpretativi, il fatto che il caso che
diede occasione al perentorio invito rivolto con la sentenza Sejdovic (notificata il
10.10.2004) allo Stato italiano, di «garantire, con misure appropriate, la messa
in opera del diritto» ad un equo processo non solo per quel particolare ricorrente,
ma per tutte le persone fossero venute a trovarsi «in una situazione simile alla
sua», concerneva un soggetto (il Sejdovic per l’appunto) che era stato
ritualmente dichiarato latitante secondo l’ordinamento interno, per essersi
regole CEDU, a giustificare l’irrevocabilità della decisione, perché siffatta
situazione non comportava in maniera non equivoca che l’imputato, pur potendo
avere consapevolezza che lo si cercava per il delitto commesso, avesse altresì
inteso rinunziare alle facoltà connesse all’effettivo esercizio del suo diritto di
difesa nel successivo procedimento instaurato a suo carico.
D’altro canto “conoscenza effettiva” del procedimento e rinunzia
“consapevole” del diritto a parteciparvi, non possono, per consolidate
elaborazioni sia a livello comunitario che a livello interno, essere riferite a fasi,
meramente preprocessuali, quali quelle delle indagini di polizia o preliminari.
Secondo la giurisprudenza CEDU la conoscenza “effettiva” del procedimento
presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l’accusato della
natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, al fine di consentirgli di
difendersi nel “merito”. Siffatta esigenza è assicurata dall’ordinamento interno
dalla vocatio in iudícium, preceduta dall’avviso dell’art. 415-bis c.p.p. ove non si
sia fatto ricorso a riti speciali e perciò “accelerati”. E sempre al giudizio sul
merito dell’accusa è riferibile il diritto a partecipare e difendersi personalmente
cui si contrappone la rinunzia a “comparire” di cui parla la norma in esame,
giacché, perché s’abbia rinunzia occorre che vi sia diritto o altra situazione
soggettiva azionabile, mentre nella fase prodronnica alla formulazione dell’accusa
in vista dell’esercizio dell’azione penale l’accusato può chiedere d’essere sentito,
non reclamarne il diritto.
Venendo dunque al caso in esame, nel quale all’esito dell’udienza di
convalida la ricorrente era stata liberata, la consapevole rinuncia a partecipare al
procedimento a suo carico, non poteva comunque discendere da presunzioni
basate sull’attribuzione all’imputata della capacità di prevedere che, nonostante
il rigetto della richiesta del pubblico ministero di misura cautelare, le indagini a
suo carico si sarebbero sviluppate in processo; né da presunzioni sul fatto che la
sua elezione di domicilio presso il difensore di ufficio implicava anche il
mantenimento in futuro di un qualche rapporto personale con esso e la volontà
di non difendersi personalmente nel processo. Per di più, il provvedimento
impugnato neppure chiarisce se, in disparte la ricezione delle notificazioni
indirizzate all’imputata, l’attività difensiva del difensore era connotata da
costanza e comportamenti tali da consentire di ritenere che, di fatto e
diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, tra questa e quello erano

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volontariamente sottratto alla cattura: cosa che tuttavia non bastava, stando alle

mantenuti contatti.
Il provvedimento impugnato afferma, insomma, che nel caso di specie non
ricorrevano gli estremi della restituzione nel termine essendo la mancata
effettiva cognizione del procedimento (verosimilmente) imputabile a “colpa”
dell’istante, ma ha così operato una riduzione “interpretativa” della portata della
norma non consentita.
Alla prova della non conoscenza del procedimento – che in precedenza
doveva essere fornita dal condannato – l’art. 175 novellato ha chiaramente
sostituito una sorta di presunzione iuris tantum di non conoscenza (Sez. 6,
l’onere di reperire negli atti l’eventuale dimostrazione del contrario (in tal senso,
sostanzialmente: Sez. 1, 21.2.2006, Halilovic, rv. 233515; Sez.

1, 2.2.2006,

Russo, rv. 233137) ovvero, più in generale, l’onere di accertare che il
condannato avesse avuto effettivamente conoscenza del procedimento e avesse
volontariamente e consapevolmente rinunziato a comparire (tra molte: Sez. 1,

6.4.2006, Latovic; Sez. 3, n. 17761 del 12.4.2006, Ricci; Sez. 2, n. 15903 del
14/02/2006, Ahemed). Perciò solo un valido, reale, rapporto fiduciario di difesa
avrebbe potuto far presumere una reale “conoscenza” in capo all’imputato delle
notificazioni effettuate a mani del suo legale (sul punto vedi, tra molte, Sez. 1,
Sentenza n. 28619 del 25/05/2006, Filipi; Sez. 1, Sentenza n. 19127 del
16/05/2006, Gdoura; Sez. 5, Sentenza n. 25618 del 23/05/2006, Mosele).
Mentre, in assenza di elementi seri e conducenti in ordine a detta effettiva
conoscenza, la colpa della situazione che avrebbe generato la mancanza di
conoscenza, seppure dovesse ammettersi esistente, non assume rilievo.
5. L’ordinanza impugnata deve, conclusivamente, essere annullata
limitatamente alla restituzione nel termine per impugnare, con rinvio al Tribunale
di Bergamo perché proceda a nuovo esame.
Il ricorso va per il resto rigettato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla restituzione nel termine e
rinvia per nuovo esame al riguardo al Tribunale di Bergamo.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 23 aprile 2015
Il consigliere e

nsore

Il Presidente

Sentenza n. 23549 del 09/05/2006, Kera), ponendo perciò “a carico” del giudice

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