Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20525 del 20/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20525 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAFFONE ANTONIO nato il 03/12/1968 a NAPOLI
avverso la sentenza del 21/12/2016 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte di Appello di Genova con sentenza del 21 dicembre 2016 ha confermato
la condanna di Raffone Antonio e Caponetto Pompeo emessa in sede di giudizio
abbreviato dal gip del tribunale di Genova il 5 giugno 2015 per il reato di rivelazione
di segreto di ufficio in quanto Raffone aveva istigato Caponetto, ispettore di polizia di
Stato in servizio presso la procura Repubblica di Chiavari, ad accedere al sistema
informatico della procura della Repubblica per rendergli noto il nominativo del
soggetto che aveva presentato denunzia nei suoi confronti.
Raffone ricorre contro tale decisione deducendo:
violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la notizia che gli era stata
data non era coperta dal segreto potendo lui, che aveva ricevuto una
informazione di garanzia e l’invito a rendere interrogatorio, avere conoscenza
delle iscrizioni a suo carico nonché in sede di interrogatorio conoscere gli
elementi di prova ivi compreso il nome dei denuncianti.
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Data Udienza: 20/02/2018

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la violazione di legge ed il vizio di motivazione in quanto egli si era presentato
dall’ispettore Caponnetto con l’invito a comparire del pubblico ministero
chiedendo chiarimenti, non essendo indicato nell’atto ricevuto quale fosse il
nome della persona offesa e, quindi, non potendo conoscere le accuse a suo
carico. Vi era quindi un chiaro errore del pubblico ufficiale che aveva ritenuto
che fosse un diritto del ricorrente conoscere il nominativo e, da parte sua,

violazione di legge perché il reato non sussiste a carico di chi riceve la notizia.

vizio di motivazione in considerazione delle ragioni per le quali era stata
negata la applicazione delle attenuanti generiche.

Il ricorso è infondato.
Il primo motivo è infondato in quanto, premesso che non è in discussione la
comunicazione della sola iscrizione nel registro degli indagati (notizia del resto già
nota al ricorrente), il fatto che, in caso di interrogatorio, dovessero essere resi noti a
Raffone gli elementi di prova a suo carico non muta il carattere di segretezza delle
notizie poste nel registro informatico protetto in questione.
Il secondo motivo è infondato poichè il ruolo professionale di Caponnetto
comportava la conoscenza delle comuni regole di segretezza degli atti di indagine e,
comunque, di segretezza del sistema informatico.
Il terzo motivo pone una questione irrilevante nel caso di specie in quanto il
ricorrente è stato ritenuto responsabile di avere istigato il pubblico ufficiale perché
svelasse le notizie coperte da segreto. Non è, quindi, in questione il diverso tema di
chi si limiti a ricevere la notizia indipendentemente da un accordo con il p.u.
Il quarto motivo deduce questioni non rilevabili in sede di legittimità, non
potendosi contestare le valutazioni in ordine al diniego delle attenuanti generiche,
tenuto conto che la Corte di Appello dà atto innanzitutto della totale

assenza di

elementi che le giustifichino, correttamente non ritenendo rilevante il semplice dato
della incensuratezza.
PQM
Rigetta il ricorso e ondanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma

sì deciso ella camera di consiglio del 20 febbraio 2018

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il Presidente
GiacorrE Paoloni
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mera connivenza a ricevere tale dato.

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