Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20524 del 23/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20524 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONAVENTURA GIOVANNI N. IL 08/12/1968
avverso llegclinanza n. 162/2014 GIP TRIBLTNALE di FOGGIA, del
02/10/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/se • le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 23/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 2/10/2014, il Tribunale di Foggia dichiarava inammissibile
l’istanza di rideterminazione della pena avanzata da Bonaventura Giovanni per
effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 avente ad
oggetto il trattamento sanzionatorio delle droghe cd. leggere.
Il Giudice osservava che non poteva trovare applicazione nel caso di specie
l’art. 673 cod. proc. pen., mentre l’art. 30, comma 4, legge 87 del 1953 era

la pena base per il calcolo della pena (anni sei di reclusione) era astrattamente
compatibile con la cornice edittale rientrata in vigore dopo la sentenza della
Corte Costituzionale.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Bonaventura Gianni, deducendo
violazione di legge e vizio di motivazione e richiamando il dettato delle Sezioni
Unite penali di questa Corte n. 18821 del 7/5/2014, sottolineando che il potere
del giudice dell’esecuzione era molto ampio e comprendeva quello di
rideterminazione della pena, con sostituzione di quella inflitta con una legittima;
né poteva essere recepita l’argomentazione secondo cui poteva essere
considerata illegale solo la pena di anni sei di reclusione.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3.

Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per

l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il decreto impugnato deve essere annullato senza rinvio, con trasmissione
degli atti al G.I.P. del Tribunale di Foggia per la decisione sulla richiesta, non
sussistendo la manifesta infondatezza della richiesta del condannato.

Sul tema del ricorso – oggetto di disputa teorica e di contrastanti
orientamenti giurisprudenziali – sono di recente intervenute le Sezioni Unite di
questa Corte con sentenza n. 42858 del 29.5.2014 (dep. 14.10.2014) ric. Gatto.
L’opzione interpretativa seguita in detto arresto – cui si presta adesione ritiene superabile il limite del giudicato anche nei casi in cui la declaratoria di
illegittimità costituzionale riguardi una norma incidente sul trattamento
sanzionatorio, senza coinvolgere la rilevanza penale del fatto.
La motivazione si incentra – essenzialmente – sulla diversità ontologica tra
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irrilevante, atteso che la pena inflitta non poteva dirsi illegale, tenuto conto che

una pronuncia di incostituzionalità e un ‘ordinario’ intervento legislativo basato, il
secondo, sulla rivalutazione – in rapporto al decorso del tempo e a mutate
sensibilità sociali, storiche o culturali – del contenuto di norme penali.
La pronunzia di incostituzionalità, invece, inficia sin dall’origine la
disposizione impugnata e pertanto non è in alcun modo omologabile alla vicenda
della successione di leggi nel tempo: la norma costituzionalmente illegittima
viene espunta dall’ordinamento giuridico e ciò impone e giustifica l’efficacia
«retroattiva» della pronuncia di incostituzionalità sugli effetti ancora in corso di

Da ciò deriva che «tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza
penale di condanna fondata, sia pure in parte, sulla norma dichiarata
incostituzionale devono essere rimossi dall’universo giuridico, ovviamente nei
limiti in cui ciò sia possibile, non potendo essere eliminati gli effetti irreversibili
perché già compiuti e del tutto consumati».
La norma regolatrice viene individuata, per l’appunto, nella previsione
dell’art. 30 comma 4 legge n. 87 del 1953 (“quando in applicazione della norma
dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna,
ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”), il cui ambito applicativo non
si limita ad imporre la retroattività delle decisioni aventi ad oggetto la rilevanza
penale del fatto ma si estende al caso di declaratoria di incostituzionalità di
norma penale diversa ed ‘incidente’ sulla determinazione della pena.
Pertanto, la formazione del giudicato e il mancato riferimento, nell’art. 673
cod. proc. pen., all’ipotesi di declaratoria di incostituzionalità di norma penale
incidente sul trattamento sanzionatorio non ostano alla estensione in sede
esecutiva degli effetti di pronunzie di questo tipo.
Il limite per la rilevanza della pronunzia di incostituzionalità rispetto al
giudicato è così individuato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite: “… l’aspetto
decisivo, che segna invece il limite non discutibile di impermeabilità e
insensibilità del giudicato anche alla situazione di sopravvenuta declaratoria di
illegittimità costituzionale della norma applicata è costituito dalla non reversibilità
degli effetti, giacché il citato art. 30 impone di rimuovere tutti gli effetti
pregiudizievoli del giudicato non divenuti nel frattempo irreversibili perché già
consumati, come nel caso di condannato che abbia già scontato la pena…;
l’esecuzione della pena implica infatti l’esistenza di un rapporto esecutivo che
nasce dal giudicato e si esaurisce soltanto con la consumazione o l’estinzione
della pena. Sino a quando l’esecuzione della pena è in atto, il rapporto esecutivo
non può dirsi esaurito e gli effetti della norma dichiarata costituzionalmente
illegittima sono ancora perduranti e dunque possono e devono essere rimossi.”
In effetti, “il diritto fondamentale alla libertà personale deve prevalere sul valore

