Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20516 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20516 Anno 2016
Presidente: CITTERIO CARLO
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ostinato Giuseppina, nata a Napoli il 10/12/1965
avverso la sentenza del 29/05/2015 della Corte di appello di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Criscuolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Oscar
Cedrangolo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Antonella Regine, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli ha confermato la
sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Napoli il 20/02/2010 nei confronti di
Ostinato Giuseppina, ritenuta colpevole dei reati di resistenza a pubblico ufficiale
e favoreggiamento personale in concorso e condannata alla pena ritenuta di
giustizia.

Data Udienza: 14/04/2016

rx

Nel giudizio di merito è stato accertato che, dopo aver subito un tentativo di
rapina ad opera di quattro individui, uno dei quali era armato di pistola, sventato
per l’abilità della vittima, il carabiniere Zezza Maurizio, questi insieme ai colleghi
era ritornato sul posto ed aveva riconosciuto i quattro, ancora a bordo di due
ciclomotori; accortisi della presenza dei militari, i componenti del gruppo si erano
dati alla fuga, ma uno di loro, poi identificato in Sarti Vincenzo, era stato
raggiunto e, nonostante la resistenza opposta, un militare era riuscito a sfilargli
dalla tasca la patente di guida. A quel punto il fermato aveva chiamato a raccolta

e consentirgli la fuga: tra gli intervenuti erano stati identificati tale Annunziata,
che aveva minacciato i militari di far fare loro la fine di Falcone e Borsellino, e
l’imputata, che aveva incitato gli altri ad aggredire i carabinieri ed era riuscita ad
impossessarsi della patente del Sarti, strappandola di mano al militare.
La Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilità dell’imputata
in ragione della consapevolezza che si trattasse di un’operazione di polizia e del
concorso nell’attività ostruzionistica e nel favoreggiamento del fermato per
garantirgli la fuga.

2. Avverso la sentenza propongono ricorso i difensori dell’imputata, che ne
chiedono l’annullamento per i seguenti motivi:
– violazione di legge in relazione al reato di resistenza, di cui si è ritenuta la
sussistenza in assenza degli elementi costitutivi: si deduce che il tentativo di
rapina era avvenuto in luogo distante da quello in cui furono poi identificati i
presunti autori ed i due agenti intervennero in abiti civili, a bordo di auto private
ed in assenza di segni distintivi, cosicché, quando fermarono un componente del
gruppo, i presenti intervennero in difesa di persone, che sembravano vittime di
aggressione ad opera di sconosciuti. Quindi, non vi sarebbe né nesso di causalità
né dolo nella condotta della ricorrente, caduta in errore sulla qualifica di pubblici
ufficiali degli operanti, e, conseguentemente, insussistenza del delitto di
favoreggiamento, in quanto la ricorrente ignorava che il fermato avesse poco
prima tentato di compiere una rapina;
– mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla affermata
responsabilità per il delitto di favoreggiamento: i giudici di merito avrebbero
trascurato che l’imputata intervenne in un tumulto per spirito di solidarietà e
appartenenza, che accomuna gli abitanti dei quartieri popolari, senza specifico e
diretto interesse, in quanto non legata al ricercato ed ignara del reato commesso
e dell’operazione in corso. Mancherebbe, pertanto, il presupposto soggettivo del
reato di favoreggiamento come per il reato di resistenza e sul punto la sentenza
non adempie all’obbligo motivazionale;

gli abitanti del quartiere, che, accorsi, si erano frapposti per sottrarlo all’arresto

- inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità
o decadenza in relazione al mancato riconoscimento della particolare tenuità del
fatto: si deduce che la causa di esclusione della punibilità deve essere applicata
nella fattispecie, consentendolo i limiti edittali e gli altri elementi del fatto;
– inosservanza di legge in relazione al mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche: si segnala la mancata valutazione di elementi positivi,
quali il ruolo marginale dell’imputata e la circostanza che non aveva avuto
cognizione di trovarsi al cospetto di due militari, essendo stato il diniego