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rapporti giuridici pregressi.

dell’intangibilità del giudicato, sicché devono essere rimossi gli effetti ancora
perduranti della violazione conseguente all’applicazione di tale norma incidente
sulla determinazione della sanzione, dichiarata illegittima dalla Corte
costituzionale dopo la sentenza irrevocabile”.
Il giudice dell’esecuzione deve, quindi, verificare la rilevanza della pronuncia
di illegittimità costituzionale nel caso concreto, non potendo intervenire sul titolo
esecutivo se l’effetto della norma dichiarata incostituzionale sia esaurito per aver

La sentenza delle Sezioni Unite verteva sulla valutazione degli effetti della
sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 2012, che aveva dichiarato
l’illegittimità del divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art.
73 comma 5 d.P.R. 309 del 1990 sulla recidiva reiterata.
La Corte ha affermato che, se il mancato esito del giudizio di comparazione
nel senso della prevalenza sia dipeso dal divieto di legge rimosso (art. 69 comma
4 cod. pen.) l’esecuzione della pena deve ritenersi illegittima sia sotto il profilo
oggettivo, in quanto derivante dall’applicazione di una norma di diritto penale
sostanziale dichiarata incostituzionale dopo la sentenza irrevocabile, sia sotto il
profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non potrà essere
positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta dalla
previsione dell’art. 27, comma 3, Cost.. Infatti, l’illegittimità della pena
costituisce un ostacolo al perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perché sarà
avvertita come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata non già
determinata dal giudice nell’esercizio dei suoi ordinari e legittimi poteri, ma
imposta da un legislatore che ha violato la Costituzione.

Quanto ai poteri del giudice dell’esecuzione, le Sezioni Unite hanno
evidenziato due aspetti di particolare rilievo:
– il limite del «fatto accertato» nella pronunzia di cognizione non può essere
superato, nel senso che – in rapporto al tema oggetto della decisione – il giudice
della esecuzione potrà pervenire al giudizio di prevalenza della circostanza
attenuante (prima inibito) sempre che lo stesso non sia stato precedentemente
escluso nel giudizio di cognizione per ragioni di merito (indipendenti dalla
esistenza, allora, del divieto di legge e valorizzate come tali);
– il potere di verifica della legittimità del trattamento sanzionatorio va esteso
agli ulteriori accadimenti

medio tempore

incidenti sulle norme applicate,

all’epoca, dal giudice della cognizione (vi è riferimento espresso alle ricadute
della decisione n. 32 del 2014 sui contenuti della legge n. 49 del 2006, di
conversione del d.l. n. 272 del 2005).

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già dato luogo alla esecuzione integrale della pena.

Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, le Sezioni unite hanno
affermato i seguenti principi di diritto:
«successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione
d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma
incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la
rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del
giudice dell’esecuzione»;
«per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 2012 … il

attenuante di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990 sempreché una
simile valutazione non sia stata esclusa nel merito dal giudice della cognizione,
secondo quanto risulta dal testo della sentenza irrevocabile».

Il giudice dell’esecuzione, in particolare, è tenuto a compiere le seguenti
valutazioni:
a) verifica dell’incidenza concreta della decisione irrevocabile, all’atto della
domanda, sulla libertà personale per essere in effettiva esecuzione la pena
derivante – anche in parte – da norma di diritto sostanziale dichiarata
incostituzionale;
b) in caso positivo, ricostruzione del contenuto della decisione irrevocabile
nel senso della ‘concreta incidenza’ sul trattamento sanzionatorio determinato in
sede di cognizione della specifica norma (in questo caso l’art. 73 d.P.R. 309 del
1990) dichiarata incostituzionale, con conseguente rideterminazione del
trattamento sanzionatorio, tenendo conto della compiuta ricostruzione del fatto
da parte del giudice della cognizione nonché delle norme applicabili al momento
della decisione in punto di commisurazione della sanzione.

Come è noto, la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 ha
dichiarato illegittima la novellazione all’originario testo dell’art. 73 del d.P.R. n.
309 del 1990 apportata con d. I. n. 272 del 30 dicembre 2005 (artt. 4-bis e 4vicies ter) convertito in legge n. 49 del 21 febbraio 2006.
L’effetto della pronunzia di incostituzionalità è stato quello di «riespandere»
la previgente disciplina incriminatrice e le correlate diverse sanzioni per i fatti
commessi dal 28 febbraio 2006 al 6 marzo 2014 (fermo restando che per
l’ipotesi di fatto di lieve entità – che, nel caso di specie, non ricorre – il limite
temporale finale va anticipato al 23 dicembre 2013, essendo il giorno seguente
entrata in vigore diversa e autonoma disciplina normativa introdotta dal decreto
legge n. 146 del 2013).
Pertanto, se il soggetto destinatario della esecuzione è stato condannato per

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giudice dell’esecuzione potrà affermare la prevalenza della circostanza

fatto rientrante in detto intervallo temporale, sono applicabili i principi affermati
dalla sentenza delle Sezioni Unite prima ricordata, trattandosi di pronuncia che
riguarda la legittimità del trattamento sanzionatorio vigente all’epoca della
decisione del giudice della cognizione. In particolare, risulta in ogni caso
“illegale” il trattamento sanzionatorio delle condotte illecite concernenti le droghe
cd. ‘leggere’ (ossia le sostanze rientranti nelle tabelle II e IV allegate al d.P.R.
del 1990), atteso che, in relazione a tali sostanze, l’intervento normativo
dichiarato illegittimo aveva comportato (a differenza di quanto previsto per le

detentiva: il mimino edittale della condotta ordinaria era stato innalzato da 2 a 6
anni di reclusione, quello della condotta attenuata da sei mesi a un anno di
reclusione; il massimo edittale era stato innalzato da 6 a 20 anni di reclusione
nell’ipotesi ordinaria e da 4 a 6 anni di reclusione per l’ipotesi attenuata.

Ora, posto che l’operazione di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. commisurazione della pena – è frutto di una scelta che il giudice della cognizione
compie, con discrezionalità guidata, in un ambito legislativamente definito tra il
minimo e il massimo edittale, il profondo mutamento di «cornice» derivante dalla
declaratoria di incostituzionalità rende necessaria – in ipotesi di condanna per
‘droghe leggere’ – una rivalutazione piena di tale aspetto in sede esecutiva, che il
giudice dell’esecuzione deve compiere tenendo conto del «fatto», così come
accertato da quello della cognizione, ma non anche dei termini matematici
espressi da tale giudice – in rapporto alla scelta tra minimo e massimo edittale trattandosi di scelte operate in un quadro normativo alterato dal criterio
legislativo (legge del 2006) teso a «parificare» il disvalore di condotte tra loro
diverse (in rapporto alla tipologia di sostanze oggetto delle condotte).
In altre parole, che se da un lato risulta doverosa ed obbligatoria, alla luce
di quanto sopra, la rideterminazione in sede esecutiva della pena inflitta in
rapporto ad una squilibrata (e costituzionalmente illegittima) cornice edittale,
dall’altro non può escludersi che – con valutazione in concreto e rispettosa del
«fatto accertato» – il giudice dell’esecuzione possa rivalutarne la valenza in
rapporto ai «nuovi» e profondamente diversi parametri edittali, ovviamente
dando conto (ex artt. 132 e 133 cod. pen.) delle modalità di esercizio del potere
commisurativo e tenendo conto dei principi generali del sistema sanzionatorio
(tra cui quello per cui non può essere aumentata l’afflittività della pena stabilita
nella sentenza di condanna).

Va precisato, inoltre che la decisione emessa dal giudice della esecuzione, in
ipotesi di accoglimento dell’istanza e rideterminazione del trattamento

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altre sostanze) un massiccio incremento dei limiti edittali della sanzione

sanzionatorio, assume una valenza sostitutiva di un titolo esecutivo (la
precedente decisione irrevocabile) solo in tale parte non più eseguibile, che
andrà pertanto integrato, in punto di entità della pena, dalla decisione emessa in
sede esecutiva (peraltro anch’essa ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 666
comma 6 cod. proc. pen.) secondo uno schema procedimentale non estraneo al
procedimento di esecuzione (si pensi a quanto previsto e regolamentato dall’art.
671 cod. proc. pen., norma che – a diverso fine – consente la modifica in
esecuzione dell’entità del trattamento sanzionatorio correlato a decisioni

Non si tratta, pertanto, di una revoca del precedente titolo (non versandosi
in ipotesi applicativa dell’art. 673 cod. proc. pen.) ma di una sua parziale
rinnovazione e integrazione per quanto concerne l’entità della pena, con ogni
conseguenza di legge.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il decreto impugnato e dispone trasmettersi gli atti al
G.I.P. del Tribunale di Foggia per la decisione sulla richiesta.

Così deciso il 23 aprile 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

parimenti irrevocabili circa l’an della responsabilità).

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