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto ripropone le censure già
formulate nell’atto di appello, alle quali la Corte territoriale ha fornito congrua e
argomentata risposta, cosicché risulta meramente reiterativo.
Ribadito il principio secondo cui è inammissibile per genericità il ricorso i cui
motivi si limitino ad enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o
memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del
provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/14, Rv. 260608; Sez. 6,
n. 22445 del 08/05/2009, Rv. 244181), senza porre specificamente in relazione
gli aspetti critici ed i passaggi contestati con le contrarie deduzioni difensive di
volta in volta formulate, è noto che il reato di favoreggiamento personale é reato
di pericolo e che la condotta deve consistere in un’attività che frapponga un
ostacolo, anche se limitato o temporaneo, allo svolgimento delle indagini, che
provochi cioè una negativa alterazione del contesto fattuale all’interno del quale
le investigazioni e le ricerche erano in corso o si sarebbero potute svolgere (Sez.
6, n. 9989 del 05/02/2015, Rv. 262799 e Sez. 6, n. 709 del 24/10/2003, dep.
15/01/2004, Rv. 228257).
A tali principi si è attenuta la Corte territoriale, che ha, infatti, chiarito che la
ricorrente fu notata nel gruppo degli assalitori sin dalle fasi iniziali
dell’aggressione corale ai militari e fu sentita incitare gli altri ad aggredirli;
peraltro, era presente nel momento in cui l’Annunziata minacciò i militari di una
fine simile a quella di Falcone e Borsellino: da tale espressione è stata
logicamente desunta la consapevolezza della veste giuridica dei soggetti, che
stavano bloccando il Sarti, non essendo altrimenti spiegabile una simile
minaccia.
Risulta, pertanto, adeguata la motivazione sul punto, tenuto, altresì, conto
che era stato lo stesso fermato a richiedere l’intervento in soccorso degli abitanti
del quartiere.

motivato solo con riferimento alla gravità del fatto.

Oggettivamente accertato il contributo dell’imputata, realizzato con spintoni,
urla e minacce, finalizzato ad ostacolare l’arresto o almeno l’identificazione del
fermato, concretamente integrato dall’impossessamento del documento del
fermato, sottratto al militare, anche tale condotta rende evidente la
consapevolezza dell’operazione di polizia in corso, atteso che normali aggressori
non avrebbero certo avuto interesse all’identificazione del soggetto bloccato.
Pertanto, dalla valutazione complessiva degli elementi illustrati la Corte di
appello ha coerentemente desunto la volontarietà e la consapevolezza

del fermato, consentendogli di sottrarsi all’arresto, e di intralciare il corso della
giustizia, ritardando l’espletamento di ulteriori attività investigative, quali
l’identificazione dei correi e le perquisizioni personali e domiciliari, risultando
irrilevante la mancata conoscenza precisa del reato di cui si era reso
responsabile il fermato e l’assenza di legami con lo stesso.
2. Manifestamente infondato è anche il motivo relativo al preteso
riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
Premesso che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione
complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o
del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen. ovvero una
equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non
solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico
protetto, come affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13681 del
25/02/2016 l’esiguità del disvalore del fatto è frutto di una valutazione congiunta
degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza.
Dunque, va tenuto conto del comportamento concreto per verificare la
marginalità del fatto e la ricorrenza congiunta della particolare tenuità dell’offesa
e della non abitualità del reato ed ai fini di tale apprezzamento il giudice di
legittimità non può che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di
merito, tenendo conto, in modo particolare, dell’eventuale presenza, nella
motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi già espressi che abbiano
pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto

(Sez. 4, n. 48843 del

24/11/2015, Rv. 265218; Sezione 3, 8 aprile 2015, Mazzarotto).
Nel caso in esame la valutazione dei giudici di merito, immune da vizi
logico-giuridici, costituisce apprezzamento espresso dopo aver compiutamente
valutato tutti gli elementi suindicati quali il comportamento dell’imputata, il
contesto in cui l’azione fu posta in essere, le modalità della condotta, la pluralità
di reati della stessa indole commessi, le conseguenze degli stessi e l’intensità del
dolo ed è incompatibile logicamente con il concetto normativo di tenuità del
fatto.

dell’imputata di ostacolare l’azione di polizia e, al contempo, di favorire la fuga

La Corte di appello ha, infatti, rimarcato la gravità del fatto, sottolineando
che la coralità dell’azione, il massiccio accerchiamento dei militari e la finalità
dello stesso ne escludono la riconducibilità in una cornice di minima offensività.
3. Parimenti è manifestamente infondata la censura relativa al mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche.
Premesso che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è un
giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei
soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa

personalità del reo (Sez.6, n.41365 del 28/10/2010, Rv. 248737; Sez.1, 46954
de104/11/2004, Rv. 230591), nel caso in esame la Corte di appello ha giustificato
il diniego in ragione della gravità del fatto e del comportamento concreto tenuto,
indicativo della determinazione dell’imputata e del disprezzo delle regole dettate
a tutela della pacifica convivenza.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali ed al pagamento di una somma in favore
della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in C 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 14/04/2016.

l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla

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